L’analisi delle predisposizioni tariffarie 2022-2023 consente un bilancio degli investimenti nel terzo periodo regolatorio. Il volume degli investimenti realizzati dalle gestioni industriali idriche si proietta verso gli 80 euro pro capite. Il merito è da ascrivere all’efficacia dei percorsi regolatori introdotti da ARERA e alla accresciuta capacità di procurement ed execution delle aziende idriche, che hanno chiaramente rinforzato la loro vocazione industriale. È migliorata anche la qualità della programmazione degli interventi che ha beneficiato degli indirizzi codificati nella regolazione della qualità tecnica (RQTI) e del rinforzo del meccanismo incentivante di premi e penalità.
L’introduzione della regolazione della qualità tecnica (RQTI) – era il 2017 – ha rappresentato un chiaro impulso agli investimenti attraverso il quale ARERA ha stabilito gli standard di qualità del servizio cui tendere. Gli obiettivi erano colmare i divari, convergere verso standard omogenei di performance ambientali e soprattutto chiudere i conti con il passato: perdite delle reti, interruzioni delle forniture, qualità dell’acqua erogata e depurata, smaltimento dei fanghi ci raccontano di obiettivi e di un perimetro del servizio idrico del XX secolo, che appare già superato. Riuso delle acque depurate, recupero di nutrienti ed energia, produzione di energia rinnovabile, controllo degli inquinanti emergenti, messa in sicurezza degli approvvigionamenti, servizi ecosistemici, drenaggio urbano sostenibile, trattamenti quaternari, sono queste alcune delle nuove sfide per il servizio idrico del XXI secolo. Oggi, l’avvio del quarto periodo regolatorio offre l’occasione per riflettere sul come la regolazione incentivante potrà e saprà intercettare questi nuovi scenari, guidando ancora una volta l’industria idrica verso un nuovo paradigma.
Più investimenti, ma persistono i divari
Nel periodo 2016-2021, gli investimenti realizzati dai gestori industriali del Paese hanno registrato una crescita significativa, passando da 35 euro/abitante a 62 euro/abitante, con un incremento medio del 65%. Un risultato che conferma che la regolazione ARERA è stata in grado di fornire un forte stimolo agli investimenti.
La stabilità dell’assetto regolatorio ha favorito una migliore programmazione degli interventi, cui è seguita una maggiore capacità di realizzazione, permettendo al settore idrico italiano di avvicinarsi, anche se ancora non di raggiungere, le migliori esperienze europee. In particolare, nel biennio regolatorio 2020-2021, i gestori sono riusciti in gran parte a rispettare la pianificazione, registrando tassi di realizzazione anche superiori al 100%, nonostante la crisi pandemica e le tensioni sui prezzi e per l’approvvigionamento di molti materiali.
A livello territoriale, se da un lato la capacità di execution raggiunge livelli elevati anche nel Sud del Paese, con un tasso di realizzazione del 97%, dall’altro sono soprattutto i territori del Nord-Est a trainare l’industria, con livelli di spesa per investimenti realizzati prossimi ai 70 euro pro capite, seguiti dal Centro (66 euro/abitante).
Il quadro positivo però non permette di definire superato il Water Service Divide, giacché i territori del Mezzogiorno si fermano, in media, ad appena 36 euro pro capite nel biennio 2020-2021. In questo senso, le risorse europee del PNRR e del React EU, coadiuvate dal rafforzamento della governance negli Enti di governo d’ambito (EGATO) rimasti sinora inerti, potrebbero fungere da volano per una maggiore efficacia pianificatoria e quindi realizzativa, volta a chiudere i divari infrastrutturali.
Ciò che, inoltre emerge, è che sono le gestioni industriali (con almeno 100 mila abitanti serviti) a raggiungere un tasso di realizzazione superiore al 95%, mentre le più piccole (con meno di 20 mila abitanti serviti) si fermano al 60%. Rispetto al biennio precedente, si riduce significativamente la quota di operatori che registrano un tasso di realizzazione inferiore all’80%, che scende dal 43% al 25% (si veda anche il Position Paper n. 190). Il livello di investimenti realizzati per abitante servito registra un deciso aumento nel biennio 2020-2021, con più di un terzo delle gestioni che si colloca tra i 50 e i 79 euro pro capite, seppure con una variabilità ancora accentuata, anche all’interno della medesima area geografica. Rispetto al biennio 2018-2019, nel 2020-2021 la quota di gestori con una spesa per investimenti superiori ai 50 euro per abitante sale dal 50% al 65%, e un 15% supera gli 80 euro pro capite.
Mancate realizzazioni: difficoltà finanziarie maggiori per le gestioni più piccole
Sulla base delle informazioni fornite dai gestori all’interno delle predisposizioni tariffarie, abbiamo condotto un’analisi sulle cause degli scostamenti tra programmi ed esiti in sede MTI-3, concentrandoci sulle gestioni che hanno registrato un tasso di realizzazione inferiore al 90% (campione di 23 gestioni al servizio di 5,7 milioni di abitanti residenti).
Quali cause, esterne e interne, per queste mancate realizzazioni? La causa esterna maggiormente richiamata dai gestori sono i tempi dilazionati per il rilascio di autorizzazioni e per l’affidamento dei lavori. Una seconda motivazione, ad essa legata, riguarda le procedure di appalto, appesantite dalla disciplina del Codice degli Appalti, da tempi lunghi per l’assegnazione, e dalla possibilità che le gare stesse vadano deserte.
Una quota significativa delle gestioni ha inoltre indicato ritardi nell’ottenimento dei contributi pubblici. Un’evenienza che non ha reso possibile rispettare la pianificazione degli interventi per situazioni di stress finanziario. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, gli aumenti del prezzo dell’energia elettrica hanno provocato ulteriori difficoltà, unitamente alle revisioni al rialzo dei prezzi dei materiali.
Per quanto concerne le cause interne, la principale difficoltà deriva dalla mancata copertura finanziaria degli investimenti, che affligge in particolare le gestioni più piccole.
Da sottolineare come il ruolo della pandemia sia stato citato da 12 gestioni su 23: per alcune, la crisi da Covid-19 ha messo in difficoltà i processi interni, con la necessità di riorganizzare le attività, difficoltà di selezione di personale e chiusura temporanea dei cantieri. Per altre realtà, la pandemia ha causato problemi di approvvigionamento dei materiali di costruzione e ha dilatato ulteriormente le tempistiche delle procedure amministrative.
80 euro pro capite di investimenti programmati nel 2023: l’Italia si avvicina all’Europa
Nel 2023, il livello degli investimenti programmati supera gli 80 euro per abitante residente servito: cifra che, se confermata, andrebbe a ridurre il divario dalle migliori esperienze europee. Una crescita sostenuta anche dai contributi a fondo perduto che nel 2023 raggiungono un livello superiore ai 20 euro pro capite, grazie alle risorse europee del PNRR e del React EU (si veda Position Paper n. 203). In questo senso, sarebbe auspicabile che tale stimolo finanziario di matrice europea potesse sostenere il miglioramento del settore idrico ancora nel tempo, non tanto e non solto per la sua componente finanziaria ma anche per la spinta in termini di capacity building e execution tanto negli EGATO quanto nelle gestioni.
Il ruolo dei contributi a fondo perduto nella programmazione – e realizzazione – degli investimenti si è evoluto nel corso del tempo, anche a causa del peso giocato dalla componente tariffaria relativa al Fondo Nuovi Investimenti (FoNI – si tratta di una componente tariffaria di anticipazione finanziaria vincolata alla realizzazione degli investimenti programmati). Emerge una riduzione dell’incidenza dei contributi a fondo perduto come fonte di finanziamento degli investimenti, che passa dal 15% a meno del 10%. Contestualmente, si ha un sostegno alla finanziabilità degli interventi offerto proprio dal FoNI, il cui livello è aumentato di tre punti percentuali nel corso del periodo 2016-2021.
La programmazione degli interventi è sicuramente dettata anche dagli obiettivi indicati dalla regolazione della qualità tecnica, che indirizza il settore verso elevati standard di servizio. Così, rispetto al precedente biennio regolatorio (2020-2021), nel 2022-2023 una quota maggiore degli investimenti è stata destinata alla riduzione delle interruzioni del servizio (macro-indicatore M2), a discapito di interventi volti alla riduzione delle perdite idriche (M1).
Ad eccezione di questi scostamenti, nel quadriennio 2020-2023 non si sono verificate fluttuazioni significative nella pianificazione degli investimenti, con oltre il 40% delle risorse destinato al segmento di acquedotto.
La qualità contrattuale, invece, occupa un posto residuale all’interno dei Piani degli Interventi. Un’evidenza che può essere spiegata dal fatto che i maggiori investimenti per adeguarsi operativamente agli standard previsti dalla regolazione della qualità contrattuale (RQSII), adottata prima rispetto alla RQTI (2014), sono stati realizzati negli anni precedenti.
Da un punto di vista territoriale, si notano differenze nelle decisioni di investimento. I gestori del Centro hanno concentrato i propri sforzi nel segmento di acquedotto, in particolare per la riduzione delle interruzioni del servizio (M2) rispetto agli altri territori. Gli interventi per il servizio di fognatura (M4) ricevono minori risorse in confronto agli altri segmenti, ad eccezione delle gestioni nel Nord-Ovest, che vi dedicano la maggior quota, pari al 23% degli interventi totali. Il Mezzogiorno si focalizza invece sul miglioramento della qualità dell’acqua depurata (M6), destinandovi quasi un quarto degli investimenti complessivi.
È interessante notare, inoltre, come alcune gestioni del Centro Italia destinano una quota rilevante delle risorse ad interventi rivolti ad assicurare il rispetto dei prerequisiti per accedere al meccanismo di premi e penalità. Nello specifico, gli operatori hanno previsto investimenti per adeguare gli agglomerati oggetto di condanna della sentenza C-668/19, che produrrà effetti sul meccanismo incentivante solamente a partire dalla prossima raccolta dati per RQTI; ulteriori somme inoltre sono destinate al mantenimento dei prerequisiti relativi alla misura dei volumi e alla robustezza dei dati da rendicontare.
La regolazione incentivante ha dunque offerto una spinta chiara e indiretta anche alla chiusura delle pendenze ereditate dal passato.
Qualità tecnica: un deciso passo avanti delle performance soprattutto per l’acquedotto
Come sono state le performance dei gestori nel biennio 2020-2021? L’andamento di ogni macro-indicatore è stato analizzato confrontando gli obiettivi previsti per il 2021 con il livello e la corrispondente classe per l’anno 2019 e sulla base di valutazioni quali: “obiettivo raggiunto”, “miglioramento”, “stabile”, “peggioramento” (per un’analisi dettagliata si rimanda alla long version del presente Position Paper).
Nel complesso si registra un miglioramento generale del servizio, con oltre la metà delle gestioni che ha raggiunto l’obiettivo previsto o comunque migliorato le performance rispetto al livello di partenza: si passa dal 56% per la qualità dell’acqua depurata ad addirittura il 94% in relazione alle perdite di rete.
Quest’ultimo macro-indicatore (M1) aveva registrato nel precedente biennio il grado più basso di miglioramento rispetto agli altri cinque; se era dunque lecito attendersi un cambio di passo, è sicuramente positivo notare che quasi tutti i gestori sono stati capaci di migliorare le proprie prestazioni.
Anche il macro-indicatore M2 relativo alle interruzioni di rete presenta un grado di raggiungimento dell’obiettivo o di miglioramento comunque elevato, superiore al 90%, e questo sebbene la misura fosse esclusa dal meccanismo incentivante per gli anni 2018-2019, dal momento che allora numerose gestioni non erano in grado di rendicontare il macro-indicatore in maniera robusta.
Per quanto riguarda la qualità dell’acqua potabile distribuita (macro-indicatore M3), presenta una buona percentuale di gestioni che hanno raggiunto l’obiettivo o migliorato la performance, con numerosi operatori che hanno registrato un “doppio salto”, passando dalla classe E alla classe C.
Il servizio di fognatura (macro-indicatore M4) presenta invece, rispetto all’acquedotto, una percentuale inferiore di gestori che hanno migliorato il proprio servizio. Rispetto al 2019, emerge un quadro di sostanziale equilibrio, con poche gestioni che sono riuscite a scalare la classe di appartenenza, e al contempo numerosi operatori ancora collocati in classe E. Per quanto riguarda il servizio di depurazione, più di un gestore ha presentato istanza per il mancato rispetto del prerequisito, a causa delle sentenze di condanna pronunciate dalla Corte di Giustizia Europea, per gli agglomerati che non hanno ancora raggiunto la conformità. Sono presenti, tuttavia, casi in cui sono stati realizzati gli interventi volti al superamento delle criticità, circostanza che ha permesso a queste gestioni di rispettare il prerequisito, nonostante lo stato di avanzamento del percorso di adeguamento non sia aggiornato a livello europeo.
La gestione dei fanghi di depurazione (macro-indicatore M5) registra complessivamente un miglioramento, con circa l’80% che hanno raggiunto l’obiettivo previsto o ridotto il livello di fanghi destinati alla discarica, confermando dunque il buon livello di M5 del 2019. Al contrario, nell’ambito della qualità dell’acqua depurata (macro-indicatore M6) si registra la percentuale più bassa di gestioni, in termini di popolazione servita, che hanno migliorato la propria performance, con quasi la metà degli operatori che non sono riusciti a migliorare il livello del 2019.
Una situazione non ancora omogenea, nonostante i passi in avanti
Benché si registrino miglioramenti in tutti i segmenti, i livelli dei macro-indicatori risultano ancora molto eterogenei tra i diversi territori del Paese.
I progressi di maggiore portata si osservano nelle aree con livelli degli indicatori di perdite idrichepiù alti, a segnalare che i divari si stanno chiudendo. Complessivamente, le perdite di rete lineari hanno registrato una riduzione decisa, pari al 21%. I gestori del Centro presentano i miglioramenti più ampi nell’ultimo biennio, con una riduzione delle perdite lineari del 27% e una discesa di 8 punti delle perdite percentuali, riuscendo a migliorare la classe di merito da D a C.
Il macro-indicatore relativo alle interruzioni del servizio (M2) presenta una situazione asimmetrica tra il Nord e il Centro Sud del Paese. Da un lato, le gestioni del Nord-Ovest e del Nord-Est rientrano in Classe A, con valori allineati, costanti e inferiori a 1; dall’altro, le gestioni del Centro e del Mezzogiorno presentano livelli decisamente elevati, che collocano entrambe le aree del Paese nella classe più bassa, la C. Differenze così marcate sono spiegate da specificità territoriali, con valori di M2 particolarmente elevati nel Lazio e in Abruzzo. Tuttavia, escludendo queste situazioni di particolare anomalia, la media italiana del macro-indicatore M2 scende a 5,54, con il gestore “virtuale” medio italiano che si posizionerebbe in Classe A.
Per quanto concerne la qualità dell’acqua potabile (M3), nonostante si registri un generale miglioramento in tutti e tre i sotto-indicatori, anche prendendo in considerazione il periodo 2016-2021, gli sforzi profusi non permettono alle gestioni di uscire dalla Classe E, ad eccezione dell’area del Nord-Est. Il risultato è dovuto principalmente al contesto operativo delle gestioni: la vetustà e l’obsolescenza delle infrastrutture, per la cui sostituzione sono necessari sforzi finanziari non sostenibili dalle rispettive gestioni, non consentono un miglioramento dell’indicatore relativo alla qualità dell’acqua erogata.
Il servizio di fognatura (M4) presenta un miglioramento, seppur di portata non sufficiente ad assicurare un salto di classe: il posizionamento medio delle gestionisi conferma in Classe E.
La gestione dei fanghi (M5) regista un miglioramento sostanziale. Dopo un aumento della percentuale dei conferimenti di fanghi in discarica nel primo periodo di applicazione della RQTI, nell’ultimo biennio le gestioni sono riuscite a produrre una riduzione complessiva di quasi il 60% rispetto al 2019: tutte le aree del Paese rientrano ora in classe A. Il Nord-Ovest si conferma il territorio con l’incidenza minore di fanghi destinati alla discarica, mentre i gestori del Mezzogiorno presentano ora una percentuale inferiore a quella del Nord-Est.
L’ultimo macro-indicatore, relativo alla qualità dell’acqua depurata (M6), misurata come tasso percentuale di campioni che superano il limite di emissione per rispetto al totale dei campioni effettuati, presenta miglioramenti in tutte le aree del Paese e una chiara tendenza alla chiusura dei divari.
La questione della misurazione delle perdite idriche
Infine, vi è un’altra importante questione che merita attenzione e cioè quanto l’indicatore che misura le perdite idriche percentuali sia adatto a valutare le performance di sistemi acquedottistici in presenza di territori con caratteristiche diverse per morfologia e densità delle utenze. Segnali non coerenti emergono dall’osservazione delle rendicontazioni 2021, che presentano talvolta andamenti discordanti tra perdite lineari e percentuali.
In un momento in cui si sta discutendo di indicatori univoci a livello comunitario nell’ambito della Direttiva Acque Potabili, si possono configurare le condizioni per una rivisitazione delle modalità di misurazione degli obiettivi di riduzione delle dispersioni idriche, anche in un’ottica di analisi costi-benefici per tenere conto sia degli aspetti economici sia ambientali.
La regolazione della qualità tecnica nasce per indirizzare gli sforzi dei gestori verso i segmenti del servizio che presentano un maggiore fabbisogno, perché più distanti dagli standard di qualità indicati dall’Autorità. Per questo, gli indicatori dovrebbero fornire indicazioni corrette sia per le gestioni più piccole sia per quelle di maggiori dimensioni, indipendentemente dalla popolazione servita e dal contesto territoriale in cui operano.
Le scelte di investimento delle gestioni sono dunque influenzate dagli obiettivi della RQTI, fissati sulla base dei valori raggiunti da ciascun macro-indicatore nel precedente biennio. In questo senso, la selezione degli indicatori deve essere effettuata in modo particolarmente attento, per evitare di fornire segnali fuorvianti o contraddittori ai gestori e guidare verso l’allocazione efficiente delle risorse.
Non solo. A questo si aggiunga l’urgenza di un coordinamento tra RQTI e Tassonomia dell’Unione europea. Quest’ultima per valutare la sostenibilità del servizio idrico con riferimento alle perdite di rete ammette, oltre all’Infrastructure Leakage Index, altro indicatore fortemente criticato, l’utilizzo di un altro metodo appropriato di misurazione delle perdite di rete ai sensi dell’art. 4 della Nuova Direttiva Europea Acque Potabili. Tuttavia, i metodi alternativi di misurazione delle perdite ad oggi non sono ancora stati codificati. Un passaggio che diventa molto importante se si considera che secondo la direttiva essi saranno stabiliti solo nel 2028: un vuoto temporale da colmare.