Il mercato del trattamento del rifiuto organico vive una fase di grande incertezza. La regolazione ARERA è messa in discussione da alcune sentenze del giudice amministrativo. Parimenti, le scelte di alcune Regioni in materia di “impianti minimi” sono state censurate. Urge un intervento chiarificatore statale che misuri i fabbisogni residui e indichi le Regioni e gli impianti necessari a riequilibrare i divari territoriali. Un compromesso tra i principi di libera circolazione dei rifiuti a recupero e di prossimità del loro trattamento.
Rifiuto organico. Cosa sta accadendo?
Dei 19 milioni di tonnellate di rifiuti raccolti nel 2021 (dati ISPRA), il 40% è riconducibile al cosiddetto “rifiuto organico”, cioè l’insieme di frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU) e verde. Oggi, questa tipologia di rifiuto, la più presente nelle nostre raccolte differenziate, è divenuta oggetto di un acceso dibattito intorno a due principi fra di loro antitetici come la libera circolazione dei rifiuti avviati a recupero, da un lato, e la riduzione della movimentazione degli stessi, dall’altro. Nel mentre, la regolazione in materia proposta da ARERA è messa in discussione da alcune sentenze del giudice amministrativo. Ugualmente, le scelte di alcune Regioni in materia di “impianti minimi” sono state censurate. In questo senso, si fa sempre più urgente un intervento chiarificatore statale che misuri i fabbisogni residui e indichi le Regioni e gli impianti necessari a riequilibrare i divari territoriali. In modo da chiarire – definitivamente – il confine tra mercato/concorrenza e regolazione/privativa.
Si tratta, dunque, di questioni di notevole portata sia per le conseguenze sugli assetti di mercato del rifiuto organico sia per le implicazioni in prospettiva per tutti gli altri rifiuti avviati a recupero.
Il rifiuto organico. In viaggio da Sud a Nord
La bilancia commerciale regionale del rifiuto organico, elaborata sulla base dei flussi import–export, presenta risultati peculiari nel Paese. La mappa seguente non va interpretata come il deficit di trattamento delle regioni, quanto è piuttosto una fotografia dell’esito dell’applicazione di un filtro di efficienza economica negli equilibri di produzione di rifiuto e offerta impiantistica di ciascuna regione, rispetto ad un mercato che è chiaramente di dimensione nazionale.

Gli esiti di mercato documentano ad oggi una movimentazione verso Nord del rifiuto organico, come risultato di un sistema industriale più competitivo perché in grado di coniugare il recupero di materia con quello di energia.
L’organico tra TUA, regolazione e PNGR. Brevi spunti di riflessione
Proviamo a considerare i diversi elementi di questo puzzle di non semplice risoluzione, lasciando gli approfondimenti alla long version di questo Position Paper.
Il Testo Unico Ambientale
Nel nostro Paese la gestione del rifiuto organico vede coesistere un assetto di mercato definito ex lege nel TUA (Testo Unico in materia Ambientale, D.Lgs. 152/2006) con una prassi regolatoria e amministrativa non sempre coerente. Secondo il TUA (l’Art. 181, c. 5), al pari degli altri rifiuti urbani differenziati destinati al riciclaggio o al recupero, per il rifiuto organico è sempre consentita la libera circolazione sul territorio nazionale, al fine di favorirne il più possibile il recupero, privilegiando il loro trattamento in prossimità del luogo di produzione, per ridurne la movimentazione.
Giova ricordare che l’autosufficienza è parimenti un principio codificato nel TUA, che però è riferito solamente allo smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti decadenti dal loro trattamento, non risultando quindi applicabile alle frazioni avviate a recupero.
La regolazione ARERA delle tariffe di accesso agli impianti
Nell’agosto 2021, ARERA (Delibera 3 agosto 2021 363/2021/R/rif ) stabilisce i criteri per le tariffe di accesso agli impianti di trattamento della frazione organica, in analogia con quanto previsto per gli impianti che trattano il rifiuto urbano residuo (trattamento, recupero energetico e discariche). Adottando un approccio asimmetrico, ARERA affida alle Regioni il compito di classificare gli impianti in tre categorie: “minimi” e “integrati”, oggetto di regolazione tariffaria dei costi; “aggiuntivi”, esclusi dalla regolazione delle tariffe al cancello e liberi di confrontarsi sul mercato.
L’Autorità chiede alle Regioni di esprimersi entro il 30 aprile 2022, a valle di un’istruttoria circa l’”esistenza di pressione competitiva nel contribuire alla promozione di efficienza allocativa”, come ben specificato nel MTR-2.
A distanza di qualche mese, le Regioni si attivano per classificare gli impianti senza però fornire elementi utili a rendere intelligibili le scelte operate (Position Paper n. 208), interpretando il disegno regolatorio solo parzialmente e aprendo la strada a ricorsi che hanno messo in discussione non solo le scelte delle Regioni, ma anche l’intero impianto della regolazione delle tariffe al cancello di ARERA.
PNGR e i principi di autosufficienza e prossimità
Nella prima metà del 2022, viene quindi approvato il Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti (PNGR), ai sensi dell’Art. 198-bis del TUA, riforma abilitante del PNRR. Tuttavia, il PNGR nasce privo di quei contenuti programmatici indicati all’Art. 195 del TUA, che avrebbero potuto offrire chiarezza all’applicazione dell’istituto degli “impianti minimi” introdotto dalla regolazione ARERA. In questo modo è venuta dunque a mancare una strategia nazionale, che sarebbe risultata oltremodo utile nel guidare la destinazione dei fondi del PNRR.
Il programma indica chiaramente l’obiettivo di autosufficienza regionale nel trattamento della frazione organica, aprendo comunque alla possibilità di accordi tra Regioni nell’ambito della medesima macroarea.
Il favor per l’autosufficienza sulla libera circolazione nel PNGR sottende un duplice intento: ridurre la movimentazione del rifiuto organico per ragioni di carattere ambientale, alla luce delle caratteristiche di biodegradabilità e putrescenza del rifiuto e concretizzare un impegno a carico delle regioni in deficit a realizzare gli impianti mancanti. Così facendo, pur tuttavia, il PNGR ha posto le basi per una lettura restrittiva ed erronea del principio di libera circolazione, in contrasto con la norma primaria, come rilevato anche da AGCM e che ha poi “orientato” le scelte operate anche dalle Regioni in tema di “impianti minimi”.
La Segnalazione AGCM
Nella riunione del 20 dicembre 2022, l’AGCM segnala possibili distorsioni della concorrenza in esito ai provvedimenti adottati dalle Regioni Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia in attuazione della già menzionata deliberazione ARERA.
L’Autorità ritiene condivisibile, in una prospettiva concorrenziale, l’utilizzo dell’istituto regolatorio degli “impianti minimi” proposto da ARERA nelle situazioni di deficit impiantistico e di fallimento di mercato e l’opportunità di sottrarre al mercato i relativi flussi di organico a trattamento, direzionandoli mediante lo strumento della programmazione agli impianti più prossimi, con l’applicazione di tariffe al cancello regolate.
L’interpretazione di AGCM conferma quindi la ratio sottesa all’impianto regolatorio di ARERA, secondo cui la sottrazione dei flussi al mercato si giustifica solo per un tempo limitato e funzionale al raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio territoriale.
Specularmente, laddove la dotazione impiantistica è sufficiente a innescare dinamiche competitive, in virtù di una capacità di trattamento adeguata alla domanda, gli “impianti minimi” non possono essere giustificati.
Secondo l’AGCM, la prossimità non è da intendersi necessariamente entro i confini regionali, bensì tenendo conto della distanza tra il luogo di produzione dei rifiuti e l’impianto di trattamento. Pertanto, impianti extra regionali potrebbero presentare una distanza inferiore rispetto ad infrastrutture ubicate all’interno della regione.
La giustizia amministrativa si esprime sugli “impianti minimi”
L’ultimo tassello è rappresentato dai recenti pronunciamenti della giustizia amministrativa (TAR Lombardia, TAR Emilia-Romagna). Il filo conduttore è il ricorso presentato da diversi operatori contro l’individuazione degli “impianti minimi”, effettuata da talune Regioni (Emilia-Romagna, Puglia), in ossequio al quadro regolatorio delineato da ARERA con la Deliberazione 363/2021, e le conseguenze derivanti da tali scelte sugli assetti di mercato.
Cosa emerge dalle sentenze?
Primo, che la deliberazione ARERA sugli impianti “minimi” interviene su una competenza statale, ovvero entra nel merito dei contenuti del PNGR, secondo quanto definito dall’Art. 198-bis del TUA. Secondo, che si sarebbe ribaltata la logica sottesa agli atti programmatori in campo ambientale, perché la programmazione regionale ha assunto il rango di prima istanza rispetto ad un’attività di indirizzo e programmazione che è di competenza statale. Terzo, che ARERA attribuisce alle Regioni poteri che il Legislatore NON ha assegnato loro. Così facendo, si realizza un trasferimento a livello locale di attribuzioni che competono al livello centrale. Infine, l’Autorità esercita un potere che esula dal proprio mandato regolatorio. Il PNGR doveva individuare i criteri per classificare gli “impianti minimi” e solo successivamente ARERA poteva regolarne gli aspetti tariffari.
Rifiuto organico: quale mercato?
Ancorché si tratti di primi orientamenti della giustizia amministrativa, le recenti pronunce giurisprudenziali rappresentano un primo “chiarimento” sul confine tra mercato/concorrenza e regolazione/privativa nel trattamento della FORSU, imponendo una riflessione sul disegno di mercato desiderato e desiderabile. Il contesto di grande fermento che sta interessando il mercato del trattamento dell’organico, sulla scia degli incentivi al biometano e degli investimenti del PNRR, non fa che aumentare la necessità di chiarimenti.
Innanzitutto, urge un intervento statale. Le evidenze emerse dai procedimenti analizzati sembrano suggerire, ora, l’opportunità di un intervento chiarificatore del Ministero ancora prima che del Legislatore al fine di definire il disegno di mercato per il trattamento della frazione organica. Appare fondamentale trovare un punto di raccordo – a livello normativo e regolatorio – tra i principi di libera circolazione e prossimità con riferimento al rifiuto organico: una strategia nazionale che incanali i contenuti del PNGR e guidi l’intervento regolatorio di ARERA.
Lo scenario più probabile è allora quello delineato dalla lettura congiunta delle diverse Sentenze e della Segnalazione AGCM: un percorso che, laddove adottato sin dall’inizio, avrebbe avuto il pregio di codificare una strategia nazionale, di orientare le iniziative degli operatori verso i territori realmente deficitari, mettendo a disposizione i fondi del PNRR per sopperire ai reali fallimenti di mercato, consentendo infine alla regolazione ARERA di coniugare la tutela degli utenti con il sostegno agli investimenti.
La configurazione di mercato che ad oggi appare più coerente è quella in grado di coniugare gli esiti di mercato con le esigenze di infrastrutturazione.
La macroarea Nord, dotata di un surplus impiantistico e di una pluralità di operatori, dovrebbe essere lasciata alla concorrenza nel mercato, con il trattamento svolto nell’impianto che presenta il miglior compromesso tra distanza ed efficienza ambientale.
Gli impianti localizzati in macroaree in deficit e in regioni parimenti in deficit – esistenti, in esercizio o da realizzare – dovrebbero configurarsi come “impianti minimi”, così da sostenere la chiusura dei divari, unitamente all’apporto derivante dagli investimenti del PNRR. Il superamento dei deficit dovrebbe poi condurre all’avvio di un mercato di macroarea in grado di assicurare che la movimentazione del rifiuto avvenga entro distanze ragionevoli, entro i confini regionali o in regioni contigue.
Rimangono, tuttavia, aperte diverse questioni. È evidente, infatti, come un intervento statale debba tenere in considerazione sia i possibili effetti distorsivi della concorrenza sia gli aspetti ambientali derivanti dal trattamento delle frazioni organiche. Una ricostruzione che è mancata nel PNGR e che con ogni probabilità potrà essere superata con un riesame periodico (ARERA aveva indicato alle Regioni di rivedere le loro valutazioni a cadenze biennali) in considerazione degli avanzamenti nel percorso di infrastrutturazione dei territori, della progressiva chiusura dei divari territoriali e della sussistenza delle condizioni per la transizione al mercato degli impianti (“minimi”) localizzati nelle regioni che partono da situazioni deficitarie.
Non solo. Laddove attuato, l’intervento statale dovrà entrare nel merito di due altre questioni rilevanti, ovvero come classificare da un punto di vista regolatorio gli impianti finanziati con le risorse del PNRR e, ancora, quali criteri adottare per misurare le rigidità strutturali del mercato, evitando così di sostenere la creazione di capacità in eccesso.