“Not in my back yard!” o se si vuole “Non nel mio cortile!”. Dietro l’acronimo anglosassone di NIMBY, c’è un fenomeno complesso che può raccontare molto sull’evoluzione delle società democratiche occidentali in questi ultimi trent’anni, sulle tensioni che le hanno attraversate e sui cambiamenti delle opinioni pubbliche e dei singoli individui.
Consapevolezza dei propri diritti di cittadino contro l’ingerenza dello Stato? Difesa del proprio territorio da abusi e sfruttamenti? Semplice chiusura egoistica, emotiva e retrograda contro ogni sviluppo e progresso? Preoccupazione legittima per la propria salute e per la qualità dell’ambiente circostante? O paura irrazionale e ingiustificata nei riguardi di complotti da parte di “poteri forti” non meglio identificati? Il NIMBY è questo e molto altro ancora: un coacervo di contraddizioni e contrapposizioni. Alcuni affiancano al NIMBY la parola “effetto”, insistendo sulle conseguenze che un atteggiamento simile può portare, altri preferiscono metterci il termine “sindrome”, scegliendo di dargli un’accezione patologica.