Gli schemi di responsabilità estesa del produttore per la filiera degli imballaggi sono chiamati a conformarsi ai requisiti minimi delle direttive del Pacchetto Economia Circolare e agli specifici requisiti della Direttiva sulle plastiche monouso. Le scelte in materia di responsabilità finanziaria dei produttori e diversificazione contributiva giocheranno un ruolo determinante.

Gli italiani oggi? Un popolo di consumatori piuttosto preoccupati per il degrado ambientale che proviene dall’eccessiva produzione di rifiuti. Stando a una recente indagine realizzata da REF Ricerche, il 95% dei nostri connazionali dichiara di essere preoccupato dall’inquinamento da plastica e microplastica, un sentimento che va di pari passo con l’idea che l’ambiente abbia un impatto diretto sulla qualità della vita e sulla salute dei cittadini. Non solo pensieri, ma anche impegni concreti visto che l’85% degli intervistati ritiene che il consumatore, attraverso le sue scelte d’acquisto, possa fare molto per indirizzare i produttori verso l’impiego di confenzioni riciclabili, ma non solo. Il 69% degli italiani è pronto a spendere più denaro se il prodotto acquistato è confenzionato in modo ambientalmente sostenibile, con il packaging di plastica nel ruolo di “osservato speciale”. Tuttavia, se impegno al cambiamento ci deve essere, che questo sia ripartito secondo responsabilità fra i soggetti interessati.

Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine

Fonte: Indagine “Ambiente, responsabilità, abitudini e packing” di REF Ricerche per UNICOOP Firenze

Per l’87% degli intervistati i produttori hanno una responsabilità nella tutela dell’ambiente, e la grande distribuzione deve darsi obiettivi chiari: sostituire le confezioni di plastica con altre riusabili e/o compostabili (94%) e ridurre le confezioni in plastica monouso (93%). Compito delle istituzioni pubbliche, invece, intervenire “a monte”: sensibilizzando l’opinione pubblica per ridurre l’inquinamento da plastica e microplastica, incentivando i prodotti riciclabili e tassando quelli non riciclabili, imponendo limitazioni alla vendita dei prodotti in plastica monouso.

Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine

Fonte: Indagine “Ambiente, responsabilità, abitudini e packing” di REF Ricerche per UNICOOP Firenze

Tuttavia, la “responsabilità” del produttore, chiamata in causa dai consumatori nostrani, non è una questione nuova nell’ambito delle politiche ambientali e della sostenibilità. Anzi, contrassegnata dalla sigla EPR (Extended producer responsibility o responsabilità estesa del produttore), essa nasce circa 30 anni fa dal presupposto che il produttore di un bene è responsabile anche per la fase post-consumo, ovvero per la sua gestione una volta diventato rifiuto. L’idea che stava alla base di questa teoria era che per risolvere il problema degli imballaggi – di plastica e non solo – bisognasse intervenire a monte dei processi di produzione, fin dalla progettazione dei prodotti [1].

Una questione nota, studiata e ampiamente normata sia a livello nazionale che europeo sia con le recenti Direttive del cosiddetto Pacchetto Economia Circolare che conquella sulle plastiche monouso e il loro successivo recepimento da parte degli Stati membri, Italia compresa.

Un sistema, quello dell’EPR nazionale, che per essere armonizzato alle norme comunitarie dovrà essere sottoposto a diverse modifiche, già nei prossimi mesi. Vediamo le principali.

Innanzitutto, in coerenza con il principio di concorrenza (art. 237 del D.Lgs. 152/2006), esso dovrà “promuovere l’accesso alle infrastrutture di raccolta differenziata e selezione da parte dei sistemi di responsabilità estesa autorizzati, in condizioni di parità tra loro”

Ciò significa che i diversi sistemi di EPR autorizzati, qualora operanti nella stessa filiera (es. la filiera degli imballaggi in plastica), dovranno poter accedere ad una quota dei “propri rifiuti” derivanti dalle attività di selezione – effettuate a valle delle raccolte differenziate – e proporzionale al proprio immesso sul mercato. Fino ad oggi, tale possibilità risultava di fatto in contrasto con gli impegni sottoscritti tra le parti nell’ambito dell’accordo fra ANCI e CONAI, il Consorzio Nazionale Imballaggi.

Inoltre, è auspicabile che il nuovo schema EPR ponga l’accento su temi quali prevenzione, riutilizzo e riciclabilità degli imballaggi immessi sul mercato, evitando di disperdere risorse per la gestione di flussi crescenti di rifiuti non riciclabili raccolti in maniera differenziata.

In questa direzione, la diversificazione contributiva è uno degli strumenti cardine, in linea con il principio europeo “chi inquina paga”, potenzialmente in grado di influire sulle scelte dei produttori in materia di progettazione dei prodotti immessi al consumo e, di conseguenza, su quelle degli utilizzatori, in relazione alla tipologia di imballaggi con i quali confezionare i propri prodotti.

Le modalità con le quali saranno applicate, nella pratica, le scelte in materia di diversificazione contributiva saranno centrali rispetto alla reale capacità di orientare i comportamenti di produttori e utilizzatori verso scelte in linea con il “nuovo” paradigma dell’economia circolare.

Ad oggi, soltanto alcuni schemi EPR in Europa hanno già sviluppato sistemi di diversificazione contributiva che tengono conto degli aspetti ambientali del prodotto (es. selezionabilità, riciclabilità, riutilizzabilità, contenuto di materiali riciclati). Negli ultimi anni, per ovvi motivi, l’attenzione al tema della diversificazione contributiva è stata rivolta principalmente al settore degli imballaggi in plastica e, secondariamente, a quello degli imballaggi in carta e cartone. Tra gli esempi più interessanti il sistema di diversificazione contributiva adottato da CITEO in Francia, quello olandese (Afvalfonds Verpakkinge) e quello Italiano (CONAI).

Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine
Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine

In Italia, è il CONAI il soggetto che decide (in autonomia) sulla definizione e sulla ripartizione tra i diversi soggetti obbligati del contributo ambientale relativo agli imballaggi. Sulla definizione della natura del contributo ambientale, del suo ambito di applicazione e delle relative modalità di determinazione dovrebbe esprimersi nel prossimo futuro il governo, secondo quanto è indicato dalla Legge di delegazione Europea 2018 (all’art. 16 comma 1 punto 4).

Nel nostro Paese, la diversificazione contributiva nel settore degli imballaggi è stata introdotta per la prima volta a partire dal gennaio 2018 e cioè a vent’anni esatti dall’istituzione del Consorzio da parte del “Decreto Ronchi”. Il sistema riguarda gli imballaggi in plastica e, a partire dal 2019, in maniera molto limitata, gli imballaggi in carta e cartone e tiene conto del diverso grado di selezionabilità/riciclabilità di quelli immmessi sul mercato allo stato attuale delle tecnologie e, per quanto riguarda la filiera delle plastiche, anche della provenienza, distinguendo tra “circuito commercio & industria” e “circuito domestico”.

Pur non essendo allo stato attuale un obbligo di legge, il sistema CONAI ha sempre garantito la continuità del ritiro dei rifiuti di imballaggio conferiti in convenzione su tutto il territorio nazionale, anche dopo il superamento degli obiettivi di riciclo e recupero previsti dalla Direttiva 94/62/CE. E la questione è tutt’altro che scontata dato che la stessa Direttiva 851/2018 non prevede un esplicito obbligo di continuità di ritiro, preferendo esprimersi con un più timido e vago condizionale (“dovrebbe”).

Vi è poi il tema della plastica monouso (cannucce, bicchieri per bevande etc.). A questo si riferisce un’altra norma comunitaria, la Direttiva SUP, nota proprio per i divieti e le limitazioni alla vendita di alcuni di questi articoli. Grazie ad essa si introduce (all’art.8) l’obbligo di istituire regimi di responsabilità estesa del produttore per tutti i prodotti di plastica monouso immessi sul mercato dell’Unione.

Per quanto riguarda il riciclo delle bottiglie in PET per bevande, i target stabiliti da questa Direttiva in materia di intercettazione e avvio a riciclo e i requisiti sulla percentuale minima di materiale riciclato nella fabbricazione di nuove bottiglie richiedono un’attenta riflessione sulle modalità di intercettazione da adottare. Soprattutto perché, ad oggi, gli unici Paesi che hanno raggiunto target di intercettazione vicini o superiori al 90% sono quelli che hanno scelto una raccolta selettiva (cioè che non confonda le bottiglie PET insieme agli altri rifiuti di imballaggio in plastica). E l’adozione di questo sistema è, a tutti gli effetti, un pre-requisito per poter trasformare il PET raccolto in rPET idoneo alla fabbricazione di nuove bottiglie in plastica per liquidi alimentari.

Non solo. L’efficacia dei nuovi regimi EPR nel perseguimento di obiettivi in linea con i principi dell’economia circolare, dipenderà in buona parte anche dall’evoluzione di altri strumenti di politica ambientale adottati a livello comunitario e nazionale. I nuovi schemi EPR dovranno essere coordinati con altri strumenti di tipo regolamentare (es. divieti, target obbligatori, requisiti e standard in materia di progettazione, di etichettatura e di informazione al consumatore), fiscale (imposte, incentivi, disincentivi), con le politiche in materia di GPP (Green Public Procurement), con le attività di formazione, comunicazione e sensibilizzazione, nonchè con l’evoluzione dei sistemi di tariffazione puntuale.