La proposta di riforma della Direttiva 2014/95/UE in materia di rendicontazione di sostenibilità intende accrescere la
trasparenza delle informazioni nei confronti dei portatori di interesse. A partire dall’esercizio finanziario 2024, il numero
delle gestioni idriche che rientrerebbero nell’ambito di applicazione della CSRD aumenterebbe di ben 5 volte, da 11 a 55.
A molte di queste realtà verrà richiesto di rispondere obbligatoriamente alle richieste della CSRD senza che abbiano mai
avuto esperienza di rendicontazione di sostenibilità.

Rendicontare la sostenibilità. Cosa accade con la nuova proposta UE

I temi della sostenibilità e della responsabilità sono entrati nel lessico e nella pratica delle organizzazioni – aziendali e non – ormai da diversi anni. In Italia, se fino al 2016 la cosiddetta rendicontazione di sostenibilità era volontaria, dal 2017, il D.Lgs. 254/2016 ha di fatto recepito la Direttiva 2014/95/UE (la Non Financial Regulation Directive o NFRD), rendendo obbligatoriapergrandi imprese o di enti di interesse pubblico di grandi dimensioni, la redazione di una Dichiarazione di Carattere non Finanziario (DNF). Un documento che serve a rendicontare le ricadute dell’attività sui piani ambientale, sociale e di governance – secondo l’ormai nota sigla ESG (Environmental, Social, Governance) – illustrando le azioni intraprese nonché i risultati ottenuti, oltre a una valutazione dei rischi. Tra le informazioni da includere vi sono, dunque, quelle relative all’ambiente, alla gestione del personale, al rispetto dei diritti umani – comprese diversità e inclusione – e alla lotta alla corruzione attiva e passiva (si veda il Position Paper n. 153).

Ora, trascorsi quattro anni dalla prima emanazione, la Commissione europea ha avviato un processo di consultazione per la revisione della direttiva, nell’ambito del rafforzamento del quadro normativo europeo sulla finanzia sostenibile. Conclusasi la consultazione a giugno 2020, il testo della direttiva NFRD è stato aggiornato, integrato e pubblicato ad aprile 2021 sotto forma di proposta di revisione (Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD).

Cosa cambia con questa proposta? Partendo da ciò che non aveva funzionato con la precedente direttiva, si è voluto in prima battuta estendere i soggetti ricadenti nell’obbligo, andando a comprendere un numero di imprese europee 5 volte superiore, includendo anche le PMI quotate. Leimprese soggette agli obblighi di informativa non finanziariapasserebbero dalle attuali 11.700 a 49 mila. Resterebbero escluse le microimprese, anche se quotate, e sarebbero invece esentate le imprese controllate a condizione che la rendicontazione della capogruppo sia conforme agli standard UE (o a principi equivalenti) e che includa le informazioni sulla società controllata.

Sono, poi, introdotte una serie di novità quali, ad esempio, l’obbligo di certificazione esterna, la digitalizzazione del report, la previsione di unico standard europeo di riferimento.

Quali ragioni per questa revisione? Una prima necessità è quella di garantire il soddisfacimento delle richieste di informazioni che già ad oggi provengono dai portatori di interesse; si intende, quindi, facilitare la fruizione delle informazioni sui propri partner commerciali e portatori di interesse (es. fornitori, clienti e partecipate) e divulgarle secondo un unico formato digitale; responsabilizzare le imprese circa i loro impatti sulla società e sull’ambiente e contribuire alla crescita di investimenti sostenibili ad elevato impatto positivo su clima, società, salute, sicurezza eccetera.

Inoltre, consapevole della sfida lanciata, la Commissione europea intende ovviare agli eccessivi oneri ricadenti sulle imprese creando le condizioni – in particolare per le PMI – per soddisfare in maniera efficiente le richieste, garantendo una certa omogeneità e coerenza con altre disposizioni normative.

Una prima forma di cautela in tal senso è data dalla scelta di differenziare le tempistiche di adozione. In particolare, la CSRD dovrebbe essere recepita entro il 1° dicembre 2022, mentre le sue disposizioni dovrebbero trovare applicazione a partire dal 1° gennaio 2023 (o al più tardi nel corso del 2023), ossia con la reportistica pubblicata nel 2024. Per le PMI il periodo transitorio arriverebbe fino al 1° gennaio 2026.

Una novità sostanziale rispetto al passato riguarda la comunicazione e la rendicontazione dell’informativa sulla sostenibilità: si prevede l’adozione di standard unici europei, nei quali saranno dettagliati i principi di informativa sulla sostenibilità, con particolare riguardo a Fattori ambientali con riferimento ai 6 obiettivi ambientali della Tassonomia UE, Fattori sociali e Fattori di governance (per un’analisi più dettagliata della CSRD si rimanda al Position Paper n. 194 Rendicontazione di sostenibilità nel servizio idrico: in arrivo l’estensione dell’obbligo).

Cosa cambia per il settore idrico

La nuova CSRD avrà inevitabilmente un impatto anche sulle aziende dei servizi pubblici locali, caratterizzate, nella loro espressione industriale, da fondamentali economico-patrimoniali tali da poter ricadere nel perimetro più ampio degli obblighi di DNF.

Per analizzarne l’impatto effettivo del nuovo framework, noi del Laboratorio REF Ricerche abbiamo condotto una ricognizione su 144 operatori del servizio idrico integrato per verificare il grado di diffusione di pratiche di rendicontazione della sostenibilità. Del totale dei gestori indagati, il 74% è mono-utility e il 26% multi-utility; di questi ultimi, 13 sono gruppi societari che includono nel perimetro di consolidamento anche delle mono-utility, società controllate a cui sarà richiesto di raccogliere dati e informazioni per il consolidamento nella DNF di gruppo.

L’analisi ha permesso di individuare la presenza di almeno un documento di rendicontazione della sostenibilità in 58 casi. Di questi, 40 sono bilanci di sostenibilità (in 5 casi si tratta di bilanci sociali e in un caso di analisi ambientale), 13 DNF (11 rientranti nell’ambito di applicazione della NFRD e 2 redatte su base volontaria), 3 report integrati e 2 bilanci socio-ambientali. Si registra ancora una percentuale predominante di gestioni (il 60%, ossia 89 gestioni) che non hanno ancora adottato forme di rendicontazione di sostenibilità, e che dovrebbero coniugare nella propria strategia aziendale la sfera ambientale e sociale adottando un approccio inclusivo e trasparente verso tutti i portatori di interesse.

Su 144 gestori, 89 non rientrerebbero nell’ambito della CSRD. La maggior parte (60) sarebbe esclusa per mancanza dei requisiti richiesti dalla direttiva, una piccola quota (12) perché inclusa nel perimetro consolidato di un gruppo, mentre i restanti (17) per entrambi i motivi. In ogni caso, resta ferma la facoltà per tutti gli operatori idrici esclusi dalla nuova CSRD di predisporre volontariamente una propria rendicontazione di sostenibilità per avvicinarsi ai modelli virtuosi esistenti e per precorrere i tempi nell’ambito di un contesto di riforma in continuo mutamento. 

Nell’analisi emerge come, a partire dall’esercizio finanziario 2024, il numero delle gestioni idriche che rientrerebbero nell’ambito di applicazione della CSRD aumenterebbero di ben 5 volte, da 11 a 55: tra questi, 16 sono i soggetti che ad oggi non pubblicano alcun documento di sostenibilità e che si troverebbero ad affrontare un salto di qualità, mentre i restanti 39 già adottano diverse modalità di comunicazionecon differente grado di profondità.

In Italia, la maggior parte degli operatori del settore idrico utilizza le linee guida GRI Standards per rendicontare le informazioni sulla sostenibilità (solo 3 non lo fanno).

La CSRD potrebbe imporre l’adozione di standard comuni europei, recependo gli elementi essenziali degli standard internazionali come i GRI e agevolando per questa via i principali player del settore idrico italiano che già utilizzano questo framework. Per tutti gli altri, sarà necessario un grande sforzo in termini organizzativi e formativi delle funzioni aziendali atte alla raccolta dati, all’analisi e alla predisposizione degli indicatori richiesti. L’auspicio è che tali standard europei possano prevedere l’integrazione degli obblighi di accountability che le varie normative e regolazioni nazionali potranno richiedere, come ad esempio la regolazione ARERA in materia di qualità tecnica del servizio i cui indicatori almeno in parte rientrano nel più ampio concetto di sostenibilità.

Prendendo a riferimento i 39 gestori che già pubblicano una reportistica di sostenibilità, è emerso che buona parte di essi (32) rendicontano obiettivi legati alla sostenibilità, anche se il grado di dettaglio e impegno varia notevolmente. La CSRD specifica che le informazioni rendicontate sulla sostenibilità dovrebbero essere sia qualitative che quantitative, oltre che prospettiche in un’ottica di breve, medio e lungo periodo, richiedendo di fornire indicatori pertinenti per la comunicazione di tutte le informazioni sulla sostenibilità (modello e strategia aziendali, ruolo della governance, politiche sulla sostenibilità eccetera).

Pertanto, abbiamo voluto indagare con quale grado i gestori pongono obiettivi quantitativi fissati ex ante e indicano le azioni concrete tese al loro conseguimento. Tra i 39 documenti analizzati, 10 sono i casi virtuosi, in cui il livello di approfondimento degli obiettivi da conseguire varia a seconda degli strumenti utilizzati, con gestori che elaborano un proprio piano di sostenibilità interno o esterno al report (6 casi) e altri che non strutturano una pianificazione di sostenibilità ad hoc, ma correlano i propri obiettivi quantitativi agli SDGs (4 casi), riportando indicatori quantitativi con cui misurare e monitorare nel corso del tempo il progresso effettivamente ottenuto. In 22 documenti sono presenti obiettivi di natura più qualitativa, principalmente riportati attraverso l’allineamento delle proprie attività o dei propri temi materiali (emersi nell’analisi di materialità) con gli SDGs, attraverso la definizione di azioni propositive rivolte genericamente al futuro, senza indicazioni di tempistiche ben definite.

Nei restanti 7 documenti non vengono esposti specifici obiettivi di sostenibilità; in alcuni casi si riportano semplicemente gli SDGs maggiormente attinenti al proprio contesto, privi di una descrizione delle azioni da implementare o dei KPI di monitoraggio da valutare per il loro raggiungimento.

Una visione prospettica e non solo retrospettiva delle proprie performance di sostenibilità è fondamentale per offrire ex ante ai propri portatori di interesse visibilità sulla strategia e le azioni da intraprendere in un orizzonte di medio e lungo periodo (si veda Position Paper n. 175).

Nei documenti di sostenibilità analizzati si riscontra una presenza diffusa (27 casi) dell’indicazione dei rischi associati ad ogni tema materiale, anche grazie agli obblighi imposti dal D. Lgs. n. 254/2016, oltre alla definizione delle attività di prevenzione e mitigazione. Guardando avanti, tuttavia, con la CSRD sarà necessario dotarsi di una struttura di Risk Management in grado di integrare la gestione dei rischi di sostenibilità all’interno dei processi aziendali, che preveda “una descrizione dei principali rischi per l’impresa connessi alle questioni di sostenibilità, il grado di dipendenze dell’impresa da tali questioni, e le modalità adottate per la gestione di tali rischi”.

Nei restanti casi meno virtuosi, privi di una rendicontazione dei rischi, lo sforzo di adeguamento sarà ampio e strutturale per sfociare nell’implementazione di un processo sistematico di identificazione e valutazione dei rischi al fine di una loro gestione consapevole.

Essendo quello idrico un settore per sua natura strettamente connaturato alle tematiche di sostenibilità, la gestione del servizio comporta l’individuazione di una serie di rischi ed elementi di scenario di sostenibilità che impattano sulle attività aziendali, tra cui quello relativo all’utilizzo efficiente della risorsa idrica, attività cuore ed elemento chiave da individuare nella gestione dei rischi di natura ambientale.

Come anticipato, la CSRD sarà integrata all’interno del quadro degli obiettivi ambientali di matrice comunitaria, in particolare dei 6 obiettivi ambientali richiesti dalla Tassonomia UE. Sulla base di questo assunto, abbiamo indagato anche la presenza di questi specifici obiettivi ambientali all’interno dei 37 documenti di sostenibilità disponibili (in 2 casi non è stato possibile svolgere l’analisi per assenza di analisi di materialità). È emerso che le tematiche ambientali che la CSRD richiederebbe di coprire tendono ad apparire con frequenza tra quelle considerate rilevanti nei documenti di sostenibilità degli operatori del settore idrico. Vi è un’attenzione particolare alla rendicontazione degli aspetti riguardanti la mitigazione dei cambiamenti climatici (rendicontata in 35 documenti e riguardante in molti casi la riduzione delle emissioni e l’efficienza energetica), l’uso sostenibile e la protezione dell’acqua (ritrovata in 32 casi) attività core del settore idrico e la transizione verso l’economia circolare, (presente in 31 documenti e legata principalmente alla gestione dei rifiuti, non soltanto nelle multi-utility). Si registra, invece, una minore frequenza degli obiettivi di protezione e ripristino della biodiversità (rendicontata in 14 casi), dell’adattamento al cambiamento climatico (presente solo in 5 documenti), e della prevenzione e riduzione dell’inquinamento (solo in 6 casi).

Per quanto riguarda le tematiche sociali, la CSRD richiederà un’attenzione specifica soprattutto sugli aspetti riguardanti i lavoratori. Il settore dell’idrico mostra particolare attenzione ad alcuni di questi temi, in particolare alla salute e sicurezza sul lavoro, tema considerato materiale da tutti i gestori presi in considerazione. Maggiore approfondimento invece dovrà essere riservato alla tematica relativa al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, in quanto finora solo un numero limitato di aziende del settore (8) riportano informazioni su questi aspetti.

Un’attenzione particolare dovrà essere rivolta agli aspetti di governance, ad oggi per lo più trascurati, mentre maggiore considerazione è stata finora dirottata alla lotta alla corruzione e alla condotta etica del business (rendicontate in 32 casi).

Infine, dei 39 documenti analizzati, ben 24 sono stati revisionati da un ente esterno. Dunque, secondo la nuova direttiva, ai 15 gestori che attualmente non hanno sottoposto ad attività di assurance la propria rendicontazione di sostenibilità, si richiederebbe una preparazione adeguata e consona al fine di gestire l’impatto di una revisione professionale esterna. Prendendo in considerazione la totalità delle gestioni che rientrerebbero nell’ambito della nuova CSRD, vi sono infine 16 gestori a cui nell’arco di poco tempo verrà imposto non solo di redigere un documento ex novo, ma anche di realizzarlo secondo standard più stringenti rispetto a quelli odierni, sottoponendosi anche al vaglio di una revisione esterna.