Lo scorso giugno, la Commissione Europea ha adottato il Regolamento Delegato che definisce le attività e i criteri tassonomici per i quattro restanti obiettivi ambientali della Tassonomia UE. Per la gestione dei rifiuti, rilevano in particolare gli investimenti per raccolta e riciclo, con una spinta a migliorare tali segmenti, ma anche con un disincentivo alla preparazione al riutilizzo e al recupero energetico. La termovalorizzazione è la grande assente, nonostante costituisca l’unica alternativa alla discarica per i rifiuti non riciclabili e gli scarti del riciclo.
La gestione dei rifiuti nel quadro della Tassonomia europea. Stato di avanzamento
Il Regolamento UE 2020/852, meglio noto come Tassonomia europea, è un sistema di classificazione per individuare e promuovere investimenti sostenibili in attività economiche che possono contribuire ai 6 obiettivi della politica di Green Deal. Tale normativa è ufficialmente entrata in vigore da luglio 2020, con particolare riferimento ai primi 2 obiettivi ambientali ovvero mitigazione e adattamento al cambiamento climatico. Qualche mese or sono, la Commissione ha pubblicato un pacchetto di linee guida e misure per rafforzare la disciplina in materia di finanza sostenibile. Si tratta di regolamenti che ordinano gli ultimi 4 obiettivi ambientali della Tassonomia UE e cioè: uso sostenibile e tutela della risorsa idrica, transizione verso una economia circolare, prevenzione e riduzione dell’inquinamento, protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.
Alla data di pubblicazione di questo Position Paper, si è nella fase conclusiva di approvazione del Regolamento Delegato, subordinata all’approvazione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea, prima della sua pubblicazione definitiva in Gazzetta Ufficiale e della sua entrata in vigore, attesa per il 1° gennaio 2024. Relativamente alle tempistiche di adozione, la Commissione ha voluto concedere un anno di tempo alle aziende per prepararsi all’implementazione degli aspetti tecnici della Tassonomia UE.
In pratica, le aziende che rientrano nell’ambito di applicazione saranno tenute a:
- dichiarare la percentuale dei ricavi, dei costi di investimento e dei costi operativi ammissibili alla Tassonomia UE per gli ulteriori 4 obiettivi ambientali (dal 2024 a valere sul 2023).
- dichiarare la verifica di effettivo allineamento ai criteri che qualificano il contributo sostanziale e al principio del “non arrecare un danno significativo” o Do No Significant Harm – DNSH (dal 2025 a valere sul 2024).
Gli impatti delle novità introdotte saranno molteplici su tutti i settori coinvolti. Ma quali, in particolare, in termini di nuove attività eco-sostenibili nell’ambito della gestione dei rifiuti? (per un’analisi dei primi 2 obiettivi si veda il Position Paper n. 211).
Attività economiche rilevanti per la gestione dei rifiuti e della circolarità
L’Atto Delegato Ambientale, che definisce i criteri per le attività economiche che contribuiscono a uno o più obiettivi ambientali non climatici, comprende 35 attività in 8 settori economici, che spaziano dalle attività di ripristino ambientale alle attività ricettive, dall’edilizia e attività immobiliari alla fornitura di acqua, reti e trattamento dei rifiuti, dalle attività manufatturiere alla gestione del rischio di catastrofi. Si tratta di un numero molto limitato rispetto a quelle ricomprese nell’Atto Delegato sul Clima, il quale identifica 9 categorie con un totale di 88 attività per gli obiettivi di mitigazione dei cambiamenti climatici e 13 categorie con 95 attività per gli obiettivi di adattamento ai cambiamenti climatici, tutte ammissibili per la valutazione di sostenibilità ambientale.
Rispetto al novero di attività inizialmente identificate dalla PSF (Platform on Sustainable Finance) nel report di marzo 2022 (51 attività comprese in 11 settori), quelle economiche riportate nell’atto delegato della Commissione sono state ridotte di un terzo. In particolare, non ne sono state riprese alcune quali il disinquinamento e lo smantellamento dei prodotti a fine vita o la bonifica di discariche legalmente non conformi, abbandonate o abusive.
In definitiva, sono 6 le attività che impattano direttamente sulle operazioni dei gestori dei rifiuti:
- raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi e pericolosi
- trattamento dei rifiuti pericolosi
- recupero dei rifiuti organici tramite digestione anaerobica o compostaggio
- cernita e recupero di materiale da rifiuti non pericolosi
quindi all’obiettivo di prevenzione e controllo dell’inquinamento attraverso le attività di:
- raccolta e trasporto di rifiuti pericolosi
- trattamento dei rifiuti pericolosi
L’assenza della termovalorizzazione (e gli impatti generati)
Come per il settore idrico, anche per quello relativo ai rifiuti e alla loro gestione, i 4 obiettivi ambientali hanno inserito nel proprio elenco attività economiche già presenti negli obiettivi climatici, contestualizzandole con criteri e richieste diverse.
Nel nuovo Regolamento si è ampliato il perimetro delle attività rispetto a quelle incluse nel Regolamento Delegato sul Clima, comprendendo la gestione dei rifiuti pericolosi e la selezione.
Tuttavia, scorrendo il novero delle attività catalogate come eco-sostenibili, in particolare, si rileva l’assenza della termovalorizzazione dei rifiuti non riciclabili non pericolosi.
E ciò,nonostante nella fase di consultazione fosse stato suggerito di farla rientrare: l’incenerimento, infatti, in un sistema di gestione dei rifiuti integrale, consente di raggiungere due importanti risultati:
- trattare rifiuti residui misti non riciclabili prevenendo che siano una fonte di inquinamento
- recuperarne il contenuto di energia.
Un’esclusione negativa per il settore per almeno tre ordini di motivi.
- Innanzitutto, l’esclusione rischia di frenare l’apporto che una tecnologia essenziale, quale quella di recupero energetico per determinate frazioni di rifiuti non altrimenti valorizzabili, può offrire al percorso con cui dovrà essere traguardato il target del 10% massimo di smaltimento in discarica dei rifiuti urbani al 2035. Il rischio concreto è che, così facendo, si generi un incentivo indiretto a forme di trattamento meno preferibili rispetto al recupero energetico, quali appunto lo smaltimento in discarica. Per diversi Paesi UE, quale l’Italia, chiamati ad attuare una forte di inversione di rotta per centrare l’obiettivo al 2035 di affrancamento dalla discarica, l’esclusione dalla Tassonomia del recupero energetico pone dubbi anche sulla sostenibilità dei costi richiesti per centrare il target. Difficilmente, infatti, si potranno attrarre nuovi investimenti verso un’attività che non è stata classificata come eco-sostenibile, in un’ottica tassonomica. Nel contesto italiano, poi, tale scelta potrebbe costituire un’argomentazione per ostacolare le progettualità in fase avanzata di autorizzazione, come per il caso di Roma o della Sicilia. È evidente che ciò non possa in alcun modo giustificare un cambio di rotta rispetto a quanto prospettato sin qui, con l’abbandono dei progetti aperti. Tuttavia, stanti le difficoltà di accettazione, da un punto di vista socio-politico, nonché i tempi autorizzativi richiesti per la realizzazione dei termovalorizzatori, esiste il rischio che la mancata inclusione nella Tassonomia possa fungere da alibi.
- In secondo luogo, la scelta operata dalle istituzioni comunitarie non tiene conto del mutato contesto geopolitico attuale. Nell’ultimo biennio, infatti, l’Europa ha dovuto subire i rincari negli approvvigionamenti energetici, le tensioni inflazionistiche conseguenti alla ripartenza post-pandemia e i mutamenti negli assetti energetici, a causa dello scoppio del conflitto in Ucraina. Soprattutto quest’ultimo aspetto appare rilevante, dal momento che l’UE ha intrapreso un lungo e faticoso percorso di affrancamento dalla dipendenza energetica dalla Russia, a partire dal piano c.d. “REPowerEU”. Il tutto, senza dimenticare l’impatto sul tessuto economico e sociale della pandemia da COVID-19, nelle cui fasi più acute gli impianti di recupero energetico hanno avuto un ruolo essenziale nel trattare i rifiuti indifferenziati e sanitari e nel garantire la continuità del servizio. Con queste premesse ogni tecnologia energetica dovrebbe essere presa in considerazione, normandone i criteri di eco-sostenibilità. Da questo punto di vista, quindi, pare poco lungimirante la decisione di non considerare, ai fini della Tassonomia UE, il recupero energetico, nonostante il contributo tangibile che tale modalità di produzione di energia può apportare al sistema socio-produttivo europeo, contribuendo ad accrescerne la sicurezza e l’indipendenza strategica. Una impostazione che male si concilia con il cambio di passo nella comprensione del ruolo che la termovalorizzazione può e deve giocare, che ha interessato anche il nostro Paese negli ultimi anni. Basti pensare ai passi avanti compiuti circa l’accettazione socio-politica, con diverse progettualità impiantistiche presentate o, comunque, annunciate, a partire da quella di Roma. O ancora, al ruolo più centrale che il Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti (PNGR) ha assegnato al recupero energetico. Una scelta, quella europea, che al contrario sembra andare nella direzione di un ritorno al passato.
- In terza battuta, la mancata inclusione della termovalorizzazione dei rifiuti non riciclabili nel novero delle attività eco-sostenibili stride con il peso specifico che le istituzioni europee hanno attribuito, a più riprese, a tale opzione tecnologica. Ancora di recente, infatti, il Commissario Europeo per l’Ambiente, Virginijus Sinkevičius, si è espresso affermando che il recupero energetico può esercitare un ruolo coerente con la gerarchia dei rifiuti, ovverosia in subordine rispetto alla prevenzione, al riutilizzo e al riciclo, ma di preferenza rispetto all’incenerimento dei rifiuti senza recupero di energia e allo smaltimento in discarica. In passato, la Commissione Europea aveva già provato a definire il ruolo e i parametri del ricorso al recupero energetico, anche in campo finanziario circa i finanziamenti erogabili dalla Banca Europea degli Investimenti (fonti 1 – 2 – 3).
Tutto considerato, sarebbe stato più opportuno definire dei parametri tecnologici del recupero energetico che rendessero stringenti i requisiti dell’eco-sostenibilità, piuttosto che optare per l’esclusione tout court della termovalorizzazione dalla Tassonomia. Ciò rischia di condizionare negativamente tutta la gerarchia di gestione, dal momento che la termovalorizzazione rappresenta la best option per il recupero delle frazioni che non possono essere più riciclate e degli scarti in uscita dai processi di riciclaggio dei volumi raccolti in maniera differenziata e dal trattamento dei rifiuti da rifiuti (EER 191212). Il mancato ripensamento sull’inclusione della termovalorizzazione dei rifiuti non riciclabili non pericolosi contrasta altresì con lo spazio giustamente dedicato alla produzione di biometano dai rifiuti. Ancorché da un punto di vista tecnologico rilevino delle differenze e l’input sia in un caso un rifiuto differenziato (FORSU) e in un caso indifferenziato (RUR), gli output in uscita dal processo di trattamento e il ruolo all’interno della gerarchia dei rifiuti non sono così divergenti. Si tratta, infatti, di modalità di trattamento che evitano di conferire in discarica ingenti quantitativi di rifiuti, cercando di estrarne il massimo potenziale energetico e, nel caso delle infrastrutture di gestione più avanzate per il biometano, anche di recupero di materia. Motivo, per cui, un approccio coerente avrebbe dovuto ricomprendere entrambe le modalità nel novero delle attività eco-sostenibili.
Puntare con decisione sul riciclo: luci e ombre
Nel complesso, la Tassonomia UE per i rifiuti punta molto sulla raccolta e sul riciclo. Tale evidenza porta con sé sia opportunità sia criticità. Per quanto concerne gli aspetti positivi, tale approccio rafforzerà indubbiamente due degli anelli essenziali della catena del valore con cui vengono gestiti i rifiuti. Migliorare la raccolta e il riciclo è una condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per traguardare una gestione dei rifiuti più efficace ed efficiente. Oltre al fatto, che la scelta è coerente con il framework delle policy europee, per lo più incentrate sul riciclo e la raccolta, accanto alla volontà di circoscrivere lo smaltimento in discarica. Per quanto afferisce agli elementi negativi, invece, rileva soprattutto il rischio che gli investimenti nel settore dei rifiuti vengano eccessivamente indirizzati verso la fase della raccolta e le operazioni di riciclaggio, a detrimento della prevenzione nel generare rifiuti, della preparazione al riutilizzo e, come dettagliato in precedenza, del recupero energetico. In Italia, l’evenienza è ancora più probabile, dal momento che il PNRR è costruito proprio attorno alla raccolta e al riciclo dei rifiuti. Ciò potrebbe generare vantaggi competitivi nei confronti degli operatori maggiormente attivi in tali filiere, rispetto ai players più focalizzati sugli altri segmenti. Oltre che, costituire una spinta indiretta verso approcci radicali al mondo dei rifiuti, che intendono propugnare una gestione del ciclo che non tiene in considerazione il trattamento delle frazioni non riciclabili. In generale, un approccio olistico avrebbe sicuramente aumentato la complessità della compliance tassonomica, ma avrebbe garantito una spinta trasversale al miglioramento per tutte le fasi della gestione dei rifiuti. Tale rischio appare alquanto più probabile per il trattamento finale dei rifiuti, soprattutto per le frazioni non riciclabili, rispetto alle fasi a monte del ciclo.
In conclusione, possiamo affermare che dall’analisi dell’atto delegato emerge una mancanza di ambizione da parte della Commissione per quanto riguarda i quattro restanti obiettivi ambientali. Una carenza che si manifesta chiaramente attraverso il numero limitato di attività previste.
Sul giudizio globale pesa anche il fatto che la Commissione abbia ignorato i numerosi feedback con richieste di rettifiche e/o integrazioni provenienti dalle aziende del settore e dalle autorità pubbliche riguardo alla necessità di maggiori chiarimenti e alle criticità oggettive insiste in alcuni criteri.
L’auspicio è che ci sia un riesame durante l’iter di valutazione, in capo al Parlamento e al Consiglio Europeo, e nel processo di revisione dei regolamenti delegati, previste a cadenze regolari ogni 3 anni.