I rifiuti speciali, ovvero quelli prodotti dalle attività economiche, crescono più del PIL. I rifiuti da rifiuti sono circa un quarto degli speciali prodotti, a testimoniare un modello di gestione orientato a massimizzare il recupero di materia, ma a cui occorrono anche impianti di destinazione finale, per assicurare la gestione efficiente degli scarti, e minimizzare lo smaltimento. Una recente Sentenza del Consiglio di Stato ferma un impianto perché il fabbisogno a cui intende rispondere non è documentato: è questa una delle questioni che dovranno essere affrontate dal prossimo Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti.

Nel 2019, la produzione di rifiuti speciali ha totalizzato quasi 154 milioni di tonnellate, in crescita del 7% sul 2018 e del 16% rispetto al 2015 (Rapporto Rifiuti Speciali di ISPRA, 2021).

Benché, di questi, l’84% rientri fra quelli originati dalle attività economiche, il dibattito sulla gestione dei rifiuti appare spesso catalizzato da quelli di origine urbana, che contano “appena” 30 milioni di tonnellate l’anno. Se, da un lato, il diretto contatto con la quotidianità dei cittadini e la gestione comunale spiegano in parte questa maggiore attenzione, dall’altro lato, anche i rifiuti speciali richiedono analisi e studi in grado di fornire indicazioni sulla migliore soluzione da adottare. Anche perché, il progressivo aumento dei volumi non ha portato alla presenza di nuovi impianti in grado di gestirli.

Non solo. A ciò si aggiunga che l’andamento sul lungo periodo (2010-2019) ricalca quello del PIL, evidenziando quindi l’assenza del tanto auspicato disaccoppiamento tra la quantità di rifiuti prodotti – che deve decrescere – e il prodotto interno lordo – che invece è opportuno cresca. Un obiettivo che, ad oggi, è ancora lontano dall’essere pienamente raggiunto (si veda Position Paper n. 189).

La gestione dei rifiuti speciali in Italia

Ma come procede la gestione dei rifiuti speciali nel nostro Paese? Per quanto riguarda i volumi di rifiuti speciali gestiti nel 2019, si tratta di quasi 164,5 milioni di tonnellate. Un dato, questo, in forte crescita sia rispetto a quello dell’anno precedente (+8%), sia se raffrontato con quello del 2015 (+21%). Come spiegato dall’ISPRA, il quantitativo di rifiuti gestito diverge da quello prodotto per ragioni insite nel ciclo gestionale e imputabile ai trattamenti intermedi.

Il riparto tra le attività di recupero e quelle di smaltimento dei rifiuti speciali vede: 132,8 milioni di tonnellate per le prime (81%) e 31,6 milioni di tonnellate per le seconde (19%).

Per quanto concerne il dettaglio delle attività di recupero dei rifiuti speciali prevale decisamente il riciclo/recupero di altre sostanze inorganiche, con cui vengono gestiti 64,4 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, tra cui rilevano gli inerti. Largamente marginale risulta essere il recupero energetico, che interessa poco più di 2 milioni di tonnellate di rifiuti speciali.

Relativamente alle attività di smaltimento dei rifiuti speciali, lo smaltimento in discarica riguarda circa 12 milioni di tonnellate, mentre l’incenerimento a terra poco meno di 1,2 milioni di tonnellate. Al netto di una quota più che marginale (11.537 tonnellate) di iniezioni in profondità, la quota prevalente, rispetto al totale di 31,6 milioni di tonnellate, è quella dei trattamenti intermedi, con 18,4 milioni di tonnellate (58,3% del tutto).

In questo caso, l’incidenza del recupero per tali rifiuti è inferiore a quella complessiva sull’insieme dei rifiuti speciali gestiti, risultando pari al 54%, per un totale di volumi recuperati di 16,3 milioni di tonnellate. Lo smaltimento, invece, si attesta al 46%, derivante dai 14 milioni di tonnellate di rifiuti ivi destinati.

A tali valori, si aggiungono i rifiuti speciali derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani. Il 52% degli 11,6 milioni di rifiuti speciali urbani viene smaltito in discarica, a fronte del 16% avviato a recupero di materia. Poco meno di un rifiuto su tre, circa il 28% del tutto, viene recuperato energeticamente o incenerito.

Nel complesso, consolidando i dati sulla gestione dei rifiuti speciali con quelli afferenti agli speciali da urbani, è dunque possibile individuare un insieme di 20 milioni di tonnellate di rifiuti speciali da rifiuti avviati a smaltimento. È altresì evidente il fatto che lo smaltimento in discarica riveste ancora un peso preponderante quale forma di gestione dei rifiuti da rifiuti, interessando una tonnellata su due tra i rifiuti prodotti dal trattamento dei rifiuti, inclusi gli speciali da urbani.

Si tratta di un ammontare di rifiuti che andrebbe minimizzato, e idealmente azzerato, al netto di frazioni residuali per cui lo smaltimento rappresenta l’unica opzione viabile. Occorre agire implementando un’adeguata dotazione infrastrutturale di impiantistica di trattamento finale che consenta il passaggio verso forme di gestione preferibili in termini di economia circolare.

Del resto, appaiono manifeste le potenzialità di ampliare il ricorso al recupero energetico, alla luce della tipologia di rifiuto considerato, valorizzando adeguatamente degli scarti che altrimenti finirebbero in discarica senza alcun beneficio ambientale (si veda Position Paper n. 168).

Un approfondimento merita, poi, la gestione dei fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue urbane. Basata per lo più sullo smaltimento, essa sfiora il 56% del totale gestito nel 2019, a fronte di poco più del 41% che viene recuperato. A chiusura del totale, circa il 3% dei fanghi gestiti sono stati posti in giacenza al 31 dicembre 2019. Indubbiamente, si tratta di valori disallineati rispetto a quella che dovrebbe essere una gestione corrispondente ai principi dell’economia circolare, ove il problema dei fanghi in uscita dalle attività di depurazione dovrebbe, invece, costituire una risorsa pienamente recuperata e valorizzata, grazie alle forme più avanzate di trattamento.

Bilancia commerciale: positiva in poche realtà regionali

Per avere un quadro più completo, occorre analizzare il saldo della bilancia commerciale dei rifiuti speciali, in termini di differenze import/export. Emerge, in primo luogo, che il bilancio complessivo a livello nazionale chiude in positivo di 3,1 milioni di tonnellate, quale esito di un import pari a 7,1 milioni e di un export di 3,9 milioni, a conferma di come l’Italia sia uno dei poli europei del recupero dei rifiuti speciali.

In seconda battuta, è utile sottolineare che il saldo attivo si origina pressoché integralmente in due regioni: Lombardia e Friuli-Venezia Giulia che, da sole, cumulano un surplus di 4,3 milioni di tonnellate ricevute, rispetto a quelle inviate fuori confine. Tale dato sottende, pertanto, una forte connotazione territoriale, che andrebbe più propriamente delimitata alle regioni in questione e più nel dettaglio al comparto metallurgico, capace di attrarre rifiuti metallici da Germania, Francia e Austria, accreditandosi come un esempio di circolarità Made in Italy

Inoltre, i 3,9 milioni di tonnellate di rifiuti esportati nel 2019 sono in forte crescita rispetto ai 3,1 che venivano esportati nel 2016.

Ancorché rispondente a logiche di libero mercato, e frutto dell’agire del singolo operatore, ogni tonnellata di rifiuto che non può essere valorizzata e recuperata in Italia rappresenta – in ogni caso – un piccolo fallimento per l’intero Sistema-Paese, un’occasione mancata per creare occupazione e valore aggiunto. Il tutto, a detrimento dell’ambiente per via degli impatti negativi generati dalla movimentazione dei rifiuti.

L’importanza di una dotazione impiantistica adeguata

Tale questione, inevitabilmente, ne porta con sé un’altra: la necessaria presenza di un’adeguata dotazione impiantistica. In questo senso, l’Italia può contare su 10.839 impianti nel 2019 per la gestione dei rifiuti speciali, in leggera diminuzione rispetto agli 11.209 del 2017 e ai 11.087 del 2016. Un dato significativo perché – senza lasciarsi impressionare dalla quantità – è sintomo di un’eccessiva parcellizzazione della capacità impiantistica, che ostacola l’innovazione e lo sviluppo industriale.

Un ulteriore approfondimento è dato dal riparto territoriale dell’impiantistica per la gestione dei rifiuti speciali. Infatti, i 10.839 impianti censiti nel 2019 si collocano in larga parte al Nord: 6.152 siti di trattamento (57%) a fronte dei 1.980 presenti al Centro (18%) e dei 2.707 ubicati al Sud (25%). La sola Lombardia, con i suoi 2.180 impianti, presenta una dotazione infrastrutturale superiore a quella del Centro, e non troppo distante da quella del Sud. Se alla Lombardia si cumula il Veneto, la dotazione delle due regioni è superiore a quella delle altre aree del Paese.

Una collocazione impiantistica che, seppure sbilanciata a favore di un’unica area del Paese, appare riflettere la distribuzione del tessuto economico-industriale italiano.

A questo va sommata la crescita degli “stoccaggi”, spia delle difficoltà nei trattamenti finali rilevate in diverse aree del nostro Paese. Dai 14,7 milioni di tonnellate del 2015, ai 18 milioni del 2019: nell’ultimo quinquennio vi è stato un incremento del totale complessivo di rifiuti speciali stoccati in attesa di un successivo trattamento.

Queste difficoltà acclarate nella chiusura del ciclo si traducono in sbilanci su base regionale piuttosto trasversali, anche alle regioni del Nord. Complessivamente, il saldo tra la produzione di rifiuti speciali da avviare a recupero energetico e a smaltimento e la capacità di gestione di tale ammontare fa registrare un saldo negativo di oltre 2,4 milioni di tonnellate, di cui 1,8 milioni vengono esportati per lo smaltimento o l’incenerimento e 0,6 sono stoccati mediante deposito preliminare.

A fronte, infatti, di una produzione di 17,7 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, da smaltire o valorizzare energeticamente, la capacità di gestione eccede appena i 15,2 milioni, dando origine allo sbilancio di cui sopra.

Un tema, quello della mancanza di infrastrutture di trattamento finali, che richiederà un ruolo più attivo delle pianificazioni di settore, anche alla luce di recenti sentenze del Consiglio di Stato, che richiedono una più attenta coniugazione del principio di prossimità con quello di specializzazione impiantistica. In aggiunta, la Sentenza n. 5025 del 1° luglio 2021 chiama la necessità di documentare l’origine territoriale dei fabbisogni impiantistici a cui un impianto intende rispondere, onere che rimane in capo a chi chiede una autorizzazione a realizzare un impianto per il trattamento dei rifiuti speciali.

Un principio, quello della prossimità, che peraltro può trovare accoglimento solo con riferimento al fabbisogno di impianti per il recupero energetico e lo smaltimento, destinati cioè a garantire la chiusura del ciclo, mentre per il recupero di materia va da sé che la prevalenza del principio della specializzazione dell’impianto dovrebbe sempre assicurare la libera circolazione dei rifiuti in regime di libero mercato.