Il settore idrico è per sua natura “immerso” e strettamente legato alla sostenibilità, trovandosi a gestire una risorsa naturale centrale per la vita. Tuttavia, sono ancora una minoranza gli operatori che rendicontano la propria sostenibilità, e ancora meno quelli con obiettivi di sostenibilità incardinati nel Piano industriale o in una Strategia di sostenibilità.
Per coloro che gestiscono la risorsa idrica, la “sostenibilità ambientale” dovrebbe essere più di un valore aziendale al quale far riferimento e richiamarsi quando si comunica all’esterno. Essa è e deve rappresentare, piuttosto, un elemento strategico e centrale dell’attività dei gestori del settore idrico.
Il ciclo dell’acqua per essere davvero portatore di concetti “circolari” quali “rigenerazione” o “riuso” deve dunque avvenire in maniera efficiente e virtuosa. Dal prelievo della risorsa fino alla sua restituzione in natura: è indispensabile operare secondo una gestione che minimizzi l’impatto degli elementi di “non sostenibilità”. Eppure quello ambientale non è che un aspetto della questione. Ve ne sono altri due da prendere in considerazione: uno di natura economico-finanziario e l’altro sociale. Il primo riguarda la forma organizzativa di molti soggetti, che in quanto aziende devono rispondere di scelte finanziarie, investimenti e gestione risorse. Il secondo, chiama in causa la garanzia di un accesso al servizio equo, giusto, orientato al benessere per utenti e lavoratori.
A questo si aggiunga che la sostenibilità è una questione ben presente anche nell’agenda dell’ARERA, attraverso le sue tante declinazioni regolatorie: dalla qualità contrattuale e tecnica, agli incentivi alla realizzazione degli investimenti a beneficio dell’ambiente, dalle agevolazioni tariffarie per le famiglie in stato di disagio economico (bonus idrico), all’articolazione tariffaria pro capite, per assicurare equità e tutela della risorsa idrica.
Siamo dunque di fronte a un tema rilevante che merita particolare attenzione e cura. Ma a che punto siamo in Italia?
Abbiamo effettuato un’indagine tra le aziende del servizio idrico per valutare la diffusione delle rendicontazioni di sostenibilità. Dalla ricognizione svolta abbiamo scoperto che su 106 operatori industriali del servizio idrico integrato, sono 40 le realtà aziendali impegnate nella rendicontazione di sostenibilità per una popolazione servita pari a quasi il 50% di quella italiana.
Nella maggioranza dei casi, le aziende hanno adottato un codice etico e sistemi di gestione della qualità, degli impatti ambientali, della salute e sicurezza sul luogo di lavoro. In minore percentuale vi sono coloro che hanno ottenuto certificazioni di un uso efficiente dell’energia, del rispetto della legalità e dell’adozione di norme anticorruzione e di scelte per la riduzione dell’impronta di carbonio.
Meno diffusi, per intanto, sono i casi di integrazione “sistematica” della sostenibilità in azienda: solo 10 operatori hanno sviluppato strategie e piani di sostenibilità specifici (triennali o quinquennali) o incluso obiettivi di sostenibilità e di sviluppo sostenibile (SDGs) nei propri Piani Industriali. Si tratta perlopiù degli operatori di maggiori dimensioni, come le multi-utility quotate e le mono-utility al serviziodi territori popolosi o dei grandi centri urbani. Di rilievo la presenza di piani strategici di sostenibilità anche in alcune gestioni del Mezzogiorno.
Un approccio più maturo significa dotarsi di unità organizzative dedicate, che attuano politiche e azioni d’impatto sociale, etico e ambientale in azienda e si occupano dei rapporti con gli stakeholder, creando momenti di coinvolgimento, ascolto, confronto, dibattito e scambio continuativi, utili a indirizzare un percorso di sostenibilità condiviso e a rinforzare reputazione e fiducia nell’azienda. Anche in questo caso, le gestioni che hanno istituito una funzione specifica di Corporate Social Responsibility o Sostenibilità sono un numero limitato, solo 8. A queste si aggiungono 3 gestioni che hanno incardinato in funzioni di controllo di gestione o affari regolatori la rendicontazione di sostenibilità, o ancora hanno istituito un comitato dedicato alla stessa.
L’avvio della rendicontazione di sostenibilità rappresenta il primo passo del percorso, con la presa di coscienza della necessità di codificare in un documento aziendale l’impegno, la responsabilità, i comportamenti, le ricadute sociali, ambientali ed economiche del proprio operato. Si tratta di una prassi che può essere volontaria, come è per larga parte dei Bilanci di Sostenibilità o dei Bilanci Socio-Ambientali, oppure un preciso obbligo di legge, come è nel caso della dichiarazione non finanziaria (DNF). Rispetto al primo, la DNF è un documento più formale, pensato per essere rivolto primariamente a finanziatori e istituzioni.
Tuttavia, entrambi i documenti devono essere redatti secondo metodologie e principi previsti da standard, con l’individuazione degli aspetti da rendicontare tramite un’analisi di rilevanza o “analisi di materialità”. Che sia obbligatoria o volontaria, la rendicontazione di sostenibilità si pone come cartina al tornasole della sostenibilità in azienda, dell’impegno profuso, delle strategie e iniziative di miglioramento adottate, mostrando i progressi raggiunti.


A livello geografico, la copertura della popolazione residente servita da gestori che rendicontano è pressoché totale in Emilia-Romagna e Puglia, superiore al 70% in Veneto, Toscana, Lazio e Piemonte. Sono questi i territori nei quali il consolidamento gestionale è più avanzato e dunque è più diffusa la presenza di operatori industriali di maggiori dimensioni, tra i quali l’attenzione alla rendicontazione di sostenibilità è un obbligo di legge o comunque un’esigenza sentita maggiormente.
Al Sud la rendicontazione di sostenibilità rimane ancora poco diffusa, portata avanti con continuità solo da Acquedotto Pugliese (dal 2014) e da Siciliacque (fin dal 2009), grossista siciliano, mentre il gestore unico della Basilicata, Acquedotto Lucano, ha pubblicato nel 2017 un report di sostenibilità triennale (2015-2017). Si tratta di gestioni che rappresentano un’eccezione virtuosa e quasi pionieristica nel contesto del Mezzogiorno.
Negli anni la rendicontazione di sostenibilità ha trovato sempre maggiore diffusione e continuità, anche se si riscontrano casi di gestioni che l’hanno interrotta, con un apprezzabile incremento nell’ultimo biennio. Un risultato frutto del recepimento della Direttiva 2014/95/UE, che ha reso obbligatoria dal 2017 la redazione della DNF per le società quotate o per quelle che hanno emesso strumenti finanziari su mercati regolamentati.
I gestori che hanno una più lunga tradizione e esperienza di rendicontazione sono le mono-utility di maggiori dimensioni e i grandi gruppi multi-utility, con ogni probabilità le prime in ragione della dimensione del bacino servito e le seconde della gamma di servizi presidiati (accanto al servizio idrico, la distribuzione di energia e gas o la gestione di una o più fasi del ciclo dei rifiuti): dimensione e complessità organizzativa sono dunque i veicoli di una più sentita esigenza di dialogo con i portatori di interesse, in virtù dell’ampiezza e della intensità degli impatti economici, sociali e ambientali. Non mancano tuttavia anche gestioni di medie dimensioni.
La quasi totalità degli operatori adotta la medesima metodologia di riferimento: i GRI Standards pubblicati nel 2016, che sono ad oggi lo standard più diffuso e riconosciuto a livello internazionale in materia di rendicontazione di carattere non finanziario.
Quale il bilancio di questa indagine? Se si può di buon grado affermare che la sostenibilità è parte integrante della gestione idrica, sono ancora una minoranza gli operatori che rendicontano la propria sostenibilità, e ancora meno quelli che hanno raggiunto un livello “sistematico” di integrazione di queste prassi in azienda, con obiettivi incardinati nella gestione, nel Piano industriale o in una strategia di sostenibilità. In concreto, sono ancora poche le aziende che si pongono in modo sistematico rispetto ai temi della sostenibilità. Anche laddove è presente la forma, resta aperto un tema di sostanza.
In conclusione ribadiamo quanto accennato all’inizio: oltre che utile per comunicare all’esterno, la rendicontazione di sostenibilità è strumento prezioso per valutare le policy interne e la capacità di definire e attuare strategie in grado di dare risposte alle aspettative degli stakeholder. Ma perché abbia un senso compiuto, essa deve passare da semplice strumento di comunicazione a vero e proprio elemento informativo della pianificazione e sviluppo di una strategia.