l numero degli impianti necessari a trattare i rifiuti differenziati continua a essere insufficiente e prelude a nuove emergenze. La regolazione incentivante infatti da sola non basta. Occorre prendere esempio dalle poche regioni autosufficienti.

La regolazione incentivante

Nelle scorse settimane si è chiusa la prima consultazione pubblica sul futuro assetto della regolazione dei rifiuti urbani.

Con il mandato conferito all’Autorità per energia, reti e ambiente (Arera), il legislatore ha indicato nella regolazione incentivante lo strumento per sopperire alle carenze di impianti nel ciclo dei rifiuti urbani.

Infatti, se da un lato le condanne e le sanzioni della Corte di giustizia europea per la mancata chiusura delle discariche hanno dato una spinta alle raccolte differenziate, dall’altro non aver realizzato gli impianti necessari a trattare i rifiuti differenziati (in particolare per l’organico) prelude a nuove emergenze.

Il settore dei rifiuti urbani è fortemente regolato: gli impianti devono essere pianificati dalle regioni, sottoposti a un complesso percorso autorizzativo e di valutazione dell’impatto ambientale.

Le regolazione incentivante può conferire certezza agli investitori, ma ha le armi spuntate se i territori hanno obiettivi non allineati con quelli regionali o, ancora di più, quando si oppongono alla costruzione degli impianti.

In un mercato fortemente governato da procedure autorizzative, l’incentivo economico è condizione necessaria, ma non sufficiente affinché gli impianti che mancano siano realizzati.

L’esempio di due regioni virtuose

La pianificazione regionale (codificata nei Piani regionali di gestione dei rifiuti) è lo strumento con il quale ogni regione misura i propri fabbisogni e verifica di essere o meno autosufficiente nello smaltimento dei rifiuti urbani. Laddove si rinvenga un deficit nel trattamento dei rifiuti, le regioni dovrebbero “pianificare” gli impianti necessari.

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