Secondo l’autorità antitrust Emilia e Friuli avrebbero sfruttato “con finalità intenzionalmente protezionistiche” il sistema di tariffe al cancello lanciato da Arera per spingere la costruzione di impianti nelle regioni meno infrastrutturate.

Doveva servire a tutelare i cittadini e a colmare i gap di trattamento nelle regioni meno infrastrutturate, e invece il sistema di tariffe al cancello definito da Arera rischia di diventare strumento per la svolta protezionistica delle regioni che di impianti ne hanno già a sufficienza. È l’allarme lanciato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che in una segnalazione inviata alla conferenza delle regioni (e per conoscenza anche al governo, alle camere e all’Arera) punta il dito contro le delibere con le quali nei mesi scorsi Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia hanno individuato gli impianti considerati ‘minimi’, ovvero indispensabili a soddisfare la domanda regionale di trattamento della frazione organica dei rifiuti urbani, da assoggettare al nuovo meccanismo di tariffe al cancello lanciato dall’autorità di regolazione.

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La scelta delle due regioni, invece, rischia di sortire effetti opposti, tra cui quello di “mantenere in vita impianti che potrebbero anche essere meno efficienti e non possono avvantaggiarsi delle migliori condizioni economiche e qualitative ottenibili in un regime concorrenziale”. In un regime di libero mercato, l’impianto inefficiente, che lavora male e magari costa di più, chiude. Ma se i flussi sono stabiliti a monte e le tariffe sono bloccate, può continuare a funzionare. Anche se poi finisce per penalizzare i cittadini “chiamati a pagare prezzi più alti, perché non derivanti da procedure competitive, ma da una regolamentazione al costo”. Un rischio che nei mesi scorsi era stato denunciato anche dal laboratorio Ref in un position paper.

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