Nel Paese, le distanze nella qualità contrattuale del servizio idrico si sono accorciate negli ultimi anni. Si può affermare che il sistema industriale è già in grado di erogare prestazioni di eccellenza nella gestione del rapporto contrattuale e nell’accessibilità del servizio. Ma se il diritto a un servizio idrico di qualità è una realtà per molti, non lo è ancora per tutti.
Servizio pubblico e settore idrico: per molti – troppi – anni si è dato per scontato con rassegnazione che i due elementi, uniti, portassero con sé anche una quota più o meno consistente di disservizio e bassa qualità. E non tanto per ciò che riguarda il bene fornito (in questo caso l’acqua e la sua salubrità), ma per quanto concerne la modalità di fornitura verso i fruitori.
Eppure un cambiamento vi è stato. Da quando, nel 2014, l’Authority di regolazione ARERA ha preso in carico anche il settore idrico si è potuto registrare un deciso miglioramento del servizio. Specialmente si è accorciato il divario nella cosiddettaqualità contrattuale, con interventi a favore di una maggiortutela degli utenti e a garanzia di adeguati livelli di performance, tempi e modalità di erogazione delle prestazioni e accesso alle informazioni.
Un doveroso e necessario intervento per la modernizzazione del servizio che, finalmente, ha portato gli utenti-consumatori (noi cittadini) al centro dell’attenzione e delle cure del gestore. Si tratta, nella pratica, di quello che un’azienda di beni o servizi definirebbe come “customer care”. E tra gli interventi che costituiscono l’“attenzione alla clientela” vi sono: la risposta tempestiva ai reclami e alle richieste di informazione, una minore attesa in coda agli sportelli, una minore attesa per preventivi, allacciamento alla rete e lavori, una maggiore puntualità negli appuntamenti fissati, una risposta celere alle richieste di pronto intervento.
Ma qual è lo stato dell’arte della cosiddetta qualità contrattuale per le aziende del comparto idrico?
All’inizio di quest’anno ARERA ha pubblicato un resoconto sul rispetto degli standard di qualità contrattuale dei gestori idrici italiani. I dati si riferiscono a 140 gestioni per l’anno 2018, ovvero i soggetti che servono circa 46 milioni di abitanti, ovvero il 76% della popolazione italiana. Si tratta di informazioni particolarmente indicative perché riguardano le gestioni industriali, ovvero la “spina dorsale” del sistema Italia nel settore idrico. Mancano, invece, all’appello tutti quei soggetti non conformi che gestiscono il servizio idrico in economia e a livello di singoli Comuni e quelli esentati dal trasmettere i dati.
Innanzitutto, ciò che emerge è l’adozione di standard migliorativi del servizio da parte di 26 gestioni di dimensioni medio-grandi. Una scelta che ha interessato 14,8 milioni di italiani (24% della popolazione) abitanti nelle zone del Centro-Nord.
Il numero di prestazioni migliorative garantite varia notevolmente: si passa da un ristretto numero (meno di 5) fino ad oltre 29 standard migliorativi sui 42 complessivi. A livello geografico, la maggior parte delle gestioni con standard migliorativi opera nel Centro Italia (ne beneficia il 71% della popolazione residente), segue il Nord (a beneficio del 22% degli abitanti residenti), mentre nel Mezzogiorno le gestioni che offrono standard migliorativi sono una eccezione (0,9% della popolazione residente).
La Regione Toscana si caratterizza come territorio all’avanguardia e coeso nel panorama nazionale, con standard migliorativi diffusi a tutte le gestioni, grazie anche alla spinta data dall’Ente di governo d’ambito unico regionale.

Complessivamente nel panorama nazionale gli standard migliorativi offerti sono stati 252. Quelli di cui beneficia una quota maggiore della popolazione servita, pari almeno al 20%, insistono sulla riduzione dei tempi medi di attesa agli sportelli, sui tempi di risposta alle richieste di informazioni scritte e alla gestione dei reclami.
Ma a livello italiano com’è cambiata la situazione? Nel 2016, noi del Laboratorio REF Ricerche abbiamo svolto una ricognizione (Contributo n. 58) sulle carte del servizio delle gestioni attive nei Comuni capoluogo di Provincia per valutare il punto di partenza e l’entità dello sforzo di adeguamento richiesto alle gestioni.
A distanza di due anni (2016-2018), confrontando tale analisi con i livelli delle prestazioni raggiunti nel 2018, si osserva che numerose gestioni del Nord sono riuscite ad allinearsi agli obiettivi della regolazione, raggiungendo livelli di qualità contrattuale soddisfacenti. È il caso degli operatori che servono le città di Torino, Venezia, Pavia, Como, Mantova, Udine e Reggio Emilia.

Al Centro e nel Mezzogiorno la situazione presenta luci e ombre. La Regione Toscana, partendo da carte del servizio con standard alti, si è data obiettivi più sfidanti, come si è visto, assicurando anche un grado di rispetto elevato in gran parte del suo territorio. Anche nelle province di Roma e Frosinone, pur in presenza di un divario importante da colmare, gli Enti di governo d’ambito hanno indicato obiettivi più stringenti rispetto a quelli minimi nazionali, con buoni risultati.
Un ritardo importante è stato colmato a Terni, L’Aquila, Caserta, Salerno e in Sicilia, dove percentuali di rispetto degli standard superiori al 95% si registrano ad Agrigento, Caltanissetta, Ragusa e Siracusa. In Puglia, in presenza di un divario iniziale significativo da colmare, sono stati raggiunti livelli di qualità contrattuale soddisfacenti. Buoni livelli sono stati raggiunti anche in Basilicata, mentre a Perugia, Latina e Napoli il divario è stato chiuso solo in parte, con margini di miglioramento. Vi sono poi gestioni che non sono state in grado di trasmettere i dati di qualità contrattuale correttamente, soprattutto nelle Isole. Inoltre, in Molise, Calabria e Sicilia persistono gestioni cessate ex-lege o comunque non conformi agli adempimenti della regolazione ARERA.
Come è prevedibile, il miglioramento del servizio ha comportato costi economici sulle casse dei gestori. Una questione tutt’altro che secondaria quella del reperimento delle risorse e che rientra nel più articolato metodo tariffario predisposto da ARERA in questi anni.
L’ammontare complessivo di questi costi operativi in tariffa (approvati per il periodo 2016-2019), è stato pari a 44,1 milioni di euro, con un recupero a vantaggio di noi utenti del 25% degli importi inizialmente previsti, e un impatto medio di 0,80 euro per abitante/anno. Si tratta di un costo tutto sommato contenuto, che può arrivare anche oltre i 3 euro per abitante/anno nel caso si parta da una situazione dove i miglioramenti richiesti sono maggiori. Gli impatti maggiori in tariffa si registrano nelle regioni del Centro, seguite dalle Isole, mentre nelle regioni del Nord e nel Mezzogiorno si hanno valori più contenuti.
Ancheil nuovo metodo tariffario per il terzo periodo regolatorio (MTI3), prevede la presenza di queste componenti. In ogni caso vige un meccanismo “asimmetrico” di conguaglio sempre favorevole all’utenza: qualora i costi effettivamente sostenuti a consuntivo risultassero inferiori a quanto previsto in tariffa, la differenza viene corretta a vantaggio dell’utenza. Al contrario, nei casi in cui i costi fossero superiori al riconoscimento tariffario sarebbe il gestore a farsi carico della quota eccedente.
Va, inoltre, ricordato che per incentivare il miglioramento delle prestazioni di qualità nel rapporto con gli utenti, ARERA ha introdotto un meccanismo di premi e penalità economiche per i gestori e la pubblicazione dei dati relativi al rispetto degli standard negli anni 2017 e 2018.
Il meccanismo si basa sulle performance conseguite in due ambiti di attività (macro-indicatori).
Si tratta di:
- MC1, relativo all’“avvio e cessazione del rapporto contrattuale”, nel quale confluiscono gli indicatori relativi ai preventivi, all’esecuzione di allacciamenti e lavori, all’attivazione e disattivazione della fornitura;
- MC2, relativo alla “gestione del rapporto contrattuale e accessibilità al servizio”, nel quale confluiscono gli indicatori riguardanti gli appuntamenti, la fatturazione, le verifiche dei misuratori e del livello di pressione, le risposte a richieste scritte, nonché la gestione dei punti di contatto con l’utenza.
Sulla base delle percentuali di rispetto degli standard conseguite per ciascun macro-indicatore i gestori ricadono quindi in 3 diverse classi di risultati a cui sono associati obiettivi di mantenimento o miglioramento da conseguire annualmente.
Le performance del 2018 definiscono i livelli di partenza su cui verrà valutato il raggiungimento o mantenimento degli obiettivi e a partire dal 2022 verranno quantificati i premi e le penalità per i gestori sulla base del rispetto degli obiettivi nei due anni precedenti.
Diamo uno sguardo alla situazione e cominciamo osservando l’andamento nel macro-indicatore MC1.
- A livello di sistema, le gestioni industriali del Paese hanno rispettato gli standard di qualità contrattuale nel 96,7% delle prestazioni richieste per quanto riguarda il macro-indicatore MC1 “Avvio e cessazione del rapporto contrattuale” collocando il Paese in Classe B, a cui corrisponde un obiettivo di miglioramento dell’1%. Più nel dettaglio, il 34% della popolazione italiana è servito da gestori che garantiscono prestazioni da Classe A, con un obiettivo di mantenimento per i prossimi anni, mentre la quota maggiore di popolazione, il 41%, è servita da gestori con performance che li collocano in Classe B, con obiettivi di miglioramento del +1% all’anno, infine il 4% della popolazione è servita da gestori in Classe C con un obiettivo di miglioramento del +3% all’anno.
- Provando a simulare il percorso di miglioramento imposto da ARERA, emerge come a livello di sistema il raggiungimento della Classe A per le prestazioni relative all’ “Avvio e cessazione del rapporto contrattuale” (MC1) è prevedibile in 2 anni. Tuttavia, vi sono territori e gestioni ancora assai distanti che potrebbero necessitare anche di 7-12 anni per raggiungere gli stessi livelli.
Per quanto riguarda il macro-indicatore MC2 “Gestione del rapporto contrattuale e accessibilità del servizio” si ha che:
- Il Sistema Paese rispetta gli standard nel 95,6% delle prestazioni erogate[1] collocandosi in Classe A, con obiettivo di mantenimento. La percentuale di rispetto necessaria per collocarsi in Classe A, più “agevole” rispetto al macro-indicatore MC2 (95% in luogo del 98%), consente di verificare che già oggi il 55% della popolazione italiana è servita da gestori idrici con prestazioni in Classe A, il 19% da gestori che si collocano in Classe B (con obiettivi di miglioramento del +1% all’anno) e il 5% in Classe C (con obiettivi di miglioramento del +3% all’anno).
- Sebbene il Sistema Paese si trovi nel complesso già oggi in Classe A, il raggiungimento di tale classe da parte di tutti gli operatori può richiedere fino a 7 anni, in particolare per quei territori che nel 2018 registrano una percentuale di rispetto delle prestazioni inferiore al 90%.
In conclusione, alcune considerazioni.
Primo, la regolazione incentivante definisce un percorso orientato al miglioramento del servizio che si concretizza nella misurazione dei risultati raggiunti. Il banco di prova offerto dai dati diffusi da ARERA testimonia la bontà del disegno avviato.
Secondo, la trasparenza sulle performance raggiunte permette di analizzare lo stato dell’arte e di misurare gli esiti degli sforzi di miglioramento che saranno compiuti in futuro.
Terzo, rendere “l’attenzione al cliente” un valore aziendale da perseguire, da un lato fa entrare i gestori del servizio idrico nel novero delle aziende moderne, interessate a soddisfare la clientela e a coltivare la propria reputazione, dall’altro porta il cittadino-utente a essere sempre più consapevole dei propri diritti di consumatore e in grado di giudicare e valutare la bontà del servizio.