L’efficienza è uno snodo centrale del prossimo MTI-4. Dai guadagni di efficienza potranno giungere gli spazi in tariffa per rispondere ai nuovi bisogni: l’adattamento ad un clima che cambia, il monitoraggio degli inquinanti emergenti, i trattamenti quaternari. Ma i giudizi sull’efficienza delle gestioni dipendono molto dalla metodologia utilizzata. Riconoscendone punti di forza e limiti si propone un algoritmo per consolidare le diverse metodologie in uso nella prassi internazionale della regolazione incentivante: un metodo che ha il vantaggio di tutelare le gestioni che si trovano in situazioni peculiari. Combinando le diverse metodologie l’efficienza del settore si attesta in media all’86%.
1. Regolazione ed efficienza oggi
Che la ricerca dell’efficienza e la sua promozione siano diventati elementi cruciali della regolazione è testimoniato dal fatto che anche ARERA, con l’adozione del terzo periodo di regolazione (MTI-3) ha esplicitamente modellato un meccanismo volto a premiare le gestioni “oggettivamente” più efficienti.
Un meccanismo che agisce in due diverse fasi. La prima può essere intesa come un assessment dell’efficienza(si veda il Position Paper n. 206). La seconda, invece, incorpora l’efficienza stimata all’interno di un meccanismo incentivante, che – in estrema sintesi – indica che al ridursi della distanza tra i costi operativi “efficienti” e i corrispondenti costi osservati, una quota crescente degli stessi può essere riconosciuta in tariffa
Al fine di valutare l’efficienza di un gestore, sono due gli approcci possibili: l’analisi delle Frontiere Stocastiche o SFA (dall’inglese Stochastic Frontier Analysis)e la Data Envelopment Analysiso, in breve, DEA.
In questo percorso ARERA ha sinora scelto di implementare l’approccio basato sulla stima di una frontiera stocastica, una metodologia che rientra nel novero delle cosiddette “frontiere parametriche”. Tale metodologia interroga una banca dati appositamente costruita per identificare il livello di costi ottimale (cioè minimo) necessario per supportare una data produzione – sia in termini di quantità che di qualità – dati gli input della produzione e i relativi costi unitari. In sintesi, l’utilizzo di tecniche econometriche permette di stimare, per ciascun operatore, il livello di costi “efficiente” rispetto al campione di gestori analizzato e rispetto alla frontiera di efficienza definita (per una dettagliata trattazione del tema si rimanda alla long version del presente Position Paper).
L’impalcatura teorica delle SFA si basa sulla indicazione a-priori di una funzione di produzione, che definisce come le imprese impiegano gli input della produzione per realizzare un certo output, assumendo cioè che il processo produttivo avvenga in un modo non molto diverso nei singoli contesti territoriali, cosa che evidentemente è affatto scontata. Il vantaggio di questa metodologia consiste nel fatto che permette di far coesistere “errori di misurazione” con “la misurazione dell’inefficienza”, e dunque il fatto che solo una parte della distanza tra il costo osservato e la frontiera viene interpretata come inefficienza pura, ascritta cioè ad una gestione meno accurata nell’utilizzo degli input.
Inoltre, un rilevante vantaggio offerto dalle frontiere stocasticheè da riscontrarsi nella stabilità e nella robustezza della stima: una volta che la forma funzionale è stata correttamente specificata, diverse assunzioni circa la distribuzione degli errori ovvero nella selezione delle variabili, risultano differenti varianti della stima dell’efficienza.
Esistono, tuttavia, alcuni svantaggi, derivanti soprattutto dallo specifico contesto nel quale le metodologie vengono calate e dalle banche dati utilizzate:
- Elevata eterogeneità dei contesti operativi nei quali le gestioni operano.
- Un modello di gestione in costante evoluzione.
- Ridotta estensione temporale e longitudinale della banca dati.
2. Un altro approccio, la DEA Data Envelopment Analysis
Come già ricordato, una metodologia alternativa alle frontiere stocastiche prende il nome di Data Envelopement Analisys (DEA) e si basa sull’utilizzo di tecniche matematiche per descrivere la relazione tra input e output, che a differenza del caso della SFA non è nota o imposta a priori.
In sintesi, la DEA permette di determinare l’efficienza di ciascun operatore del servizio idrico comparando la sua tecnologia (ossia la combinazione degli input utilizzati rispetto agli output prodotti) con tutte le possibili tecnologie osservate per gli altri operatori del servizio idrico facenti parte del campione. Nel caso della DEA, ogni deviazione dalla frontiera efficiente viene interpretata come inefficienza, non ammettendo l’esistenza di errori. Se una tale assunzione appare uno svantaggio delle metodologie DEA rispetto alla SFA, vi sono tuttavia anche vantaggi.
Innanzitutto, la DEA non definisce “a-priori” una funzione di produzione standard e uguale per tutte le imprese – operatori del servizio idrico nel caso in esame, facenti parte del campione. Si lascia perciò aperta la possibilità che ciascun operatore del servizio idrico abbia un processo produttivo evolutosi al fine di essere il più adeguato possibile allo specifico contesto in cui esso si trova ad operare. Tale assunzione apre alla possibilità – ancorché teorica, che ciascun gestore possa esibire il massimo grado di efficienza dato il contesto in cui esso si trova.
Un altro evidente vantaggio derivante dalla DEA è rinvenibile nella dimensione della banca dati necessaria ad applicare tale modello, che può essere anche di dimensione ridotta. Questo beneficio, perciò, può essere pienamente sfruttato per ricostruire una pluralità di “frontiere di efficienza” su sottoinsiemi o partizioni del campione di gestioni che condividono caratteristiche diverse, al fine di identificare ed isolare le frontiere di efficienza più aderenti a modelli gestionali differenti (ad esempio: non verticalmente integrati, piccoli vs. grandi, etc.), oppure che agiscono in territori con caratteristiche differenti, quali, ad esempio, territori turistici o montani, contesti dove l’acqua è disponibile in abbondanza e a costi contenuti da contesti nei quali è scarsa o disponibile solo a costi elevati. Infine, si segnala anche la possibilità di stimare frontiere di efficienza temporalmente coerenti, al fine di studiare eventuali miglioramenti differenziando le gestioni “allineate alla media” – ossia in pari con il progresso tecnico del settore, da quelle ingaggiate in percorsi di efficientamento, e che perciò risultano in guadagni della stessa superiori al progresso tecnico.
L’approccio DEA, comunque, non è esente da criticità. La prima che si reputa utile evidenziare risulta nel fatto – già menzionato in precedenza, che la metodologia di norma individua un certo numero di operatori che si collocano sulla frontiera di efficienza, ossia ai quali non appare possibile richiedere ulteriori sforzi di efficientamento poiché essi già operano sfruttando “nel miglior modo possibile” gli input a loro disposizione. Una peculiarità che può divenire un limite soprattutto agli albori di un percorso di efficientamento quando si può presumere che il sistema industriale abbia ancora tutto dei margini di efficientamento, in misura maggiore o minore.
Un’altra criticità è da riscontrarsi nel fatto che la DEA non evidenzia relazioni di causalità diretta, ossia restituisce per ogni operatore idrico il suo livello di efficienza comparato al resto del campione in analisi, senza tuttavia mostrare quali siano le caratteristiche da cui tale risultato deriva. Sarebbe perciò utile affiancare una seconda analisi, che miri a caratterizzare le imprese efficienti evidenziandone sia le caratteristiche esogene, quali il territorio su cui opera (i.e. superfici, tipologia, densità, etc.) da quelle endogene, e cioè dipendenti da precise scelte gestionali.
È rilevante, infine, sottolineare come esistano diverse declinazioni di DEA, le quali, utilizzando assunzioni lievemente differenti circa le proprietà della relazione matematica tra le grandezze considerate, permettono di calibrare in modo differente le graduatorie di efficienza.
3. È possibile conciliare le due tecniche?
La frontiera stocastica è in grado di stimare con precisione l’efficienza quando la funzione di produzione scelta appare coerente con la tecnologia effettivamente in essere: tuttavia, come precedentemente ricordato, potrebbe sussistere la casistica in cui non tutte le gestioni analizzate utilizzano la medesima tecnologia, inficiando perciò la stima ottenuta tramite questa metodologia. La DEA, non assumendo a priori nessun processo produttivo, permette il massimo grado di libertà rispetto alle diverse tecnologie impiegate dalle gestioni; però, essendo di natura non parametrica perde di precisione ed efficacia nel momento in cui le gestioni sperimentano shock specifici, non controllabili o prevedibili, che risultano in “inefficienza”. Un limite che nel caso delle frontiere stocastiche può essere “controllato” perché le deviazioni della frontiera consentono di distinguere le inefficienze vere e proprie dalle conseguenze di shock specifici.
Perché allora non provare a unire le due tecniche, sfruttando i punti di forza dell’una per superare le debolezze dell’altra, riducendo al contempo l’influenza della scelta modellistica sulla stima dell’efficienza?
La letteratura accademica ha recentemente proposto di aggregare le due metodologie così da superare le criticità endogene dei modelli. Sono stati proposti differenti criteri per aggregare le stime derivanti dalla DEA e dalla SFA: da una parte l’utilizzo della media aritmetica (o una qualche versione più elaborata), dall’altra, invece, è stato proposto di utilizzare per ciascuna gestione lo score che massimizza la stima dell’efficienza. Entrambi gli approcci sono già stati sperimentati anche nella prassi della regolazione. Ad esempio, nella regolazione del settore elettrico, in Austria e in Finlandia sono stati aggregati i punteggi di efficienza derivanti dalla DEA e dalla SFA utilizzando la media aritmetica, mentre in Germania è stato scelto di utilizzare il punteggio di efficienza massimo fra quelli stimati tramite DEA e SFA.
L’approccio basato sul “massimo” appare preferibile soprattutto perché bilancia il fatto che le stime operate tramite DEA e SFA sono solite essere caratterizzate da sottostima, ed evita di penalizzare operatori che a seconda del criterio utilizzato presentano un grado di efficienza differente. Inoltre, è più robusto della media a eventuali stime fortemente distorte poiché non “trasmette” l’errore di stima sull’efficienza aggregata.
I risultati presentati in questo Position Paper, derivanti dall’applicazione di un modello DEA e di un modello SFA, rappresentano allora il contesto ideale cui sperimentare i vantaggi derivanti da tali procedure.
Innanzitutto, si sottolinea che i due modelli, per quanto presentino significative differenze metodologiche, restituiscono una valutazione dell’efficienza comparabile.
Applicando l’algoritmo di aggregazione che seleziona lo score di efficienza massimo tra quelli calcolati, si osserva un aumento dell’efficienza media, come prospettato dalla teoria: ricordando che la stima DEA restituiva una efficienza pari all’80% e la SFA pari al 78%, combinando le due metodologie otteniamo una efficienza media dell’86% laddove nel 55% delle gestioni del campione il dato stimato tramite DEA è maggiore del dato stimato tramite SFA.
Non deve innanzitutto stupire una sottostima così evidente nel modello DEA, che restituisce stime di efficienza minori di quelle offerte della SFA più di una volta su due. Tale risultato deriva dall’impostazione metodologica che interpreta ogni deviazione dalla frontiera, come presenza di inefficienza. In primo luogo, emergecomeil contesto operativo cui le gestioni sono chiamate ad operare sia caratterizzato da piccoli eventi casuali e non prevedibili che hanno un effetto non nullo sui processi produttivi delle varie gestioni
In secondo luogo, si osserva come la SFA sia in grado di offrire frequentemente una stima più elevata dell’efficienza rispetto alla DEA, a sottolineare probabilmente la corretta identificazione della forma funzionale delle funzioni di produzione applicate dalle differenti gestioni. Ciò risulta – residualmente – nel riconoscere che il modello DEA è in grado di identificare come efficienti quelle gestioni che sono caratterizzate da un processo produttivo specificatamente ottimizzato per il contesto cui si trovano ad operare, grazie al fatto che la stima dell’efficienza non presuppone nessuna adozione rispetto alla funzione di produzione. Questo risultato appare essere corroborato dal fatto che sono proprio le gestioni piccole/medie, ossia quelle che più sono adattate a specifici contesti, ad essere “valutate” secondo la DEA, ossia secondo quella metodologia che “trascende” l’uguaglianza tout-court nei processi produttivi: tali gestioni sono quelle, perciò, che vengono “promosse” dalla metodologia di aggregazione proposta.
Conforta allora osservare come il processo di aggregazione non risulti in uno sconvolgimento rispetto ai risultati di partenza, ma si configuri tuttavia come un miglioramento “al margine”, volto a premiare quelle gestioni significativamente differenti dalle altre presenti nel campione.
La stima dell’efficienza non ne viene “rivoluzionata”, piuttosto la metodologia consente di correggere al margine proprio il posizionamento delle gestioni che presentano i tratti più peculiari.
4. Riflessioni finali
Il servizio idrico ha cambiato marcia negli ultimi dieci anni. La regolazione ARERA, l’avvio e l’operatività degli enti di governo d’ambito e l’affermarsi della gestione industriale disegnano quella che in più occasioni abbiamo chiamato “rivoluzione industriale” delle regole. Un percorso nato per affrancare la gestione dell’acqua dall’ingerenza e dai bilanci dei Comuni per restituire al Paese operatori in grado di esprimere economie di scala e competenze, chiudere le distanze nella qualità del servizio e negli investimenti che ancora ci separano dall’Europa che conta. Cos’ha comportato questo cambio di passo? Nei territori dove è avvenuto ha significato depuratori e reti fognarie, un servizio con standard di qualità adeguati qualità del servizio ha raggiunto standard adeguati, con punte di eccellenza, si investe per ridurre gli impatti ambientali e si approntano iniziative di adattamento per mitigare le conseguenze del clima che cambia. Certamente le tariffe sono aumentate, in linea con il maggiore sforzo profuso e gli investimenti, ma al contempo le utenze economicamente disagiate sono state protette dagli aumenti delle bollette, e sono stati introdotti rimborsi automatici agli utenti in caso di mancato rispetto degli standard delle prestazioni.
E mentre ci accingiamo con fatica a raggiungere gli obiettivi indicati dalle direttive europee dei primi anni ’90, l’asticella del servizio si alza ulteriormente. Il ciclo idrico integrato si scopre oggi più fragile, alle prese con una risorsa idrica più scarsa e che va tutelata. La recente direttiva sulle acque potabili indica nuovi inquinanti emergenti di cui chiede di monitorare presenza e concentrazioni; la nuova proposta di direttiva acque reflue chiede di rimuovere microplastiche e farmaci nei depuratori, prevedendo trattamenti più incisivi per assicurare che l’acqua reimmessa nell’ambiente non danneggi gli ecosistemi.
E accanto alle misure di mitigazione dei cambiamenti climatici, le soluzioni di adattamento appaiono sempre più indifferibili e basate su robuste analisi dei rischi ai cambiamenti climatici, sul riuso in agricoltura dell’acque depurate e affinate e su nuove opere, invasi e accumuli per trattenere le acque piovane, sino ai desalinizzatori per soddisfare le punte di domanda stagionali. Nuove sfide arrivano poi dalla gestione delle acque meteoriche, per l’adattamento a episodi sempre più frequenti di piogge copiose e allagamento dei centri urbani.
Se da un lato il servizio idrico aveva già un ingente fabbisogno ereditato da un lungo periodo di bassi investimenti, vi sono nuovi e più pressanti fabbisogni emergenti che indicano chiaramente un percorso di crescita delle tariffe, che dovranno essere affiancate da nuovi strumenti economici come la responsabilità estesa del produttore e alla compartecipazione al costo da parte di tutti gli altri utilizzatori, industriali e agricoltori.
Un percorso che per coniugarsi con la sostenibilità economica e sociale non può prescindere dalla ricerca dell’efficienza, che andrà ripresa nell’ambito della futura regolazione MTI-4.