La pandemia e l’esigenza di utilizzare le risorse comunitarie (Recovery Fund) impongono la semplificazione delle procedure
e la riduzione dei tempi di realizzazione delle opere pubbliche. Pur andando nella giusta direzione, le misure approvate
con il DL Semplificazioni andrebbero sostenute anche da previsioni strutturali con un cambio di paradigma da norme
procedurali a norme prestazionali. L’efficacia degli assetti istituzionali locali, la competenza delle stazioni appaltanti e la
sussidiarietà tra istituzioni rimangono, inoltre, imprescindibili.

Procedure, normative e tempi morti. Come nasce unopera pubblica.

“Semplificazione”. Una parola d’uso piuttosto comune nel discorso pubblico del nostro Paese tanto da meritare, in passato, un ministero e un ministro ad essa dedicati. Ora la “semplificazione” – normativa – ritorna prepotentemente d’attualità, considerando l’impellente necessità di riprendere con slancio le attività produttive dopo il lungo lockdown italiano. In molti sono convinti che solo sfrondando o – appunto – semplificando la sovrabbondanza di norme e procedure che regolano ogni aspetto della vita pubblica sia possibile ripartire in tempi brevi.

Un fenomeno, quello della mancanza di semplificazione, che non risparmia il settore idrico, di suo particolarmente bisognoso di investimenti e trasformazioni e che, purtroppo, già sconta forti ritardi. Sebbene il tasso di realizzazione delle opere programmate da parte dei gestori idrici sia in crescita rispetto agli anni precedenti – tra l’83% e l’85% nel biennio 2016-2017 – permangono ostacoli che frenano l’attuazione di quanto pianificato.

Sono almeno tre gli aspetti critici responsabili di mancati interventi e immobilismo. Un primo è riconducibile alla non ancora piena operatività degli Enti di governo d’ambito in alcune aree del paese con il mancato passaggio alla cosiddetta gestione unica: gestori non industriali e poco efficienti difficilmente riescono a realizzare interventi di miglioramento delle infrastrutture.

Secondo elemento riguarda l’assenza di coordinamento per l’ottenimento degli atti necessari all’avvio degli interventi, in particolare per il conseguimento delle autorizzazioni di legge in fase progettuale. Terzo, la presenza di difficoltà applicative nella disciplina degli appalti pubblici (il noto Codice degli Appalti).

A queste tre ragioni strutturali e di antica data si è aggiunto un fattore rilevante: l’emergenza sanitaria per la diffusione della pandemia da COVID-19. Le conseguenze delle misure per il suo contenimento hanno generato pesanti ricadute sulle attività di realizzazione degli investimenti degli operatori, i cui sforzi sono stati orientati ad assicurare la continuità dell’attività ordinaria.

Da un’indagine[1] svolta da ANEA nei mesi della chiusura totale, quasi la metà degli operatori idrici ha dichiarato rallentamenti nell’esecuzione dei Piani di Intervento e un quarto ha lamentato criticità e ritardi nelle opere destinate a superare le infrazioni comunitarie. Solo il 15% dei gestori riteneva di riuscire a realizzare comunque gli investimenti programmati nel 2020.

Nel processo che conduce alla realizzazione di interventi nel Servizio Idrico Integrato entrano in gioco differenti tipi di disposizioni: da quelle relative al procedimento amministrativo, alle normative in materia di contratti pubblici, che governano i modi e i tempi di espropriazioni e autorizzazioni di diverso tipo e le procedure per l’affidamento dei lavori.

In sintesi, vi sono almeno 3 fasi principali: la progettazione, l’affidamento dei lavori e l’esecuzione, collaudo ed entrata in esercizio dell’opera.   

La prima è piuttosto complessa, essendo essa stessa composta di ulteriori momenti quali: una corposa fase autorizzativa, una più propriamente progettuale e una di consegna e validazione complessiva del progetto; a quanto detto si aggiunga che ciascun livello di progettazione è poi sottoposto a diverse attività di verifica, validazione ed approvazione.

La fase progettuale è pertanto quella in cui si annidano le norme che appesantiscono i procedimenti autorizzativi e in cui si verificano le procedure eccessivamente “burocratizzate”. Solo per la fase “preliminare” di verifiche e valutazioni fatte con soprintendenza, gestori di aree protette o enti pubblici come ministero, regione, comune e  enti di governo d’ambito si calcolano tempi medi di attesa per un via libera anche di 90 giorni. Nulla in confronto a quanto accade nel momento di “progettazione definitiva”, visto che si possono attendere anche 6 mesi per ottenere un’approvazione.

Ma non è tutto. Alle tre fasi sopra citate (e le relative sottofasi, se così vogliamo chiamarle) bisogna aggiungere anche i cosiddetti “tempi di attraversamento” tra la fine di una fase operativa e l’inizio di quella successiva. Questi “momenti morti” o “interfasi” sono riconducibili a un insieme di attività prevalentemente amministrative e burocratiche necessarie per la prosecuzione del percorso, spesso legate a difficoltà e ritardi nell’adozione di pareri e autorizzazioni, nell’emissione di certificati, nel finanziamento dei progetti o nel protocollo della documentazione.

Il “Rapporto 2018 sui Tempi di attuazione e di spesa delle opere pubbliche”, permette di avere un’idea circa le tempistiche che occorrono all’espletamento delle diverse fasi e dei “tempi di attraversamento” tra di esse. Il tempo medio di attuazione delle opere infrastrutturali è pari a 4,4 anni, periodo che aumenta in maniera progressiva e indifferentemente dalle fasi procedurali considerate, al crescere del valore economico dei progetti. Questi “tempi di attraversamento” non sono per nulla trascurabili: essi raggiungono circa il 54% della durata totale dell’iter, più della metà del tempo necessario per la realizzazione.

Tra letre fasi, è sempre la prima (di progettazione) quella maggiormente gravata dal peso di questo “momento morto” (69%), mentre quella di affidamento lavori è quella meno gravata (32%).

Il settore del ciclo integrato dellacque si connota come quello dai tempi più lunghi, secondo solo agli interventi infrastrutturali nel settore trasporti. Le opere legate alla gestione delle risorse idriche hanno tempi medi di attuazione complessivi di 5,3 anni (rispettivamente 2,8 per la progettazione, 0,7 per l’affidamento e 1,8 per l’esecuzione), mentre quelle relative allo smaltimento dei reflui durano in media 4,9 anni (2,5 la progettazione, 0,5 l’affidamento e 1,9 l’esecuzione), con durate direttamente proporzionali agli importi delle opere. Da questi dati si può notare come la fase di progettazione occupi circa lo stesso lasso di tempo impiegato per affidare i lavori ed eseguirli.

Cosa succede nel sistema idrico

Guardiamo nel concreto e consideriamo i 3.021 interventi previsti per i cicli di programmazione delle politiche di coesione 2007-2013 e 2014-2020 e dal valore complessivo di 7 miliardi di euro. Il 78% di essi è localizzato nelle regioni del Mezzogiorno, laddove si registrano le maggiori carenze infrastrutturali, una governance acerba e la mancanza di soggetti industriali.

Ma qual è la situazione ad oggi? Meno di 3 interventi su 10 possono dirsi conclusi, mentre quasi il 60% risulta in corso e il 13% non ancora avviato. Con i dati a disposizione si è calcolato che la durata mediana di un progetto completo relativo alle risorse idriche e allo smaltimento dei reflui è di circa 4 anni e mezzo: aldilà di questo valore numerico in sé è interessante notare come più del 41% di questa durata sia occupata dalla sola fase progettuale e il restante tempo trascorra tra aggiudicazione del bando, stipula del contratto, esecuzione dei lavori e collaudo finale dell’opera. Tali risultati sono in linea con quelli che giungono da altre indagini condotte da agenzie pubbliche[2].

Inoltre, confrontando le durate medie effettive di ogni fase conclusa con quelle preventivate, si registrano più di 100 giorni di ritardo accumulati, in buona parte nella fase di esecuzione lavori.

Analizzando poi le stesse grandezze utilizzando classi omogenee di importo d’opera, emergono notevoli differenze tra le durate medie complessive – che vanno dai 2,6 anni per i progetti finanziati per meno di 200 mila euro a quasi 9 anni per quelli d’importo superiore ai 4 milioni di euro – ma si conferma la struttura a forte incidenza delle interfasi progettuali, che incidono all’incirca quanto le fasi di progettazione vere e proprie (l’incidenza tende a crescere per classi di importo, arrivando a toccare il 50% per opere comprese tra i 2 e i 4 milioni di euro). Pur con lievi differenze, si conferma un’incidenza del 40% della fase progettuale sulla durata complessiva del processo.

Si mantiene invece attorno al 10% l’incidenza della fase di aggiudicazione del bando e successiva interfase precedente la stipulazione del contratto, necessaria a effettuare ulteriori verifiche da parte della stazione appaltante o dovuta a eventuali ricorsi o documentazione scaduta da rinnovare.

Infine, analizzando solo gli interventi che hanno per ente attuatore un gestore del SII, si rileva una durata mediana di realizzazione pari a poco meno di 6 anni, con la fase di progettazione che occupa circa il 40% dell’intero processo e i “momenti morti” all’interno della progettazione che anch’essi incidono per il 40% della durata della fase progettuale.

Cosa se ne deduce? Quando si tratta di interventi legati alle risorse idriche e allo smaltimento dei reflui i tempi di realizzazione sono decisamente lunghi, con momenti d’interfase che rallentano di molto la realizzazione dell’opera. In particolare, questi ultimi arrivano a incidere mediamente per il 40% sulla fase progettuale, che già di per sé rappresenta una quota consistente dell’intero processo in termini di tempo. Numeri davvero rilevanti.

3. Semplificazione e competenze

Torniamo dunque all’importanza di una semplificazione amministrativa. Una recente legge – la n. 76/2020 o cosiddetto Decreto Semplificazioni – propone misure volte a snellire le procedure in materia di contratti pubblici ed edilizia, nel rispetto dei presidi di legalità. Di fatto l’intervento del legislatore permette di operare in deroga alle normali procedure, ma comunque entro il perimetro normativo esistente, introducendo alcune previsioni o precisazioni che possono consentire di agevolare le procedure, da quelle progettuali e autorizzative a quelle di scelta del contraente, affidamento ed esecuzione dei lavori, responsabilizzando i soggetti attuatori e riducendo gli oneri amministrativi.

Al di là della maggiore o minore efficacia di questa legge, certamente per il futuro prossimo sarà necessario provare a passare da un’impostazione degli iter realizzativi imperniata su norme procedurali (il come fare, il processo) a una di norme prestazionali (l’obiettivo, il risultato da raggiungere). Un cambio di paradigma per cui le procedure siano viste come un mezzo e non il fine ultimo: l’orizzonte da raggiungere deve essere quello della realizzazione di opere di qualità nel modo più efficiente possibile. In tal senso bisognerebbe valorizzare il ruolo dei progettisti e delle stazioni appaltanti (non solo in qualità di controllori della regolarità formale) e assicurare l’attribuzione di corretti perimetri di responsabilità agli enti proponenti e alle strutture burocratiche.

Sul fronte della fase autorizzativa si dovrebbe pensare all’opportunità di estendere la procedura speciale accelerata di VIA della Commissione Tecnica prevista per gli interventi del PNIEC anche ai progetti relativi ad altri interventi urgenti, essenziali per garantire la resilienza del Paese (come quelli inseriti nella sezione acquedotto del Piano nazionale di interventi nel settore idrico o quelli ricompresi nei Piani delle Opere Strategiche, introdotti dall’ARERA).

Il tema delle procedure di affidamento è impossibile da racchiudere in un modello ottimale universale, tuttavia gli operatori delle utility chiedono la riduzione del numero di soggetti economici da consultare al momento di procedure negoziate senza bando. Un possibile sviluppo potrebbe essere quello di permettere l’adozione di iter semplificati e rapidi per il processo di autorizzazione ed esecuzione per tutti i progetti concordati e validati nel Piano degli Interventi dei gestori idrici con l’Ente di Governo d’Ambito.

Oltre alla semplificazione, occorre agire per garantire adeguati livelli di competenza delle stazioni appaltanti, soprattutto al Sud. È noto infatti che nelle stazioni appaltanti meno qualificate il ricorso a procedure di affidamento caratterizzate da più alti gradi di flessibilità e discrezionalità (come la procedura negoziata senza bando o l’affidamento diretto), si associ a una peggiore qualità delle imprese selezionate[3]. In gran parte del Sud, anche le mancate condizioni di riassetto della governance e del servizio, mettono a rischio l’utilizzo del Recovery Fund e delle altre risorse pubbliche a disposizione, con la conseguenza di amplificare e trasmettere alle generazioni future il water service divide già presente.

Infatti, il buon funzionamento degli strumenti predisposti dal Decreto Semplificazioni, così come dal Codice degli Appalti e da ogni altro strumento che guidi l’iter di realizzazione di un’opera pubblica, è condizionato dalla presenza di stazioni appaltanti competenti, in grado di utilizzare gli strumenti giuridici disponibili, senza dimenticare il ruolo centrale dalla collaborazione tra istituzioni, specialmente per le opere di maggiori dimensioni.


[1] Per un approfondimento si rimanda al Contributo n.156 “Il servizio idrico nel post covid-19”, Laboratorio REF Ricerche, luglio 2020

[2] Si cita, a titolo di esempio, il Dossier 2015 “Sviluppo delle infrastrutture idriche: Investimenti pubblici nel Servizio Idrico Integrato” curato da #italiasicura, la struttura di missione di Palazzo Chigi contro il dissesto Idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche. Tale analisi – svolta su quasi 6.000 interventi afferenti al servizio idrico e provenienti dalla “banca dati attuazione” dell’Agenzia per la Coesione – giunge a una durata media complessiva di 8 anni e 8 mesi (considerando anche i tempi di finanziamento) e proporzioni paragonabili tra progettazione ed esecuzione delle opere idriche.

[3] Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza “Capitale e investimenti pubblici in Italia: effetti macroeconomici, misurazione e debolezze regolamentari”. Busetti et al., 2019.