L’aumento dello stress idrico e dei fenomeni siccitosi minaccia la disponibilità della risorsa idrica. Il riuso delle acque reflue depurate a scopi produttivi, agricoli e civili diversi dal consumo fornisce un contributo fondamentale per la sicurezza e la continuità degli approvvigionamenti. L’assetto normativo e le tecnologie disponibili dovrebbero garantire un riuso che minimizzi i potenziali rischi, ma è ancora assente uno schema tariffario che permetta il recupero integrale dei costi per i progetti di riutilizzo di acqua depurata.
Climate change e uso delle acque reflue depurate
Periodi di siccità sempre più prolungati e ripetuti stanno contribuendo a rendere gli effetti del climate change sempre più evidenti e, di conseguenza, più necessari gli interventi pensati per mitigarne la forza. Nel caso dell’acqua, è fondamentale trovare soluzioni concrete in grado di preservare le attuali fonti di approvvigionamento idrico per consentirne un utilizzo sostenibile e duraturo nel tempo.
La scorsa estate il 46% del territorio europeo ha presentato un deficit di umidità dei suoli, mentre un 11% è risultato in stato di allerta con stress sulla vegetazione. Nel nostro Paese, già a giugno 2022, l’Osservatorio sugli utilizzi idrici sottolineava come il bacino del Po stesse registrando la peggiore crisi da 70 anni ad oggi e come fosse più arduo soddisfare il fabbisogno per gli usi civili, irrigui e ambientali. Per non parlare di questo 2023, nel quale alle scarse precipitazioni dell’inverno e parte della primavera sono seguite forti e abbondanti piogge che hanno generato enormi danni nelle Marche e soprattutto in Emilia-Romagna.
In questo contesto, alla fine del 2022 il Consiglio dei Ministri aveva proposto lo stato di emergenza per il deficit idrico conclamato in gran parte delle Regioni del Centro-Nord del Paese, mentre più recente è l’emanazione del Decreto-Legge 14 aprile 2023, n. 39 con il quale il Governo ha varato una serie di misure urgenti per contrastare la scarsità idrica e per potenziare le infrastrutture idriche.
Tra le varie iniziative previste dal Decreto, una parte importante (articolo 7) è dedicata al riutilizzo delle acque reflue depurate in agricoltura, che beneficia di procedure agevolate fino al 31 dicembre 2023 per gli impianti di depurazione già in esercizio.
Il riuso delle acque reflue urbane depurate ha molteplici applicazioni, dal settore agricolo a quello industriale, nei centri urbani e nell’ambiente. Per il primo caso, è certamente una risorsa preziosa per l’irrigazione dei campi arricchita dalla disponibilità di nutrienti.
Oltre all’utilizzo irriguo in agricoltura, le acque reflue depurate possono essere reimpiegate nel settore industriale come acque di raffreddamento, per l’alimentazione delle caldaie, come acqua di processo e nell’edilizia. Nelle aree urbane, possono essere utilizzate per l’irrigazione di parchi e zone residenziali e per usi ricreativi e ambientali che comprendono, anche, diverse applicazioni come la ricarica dei laghi o stagni e corsi d’acqua.
Inoltre, con finalità ambientali, l’acqua recuperata può essere riutilizzata anche per la ricarica della falda sotterranea. In particolare, molto interessanti sono le applicazioni negli acquiferi costieri, in quanto sistemi idrogeologici più sensibili al fenomeno dell’intrusione salina, che può essere contrastata tramite l’immissione in falda di acque reflue affinate. Chiaramente, ciascun ambito di riuso richiede il rispetto dei parametri di qualità e standard di riferimento.
Nonostante i benefici sopra descritti e i molteplici impieghi possibili, in Italia, i reflui potenziali che raggiungono una qualità tale da essere destinati al riutilizzo sono mediamente il 23% del volume depurato (dati 2020), con punte del 41% nel Nord-Ovest e valori più bassi nel Centro (6%). Tuttavia, appena il 4% risulta effettivamente destinato al riutilizzo (principalmente per uso irriguo), quasi esclusivamente nelle regioni settentrionali (ARERA – Relazione Annuale – Stato dei Servizi 2020).
In questo contesto, il regolatore nazionale del servizio idrico, ARERA, ha ribadito che “valuta opportuno lo sfruttamento delle potenzialità del riuso della risorsa idrica, per esempio attraverso il ricorso al riutilizzo delle acque reflue, anche promuovendo l’attivazione di misure e di progetti con la finalità di ampliare la capacità di depurazione e di recupero delle acque reflue”. In questo senso, l’Autorità considera prioritaria l’attuazione del Regolamento europeo 25 maggio 2020, 741/2020, recante “Prescrizioni minime per il riutilizzo dell’acqua”, secondo i principi generali del “full cost recovery” e del “chi inquina paga”, ai fini di una corretta allocazione dei costi di gestione degli impianti destinati al riutilizzo garantita dal regolatore nazionale.
Del resto, la possibilità di riutilizzo delle acque reflue depurate è più che mai strategico: un’indagine condotta dal Laboratorio REF Ricerche nell’estate 2022 ha mostrato che il riuso in agricoltura delle acque reflue depurate è tra le priorità indicate tanto dai cittadini quanto dagli addetti ai lavori, seconda solo alla riduzione delle perdite idriche e alla tutela della risorsa.
Un successivo quesito, invece, permette di appurare l’effettiva adesione ad alcune azioni prospettate, da cui si evince che 9 cittadini su 10 sono favorevoli al riuso delle acque in agricoltura, distribuite in modo omogeno fra le macroaree del Paese. Se questo è il quadro, è il momento di creare le condizioni normativo-regolatorie affinché le tecnologie di depurazione e affinamento delle acque reflue si diffondano e il riuso delle acque entri finalmente tra le buone pratiche sia in agricoltura sia nell’industria.
Negli stati dell’Unione Europea entrerà in vigore il 26 giugno 2023 il nuovo Regolamento del Parlamento e del Consiglio europeo EU 2020/741 che definisce per la prima volta i requisiti minimi per l’utilizzo in ambito irriguo delle acque di recupero. Questo documento promuove un utilizzo sostenibile dell’acqua, così come già delineato dalla direttiva quadro sulle acque (Direttiva 2000/60/CE), introducendo una disciplina armonizzata per la gestione e il controllo dei rischi sanitari e ambientali. Basandosi sul piano d’azione sull’economia circolare, mira a incentivare la tutela delle risorse idriche attraverso il prolungamento del ciclo di vita dell’acqua, mediante il riutilizzo di quella già estratta dall’ambiente, in modo da rispondere alla crescente pressione dei cambiamenti climatici e dell’antropizzazione, identificati tra le cause della scarsità di acqua.
Aspetti economici legati al riutilizzo delle acque reflue
Il riutilizzo delle acque reflue rappresenta uno strumento per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile previsti dall’Agenda 2030 sulla risorsa idrica (il 6.3) e allo stesso è chiaramente contemplata tra le attività previste dalla Tassonomia UE che possono fornire contribuire positivamente all’obiettivo di tutela della risorsa idrica e delle acque marine. Il riuso si configura come una delle migliori pratiche di economia circolare, come strumento efficace di riduzione del consumo della risorsa alla fonte e di contrasto agli effetti dei cambiamenti climatici.
In un contesto storico in cui i fabbisogni idrici del settore agricolo rischiano di non trovare adeguata copertura dalle fonti primarie, diviene urgente oltre che necessaria la sperimentazione di modelli economici incentivanti, volti ad indurre il sistema agricolo all’utilizzo di acqua trattata, in alternativa all’emungimento da pozzi o da bacini naturali.
Come rilevato da alcuni studi in ambito UE, nel settore agricolo i prezzi pagati per l’acqua di irrigazione sono ancora ben al di sotto dei livelli richiesti per assicurare il recupero integrale dei costi finanziari, per non parlare della mancata valorizzazione dei costi ambientali e di tutela della risorsa, con un ricorso ancora piuttosto comune a tariffe forfettarie basate sull’estensione dei terreni da irrigare, chiaramente in contrasto con i criteri di incentivo economico ad un uso efficiente dell’acqua. Attualmente, nel nostro Paese il riuso delle acque depurate è finanziato principalmente con risorse pubbliche o sovvenzioni incrociate, in un contesto generale di deregolamentazione dove la mancanza di un assetto condiviso ne disincentiva chiaramente lo sviluppo. Oltre alle più comuni barriere di tipo economico-finanziare, legate al costo di finanziamento e mantenimento delle tecnologie, e di tipo sociale, riguardanti la generale sfiducia nella qualità delle acque depurate, anche la mancanza di regole che disciplinano l’accesso alla risorsa può essere un ostacolo, per il permanere di condizioni di preferenza all’utilizzo di acqua dolce da approvvigionamento autonomo.
Lo status quo anche di fronte alle sfide poste dal cambiamento climatico viene preferito nel momento in cui le istituzioni preposte alla tutela della risorsa non vadano ad articolare puntualmente gli schemi di riuso sia da un punto di vista tecnico che economico.
In particolare, sotto il profilo economico è stato dimostrato che la disponibilità all’utilizzo di acqua di riuso è fortemente influenzata dalla differenza di prezzo tra acqua dolce e acqua di riuso, evidenziando come la prima causa effettiva di limitazione allo sviluppo del riuso è proprio la disponibilità di acqua dolce a basso prezzo. Un aspetto evidente anche nei fatti di cronaca che raccontano di una corsa a realizzare pozzi artesiani privati da parte di ampi strati del tessuto agricolo, con l’unica conseguenza di andare a prelevare acqua dolce nelle medesime falde da cui si alimenta il servizio idrico, aggravando il fenomeno della subsidenza e configurando un chiaro conflitto tra usi.
Riuso: quali schemi tariffari?
Il mutato scenario che sta vivendo il nostro Paese richiede dunque urgentemente una rinnovata azione da parte dei policy maker per implementare nuovi meccanismi di tipo economico che possano incentivare l’utilizzo delle acque di riuso al fine di ridurre drasticamente il prelievo di acqua dolce dalle fonti primarie.
Sotto il profilo tariffario, una prima opzione potrebbe risiedere nel far ricadere i costi di investimento (Capex) e quelli di gestione (Opex) degli impianti dedicati all’affinamento di acque reflue per il riuso industriale o agricolo nella tariffa del servizio idrico integrato, pagata dunque dalle utenze domestiche e commerciali (utenze civili). A questo proposito il metodo tariffario idrico per il periodo 2020-2023 (MTI-3) ha esplicitato una serie di misure tese a valorizzare gli interventi finalizzati a migliorare la sostenibilità e la resilienza a fronte del cambiamento climatico, individuando quattro pilastri ambientali sui quali intervenire.
All’interno di questo quadro, la vendita di acqua reflua trattata e affinata è indentificata come “altra attività idrica”, ovvero come attività tesa a promuovere obiettivi di sostenibilità energetica e ambientale attraverso le infrastrutture del servizio idrico. Il MTI-3 garantisce al gestore, che si prodiga in attività finalizzate al riuso delle acque reflue depurate, il riconoscimento di un profit sharing pari al 75% sulla eventuale redditività generata, con la restante parte destinata a contenere gli incrementi della tariffa del servizio idrico.
Un meccanismo premiante per i gestori del servizio idrico che però ad oggi è rimasto in gran parte sulla carta per mancanza di una significativa domanda di acqua di riuso da parte degli utilizzatori terzi, tipicamente dei settori agricolo ed industriale, in un contesto che almeno fino ad oggi è stato caratterizzato da una disponibilità di risorsa a basso costo. Inoltre, nell’ambito di scenari di sostituzione della fornitura da acqua potabile ad acqua di riuso per utenti (industriali o agroindustriali) già allacciati alla rete di acquedotto del servizio idrico, occorre valutare il beneficio economico netto che deriva dal venire meno dei ricavi da tariffa (per l’acqua venduta) rispetto alla marginalità trattenuta dal gestore dalla vendita di acqua di riuso.
Una differente opzione è quella di immaginare una tariffa ad hoc per gli utilizzatori finali del settore agricolo e industriale, legata allo scopo del riuso (“fit-for-use”), tale per cui per cui i settori con particolari necessità, sia qualitativa che quantitativa, siano chiamati a contribuire maggiormente al finanziamento dell’utilizzo di tecnologie di depurazione ed affinamento delle acque depurate più avanzate e potenzialmente più costose.
In tale schema, risulta ragionevole offrire più di un tipo di acqua depurata, a seconda delle necessità dell’utilizzatore finale, legando quindi gli standard depurativi da applicare ai reflui con la destinazione di riuso, tenendo conto della fattispecie di riutilizzo, diretto (che vede il refluo depurato direttamente reimpiegato a scopo irriguo) o indiretto (ove il refluo depurato è riversato in corpo idrico destinato all’uso irriguo): ad esempio, un’eccessiva eliminazione di azoto e fosforo potrebbe non essere necessaria qualora l’acqua sia destinata al riuso agricolo, in quanto tali sostanze vengono reintegrate dagli agricoltori stessi per garantire la produttività dei terreni. Un aspetto che nella recente proposta di revisione della Direttiva europea 91/271 sulle acque reflue sul trattamento delle acque reflue non risulta adeguatamente chiarito, in quanto i nuovi obiettivi di trattamento terziari e quaternario appaino imposti a prescindere da potenziali sbocchi in termini di riuso.
Al netto degli aspetti qualitativi dell’acqua di riuso, l’incentivazione ad un loro maggiore utilizzo si renderebbe possibile solo se il prezzo dell’acqua depurata e affinata risultasse inferiore al prezzo dell’acqua dolce, tale per cui la prima si configurasse come bene sostitutivo della seconda.
In conclusione
Se l’acqua di riuso assume il ruolo di fonte idrica alternativa all’acqua prelevata direttamente dalle fonti naturali, tuttavia, da un punto di vista economico, il riutilizzo dell’acqua depurata rappresenta uno degli ostacoli più limitanti per la sua attuazione su larga scala, principalmente a causa dei costi da sostenere. Il prezzo dell’acqua di riuso deve riflettere i costi sia di investimento che di esercizio dei diversi trattamenti che le acque reflue devono subire per raggiungere la qualità richiesta per il loro utilizzo finale.
La letteratura accademica ha dimostrato che fino ad oggi il principio del recupero integrale dei costi non è stato rispettato nella quasi totalità dei progetti di riutilizzo dell’acqua depurata. In questo senso, il primo passo per migliorare l’applicazione del criterio del full cost recovery è identificare le barriere che impediscono di stabilire tariffe più elevate per il riutilizzo dell’acqua. In linea generale, vi deve essere una accettazione diffusa del principio “chi inquina (consuma) paga“, un criterio che oggi è sostanzialmente accettato dagli utenti civili allacciati al servizio idrico integrato, ma che, per esperienza, non è diffuso nel settore industriale e agricolo. Inoltre, sarebbe auspicabile sviluppare campagne educative e di sensibilizzazione ambientale rivolte a tutti gli stakeholder, con un focus particolare su quei settori oggi ancora esclusi dall’adozione del principio “chi inquina paga”.
Una presa di coscienza che deve essere integrata con la consapevolezza che i soli costi diretti di investimento ed esercizio non riflettono i costi evitati o i benefici esterni associati agli schemi di riuso dell’acqua depurata. In questo senso dovrebbero giocare un ruolo più incisivo i cosiddetti costi ambientali e della risorsa (ERC) la cui corretta valorizzazione in un sistema di gestione integrata delle risorse idriche renderebbe economicamente sostenibili i progetti di riuso, tenendo conto anche dei costi di opzioni alternative di approvvigionamento idrico, dal prelievo dalla fonte, alla desalinizzazione e alla raccolta dell’acqua piovana.
Un’analisi integrata dei costi e benefici economici ed ambientali delle diverse soluzioni può permettere una programmazione più efficace delle azioni da intraprendere, con l’impegno da parte di tutto il sistema acqua ad esprimere una tariffazione a costo pieno di tutte le fonti idriche, non solo di quelle afferenti al servizio idrico integrato.
È parimenti chiaro che l’applicazione rigorosa del principio del full cost recovery ai progetti di riuso con una tariffa a totale carico degli utenti finali porterebbe quasi certamente ad un fallimento “ab origine”. In questo contesto, la mano pubblica dovrebbe supportare finanziariamente lo sviluppo di tali progetti, valorizzando implicitamente le esternalità positive di tipo ambientale a beneficio dell’intera collettività. In questo particolare contesto storico andrebbe dunque valutata anche la possibilità di dirottare parte delle risorse del PNRR da altri capitoli di spesa, ove maggiori sono le difficoltà di realizzare gli investimenti, a progetti di adeguamento dei depuratori ai fini di sviluppare il riuso delle acque reflue affinate. Lo stress idrico conclamato in Italia (e non solo) potrebbe giustificare in sede UE una riconversione in questo senso delle linee di intervento, facendo perno sugli obiettivi del Green Deal in materia di tutela della risorsa idrica e degli ecosistemi acquatici.
In linea generale, il principio del recupero integrale dei costi tenendo conto delle esternalità ambientali rappresenta un obiettivo ambizioso e di lungo periodo al quale il nostro Paese non può più sottrarsi.
L’acqua di riuso può divenire il primo terreno di effettiva applicazione di tale principio, attraverso un percorso graduale che veda da una parte la costruzione di un meccanismo di formazione delle tariffe per gli utenti finali (industriali e agricoli) e dall’altro un sostegno pubblico attraverso contributi finanziari alla spesa per gli investimenti necessari all’adeguamento infrastrutturale che possa contenere lo sviluppo tariffario. Principi già patrimonio del servizio idrico integrato e che dovrebbero trovare una naturale estensione anche agli altri settori idro-esigenti anche attraverso campagne di sensibilizzazione per incoraggiare il riutilizzo sistemico dell’acqua depurata.