ARERA ha recentemente illustrato gli orientamenti per la fissazione dei criteri per la definizione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento. Il regolatore ha scelto di affrontare un tema così complesso e articolato adottando un approccio asimmetrico, che si adatta agli assetti normativi e di governance locali e che preserva gli esiti di mercato, laddove ritenuti soddisfacenti.

Ripreso su Staffetta Rifiuti.

ARERA. Secondo periodo regolatorio MTR-2 e “tariffe al cancello”

Dotazioni impiantistiche deficitarie, carenze sul piano operativo, governance deboli o con approcci lontani da una logica industriale, importanti divari tra regioni e soprattutto fra nord e centro-sud: si tratta di problemi noti quando si parla di gestioni di rifiuti in Italia (Position Paper n. 182).

Una situazione complessa che si riflette anche sul piano della regolazione, con l’Autorità preposta – ARERA – a dover trovare soluzioni adatte a una situazione tutt’altro che omogenea. È il caso della definizione dei criteri di riconoscimento dei costi efficienti del servizio di gestione dei rifiuti urbani nel secondo periodo regolatorio (il cosiddetto MTR-2). Con i Documenti per la Consultazione 196/2021/R/rif e 282/2021/R/Rif, ARERA ha illustrato gli orientamenti che stabiliranno i criteri per la definizione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento.

Cosa ne emerge? Il regolatore ha scelto di affrontare un tema così complesso e articolato adottando un approccio asimmetrico che si adatta agli assetti normativi e di governance locali e che preserva gli esiti di mercato, laddove ritenuti soddisfacenti.

Nel corso del primo periodo regolatorio (2018-2021, MTR), l’Autorità non aveva voluto definire i criteri per la determinazione delle tariffe “al cancello” degli impianti, focalizzandosi su quella dei criteri di riconoscimento dei costi efficienti di esercizio e di investimento relativi al servizio integrato, e rinviando ad un momento successivo la regolazione dei corrispettivi di conferimento dei rifiuti urbani presso gli impianti di trattamento, recupero e smaltimento.

Una scelta dettata dalla volontà di allineare in prima battuta i costi del servizio integrato a criteri di trasparenza (quadratura con le fonti contabili obbligatorie) e di efficienza, oltre che dalla complessità dell’argomento che il regolatore era chiamato ad affrontare. La fissazione di criteri di formazione delle tariffe “al cancello” omogenei su base nazionale sconta infatti la difficoltà di mettere d’accordo assetti di governance e di mercato fortemente diversificati fra i territori, forme di regolazione locale preesistenti, in esito alle scelte impiantistiche operate in sede di pianificazione.

E le ampie differenze tra assetti impiantistici si riflettono in assetti di mercato altrettanto eterogenei: una peculiarità che il regolatore non poteva non tenere in considerazione, anche alla luce dei pareri più volte espressi da AGCM[1]. Assetti che, in aggiunta, si differenziano a seconda della tipologia di rifiuto gestito e della tecnologia impiantistica, da cui discende anche una differente disciplina in materia di circolazione sul territorio e una differente declinazione dei principi di autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e di prossimità del recupero e dello smaltimento.

Come detto, nel nostro Paese coesistono diversi assetti nella gestione dei rifiuti, coerenti con quanto stabilito dal nostro ordinamento. L’art. 183 (comma 1, lett. ll) del Testo Unico Ambientale (TUA), identifica la “gestione integrata” come “il complesso delle attività, ivi compresa quella di spazzamento delle strade come definita alla lettera oo), volte ad ottimizzare la gestione dei rifiuti”, mentre la Legge 27 del 24 marzo 2012 (l’art. 25, comma 4), la declina in due forme:

a) la gestione ed erogazione del servizio, che può comprendere le attività di gestione e realizzazione degli impianti;

b) la raccolta, la raccolta differenziata, la commercializzazione e l’avvio a smaltimento e recupero, nonché, ricorrendo le ipotesi di cui alla lettera a), smaltimento completo di tutti i rifiuti urbani e assimilati prodotti all’interno dell’ATO.

Ne consegue che la “gestione integrata” può assumere due configurazioni: una long (quella sopra indicata dalla lettera a), caratterizzata da affidamenti del servizio che ricomprendono sia le fasi a monte sia a valle della filiera, e una short, che ricomprende le fasi a monte (raccolta, trasporto, commercializzazione) e si ferma all’avvio a smaltimento/recupero (si veda Position Paper n. 115).

A queste due si affianca un modello “transitorio” (art. 198 del TUA) che, nelle more dell’affidamento della gestione integrata da parte dell’Ente di Governo d’Ambito, lascia in capo ai singoli enti locali (i Comuni) la responsabilità di gestione dei rifiuti urbani avviati a trattamento/smaltimento, in regime di privativa.

Gli auspici di ARERA per una infrastrutturazione delle aree del Paese ancora deficitarie, passano da un modello di integrazione industriale corrispondente alla versione versione long pocanzi illustrata. L’integrazione verticale e industriale del servizio è, infatti, nell’idea dell’Autorità il modello di riferimento in grado colmare il gap impiantistico. 

Per quanto riguarda i “gestori non integrati”, ARERA apre ad una forma di regolazione asimmetrica distinguendo tra “impianti minimi”, sottoposti a regolazione delle tariffe al cancello, e “impianti aggiuntivi”, per cui si prevedono obblighi di trasparenza delle condizioni economiche di conferimento.

L’identificazione degli impianti “minimi” si basa sul verificarsi di almeno una di queste tre condizioni:

  1. avere una capacità impegnata per flussi garantiti da strumenti di programmazione o da altri atti amministrativi;
  2. offrire capacità in un mercato con rigidità strutturali, caratterizzato da un forte e stabile eccesso di domanda e da un limitato numero di operatori;
  3. essere individuati in sede di programmazione, sulla base di decisioni di soggetti competenti alla chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti.

A chi spetta la scelta, dunque? Il regolatore auspica un intervento governativo per individuare e aggiornare con frequenza biennale l’elenco degli impianti “minimi”. Nel caso ciò non fosse possibile – ed è un’eventualità probabile – viste le tempistiche previste per la predisposizione dei Piani Economico Finanziari (PEF) e del PNGR, ARERA ha previsto la possibilità che siano le Regioni a identificare gli impianti di chiusura del ciclo “minimi”, a trasmettere le informazioni e a recepire tali valutazioni nei PRGR. Un’ipotesi, questa, coerente con le tempistiche di trasmissione degli atti relativi al primo semi-periodo regolatorio (2022-2023), e che demanda ad un successivo intervento governativo, informato dal PNGR, che potrebbe aggiornare l’elenco in vista delle annualità 2024-2025.

In questo scenario, l’identificazione da parte delle Regioni di impianti “minimi”, e in via residuale di quelli “aggiuntivi”, potrebbe tradursi nel breve termine in un altro in continuità con gli assetti correnti, che comunque realizzi il superamento dei criteri di definizione delle tariffe al cancello decisi in sede locale in favore di una convergenza verso la metodologia tariffaria ARERA.

Ciò varrebbe per tutte le Regioni, eccetto che in Lombardia e Friuli-Venezia Giulia, unici due casi di autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi, con una incidenza dello smaltimento in discarica sui rifiuti prodotti già inferiore al 10%.

Tuttavia, l’esperienza insegna che non si può escludere uno scenario di “inerzia nel quale, pur ricorrendo una o più delle condizioni per qualificare gli impianti come “minimi”, alcune Regioni non comunichino ad ARERA l’elenco di tali impianti. Si aprirebbero scenari di potenziale coesistenza di più metodologie tariffarie al cancello degli impianti:

  • la metodologia tariffaria ARERA per gli impianti “minimi”, qualora la Regione ne desse comunicazione;
  • la metodologia tariffaria locale, in caso di mancata comunicazione ad ARERA degli impianti potenzialmente “minimi”.

Al fine di escludere questa eventualità, idonea ad avallare profili di iniquità e disarticolare l’unicità della regolazione nazionale, con sicuri effetti di alimentare un lungo contenzioso, appare preferibile un meccanismo di automatica identificazione degli impianti “minimi” in presenza di una capacità impegnata per flussi garantiti da strumenti di programmazione o da altri atti amministrativi, cioè di una pianificazione dei flussi. In quel caso, trattandosi della semplice verifica circa un atto amministrativo, lo stesso Ente Territorialmente Competente (ETC) potrebbe essere demandato a verificarne la sussistenza, e in caso positivo tenuto ad accertarsi che il conferimento dei rifiuti all’impianto abbia luogo sulla base delle tariffe disciplinate dalla regolazione ARERA, in sostituzione di ogni forma di regolamentazione locale pre-esistente.

Un ulteriore punto critico è rappresentato dalla sola regolazione indiretta degli impianti di trattamento intermedio dei rifiuti indifferenziati (TM o TMB), che subiscono gli effetti della regolazione tariffaria degli impianti di chiusura del ciclo, ma che sono esclusi in via diretta dalla applicazione della regolatoria ARERA delle tariffe al cancello, anche se limitatamente al caso di gestioni non integrate. Se da un lato tale impostazione può essere coerente con l’intento di fornire un segnale di prezzo rispetto a una tipologia impiantistica che appare residuale (e che tuttavia pare porsi in contrasto con l’approccio di neutralità tecnologica che informa l’operare di ARERA) dall’altro sembra lasciare spazio agli impianti dotati di potere di mercato, localizzati in territori nei quali il trattamento è propedeutico alla movimentazione dei rifiuti verso altre Regioni, ovvero funzionale alla stessa negazione del principio di prossimità.

In questa eventualità e a rinforzo del segnale di efficienza allocativa, andrebbe previsto anche il superamento di ogni forma di regolazione locale delle tariffe al cancello di questi impianti, potenzialmente in conflitto con la regolazione ARERA per il caso dei “gestori integrati” e pertanto fonte di potenziali profili di iniquità e di contenziosi, anche al fine di preservare l’omogeneità del disegno di mercato sotteso alla regolazione su tutto il territorio nazionale.

Infine, con riferimento alla metodologia di determinazione delle tariffe, vengono introdotte due importanti novità: i meccanismi di perequazione ambientale e quelli di prossimità. Essi si configurano come due innovazioni che evidenziano l’attenzione da parte del regolatore a inviare segnali di prezzo coerenti con gli obiettivi comunitari: un necessario percorso di infrastrutturazione che i contenuti illustrati in questo processo di consultazione, certamente breve, sembrano aver ben interiorizzato.

Il meccanismo di perequazione ambientale introduce un sistema di incentivi economici nel trattamento dei rifiuti organici e indifferenziati.

Consapevole che il modo in cui vengono utilizzate le risorse provenienti dal tributo speciale di conferimento in discarica (c.d. “ecotassa”) ha perso molto della coerenza iniziale, ARERA ha proposto un meccanismo differente. Esso, pur ricalcando la ratio che aveva portato il legislatore a istituire l’ecotassa, rientra nel perimetro di regolazione e si sottrae alle logiche del consenso che hanno dato vita, in alcuni contesti, a politiche regionali di modulazione dell’ecotassa non in linea con lo scopo del tributo.

Tale meccanismo si concretizza in un sistema di perequazione amministrato dalla Cassa per i Servizi Energetici e Ambientali (CSEA), che consiste in un incentivo economico al conferimento dei rifiuti presso impianti di recupero di materia e di energia e in un disincentivo al conferimento in discarica, traducendosi rispettivamente in tariffe al cancello più basse e più alte per il soggetto che conferisce. Il bilancio chiude dunque in pari, fornendo al conferitore un segnale di prezzo esposto con separata evidenza nei documenti di fatturazione, coerente con la gerarchia dei rifiuti e con l’obiettivo di disincentivare lo smaltimento in discarica.

Il meccanismo di perequazione di prossimità è la seconda importante innovazione introdotta da ARERA. Relativa alla sola determinazione delle tariffe di accesso agli impianti “minimi” di trattamento, riguarda l’introduzione di criteri di prossimità sui flussi di rifiuto regolati, da cui deriva un impatto tariffario differenziato degli incrementi o delle riduzioni tariffarie a seconda della prossimità dell’impianto al territorio da cui proviene il rifiuto trattato.

Come specificato dallo stesso regolatore, tale misura si pone l’obiettivo di fornire un beneficio alle comunità ricadenti in aree limitrofe agli impianti, fornendo un segnale di prezzo che assume la valenza di strumento di contrasto alle sindromi NIMBY , “not in my backyard” (si veda Position Paper n. 145).  In questo caso, ARERA, nell’ambito del suo mandato, introduce uno strumento tariffario che può favorire la promozione di percorsi condivisi, affiancando all’interlocuzione e al dibattito un beneficio economico che, unitamente ai minori costi di trasporto, può dare ai cittadini un segnale concreto dei vantaggi economici derivanti dall’infrastrutturazione dei territori.

Un aspetto a cui ARERA fa solo cenno, invece, è il dimensionamento del criterio di prossimità. Dove si tratta dell’eventualità che siano le Regioni a identificare gli impianti “minimi”, si specifica che spetta alle stesse l’”esplicitazione dei flussi che si prevede vengano trattati per impianto, nonché la distinzione dei medesimi secondo il criterio di prossimità”. Dunque, sta alle Regioni calare nel modo più adeguato il criterio di prossimità sul territorio, anche a seconda delle peculiarità locali ed eventualmente a livello di ATO, offrendo un beneficio tariffario a compensazione delle esternalità generate dalla presenza dell’impianto.

È evidente che in una seconda fase, o in generale nel caso in cui l’identificazione degli impianti “minimi” dovesse passare attraverso un intervento governativo a valle della pubblicazione del PNGR, il concetto di prossimità potrebbe anche essere localizzato sulla base di logiche territoriali più estese, specie quando si dovessero identificare le macroaree definite da accordi regionali nell’ottica di razionalizzare l’offerta impiantistica e realizzare impianti di taglia maggiore, beneficiando delle conseguenti economie di scala.

L’importanza di un meccanismo tariffario che dia un segnale di prezzo rispetto alla prossimità è tale per cui se ne potrebbe valutare l’estensione anche agli impianti “aggiuntivi”, già oggetto del meccanismo di perequazione ambientale di disincentivazione al conferimento in discarica, che potrebbe essere altrettanto esteso all’incentivazione del recupero.

Replicando lo stesso sistema gestito da CSEA, si otterrebbe una modulazione dell’incentivo al recupero, più o meno elevato a seconda del rispetto o meno del principio di prossimità, consentendo di combinare due principi cardine della gestione dei rifiuti.


[1] Indagine conoscitiva sui rifiuti urbani (IC49), AGCM, gennaio 2016 e segnalazione in merito a proposte di riforma concorrenziale, ai fini della Legge Annuale per il Mercato e la Concorrenza anno 2021, AGCM, marzo 2021.