La lotta al cambiamento climatico è tra le priorità dell’agenda politica UE, con la promozione di un percorso di definizione di regole comuni per gli operatori economici per perimetrare l’ambito green degli investimenti e dei relativi finanziamenti. Gli SPL si candidano ad essere protagonisti del nuovo paradigma economico, sociale e industriale a livello europeo ed italiano.

“Il nostro obiettivo è riconciliare l’economia con il nostro pianeta e quindi tagliare emissioni ma creare occupazione e rafforzare l’innovazione”. Così si è espressa Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, presentando il Green Deal un piano strategico per traghettare i Paesi membri dell’Unione Europea verso un’economia sostenibile e a zero emissioni. 

Un’iniziativa ambiziosa che – citando ancora le parole della presidente – è paragonabile “al momento dell’Uomo sulla Luna”, sottolineando la portata storica per l’Unione europea. L’obiettivo principale è quello di contenere entro fine secolo l’incremento della temperatura mondiale al di sotto di 1,5°C rispetto all’era pre-industriale. Per raggiungere questi risultati, il Parlamento Europeo ha deciso di ridurre la quantità di emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, con l’intento di raggiungere un’economia a zero emissioni entro il 2050. Per realizzare la auspicata transizione verde, occorre mobilitare finanziamenti fino a mille miliardi di euro in 10 anni, grazie al contributo di 45 miliardi provenienti dal fondo InvestEU, 25-30 miliardi dal bilancio UE e, infine, 7,5 miliardi corrispondenti al valore del Just Transition Fund

L’Italia beneficerà di risorse per 364 milioni di euro che andranno spese in iniziative per sostenere biodiversità, energia pulita, riduzione dell’inquinamento, industria e mobilità sostenibile, bio-edilizia, filiera alimentare.

Un Piano non esente da ostacoli sia di natura economico-finanziaria, visti i costi di questa enorme operazione, sia politica, considerando il delicato momento storico che vive l’Unione con la Brexit da poco sancita (e dalle conseguenze ancora incerte) e la presenza di visioni contrapposte sulla stessa idea di Europa tra i 28 Stati aderenti. Ma anche di natura sociale o culturale, come emerge da alcune indagini demoscopiche (quella di YouGov, per esempio) una distinzione netta tra il Nord Europa caratterizzato da una sensibilità al cambiamento climatico piuttosto moderata e i Paesi del Sud Europa (tra cui l’Italia) in cui tale percezione è assai più accentuata. Solo per citarne alcune, alle percentuali “calde” di Italia e Francia (entrambe al 67%) o Spagna (70%) fanno da contraltare le posizioni “tiepide” di Paesi Bassi (38%), Danimarca (47%) o Germania (52%).

Senza dubbio la spinta al cambiamento che parte da cittadini sensibilizzati, consapevoli e convinti ha la forza di smuovere prima e, indirizzare poi, l’azione di istituzioni e decision maker, nazionali e sovranazionali. Ma da sola non basta.

Un altro impulso – o driver – al cambiamento viene anche dal versante economico-finanziario. Agenzie di rating come Moody’s, per esempio, ritengono che questioni un tempo solo legate all’ecologismo o all’ambientalismo (la scarsità d’acqua, la biodiversità, l’uso del suolo, la deforestazione etc.) avranno sempre più anche un impatto di tipo finanziario, sul credito. Esse, in pratica, peseranno sui giudizi degli investitori, con la sostenibilità quale criterio fondamentale quando si tratterà di decidere se mettere o meno risorse su un determinato business. 

Ma come si può definire quale investimento è sostenibile e quale invece no? Una domanda a cui l’UE sta tentando di dare una risposta con la costruzione di un quadro di riferimento chiaro ed efficace che permetta al sistema finanziario di fare investimenti in progetti che siano effettivamente concepiti per contrastare il climate change e contribuire alla difesa dell’ambiente.

E il Green Deal, senza regole chiare dietro, risulterebbe inefficace o solo parzialmente efficace.

Un problema, questo, a cui la Commissione europea aveva cercato di dare soluzione istituendo una Technical Expert Group, ovvero un gruppo incaricato di studiare e proporre un percorso per facilitare il finanziamento di progetti e attività sostenibili da un punto di vista ambientale e sociale. Anche per evitare il cosiddetto greenwashing ovveroquel fenomeno per cui, in mancanza di regole trasparenti, un’azienda – per esempio – tende ad esaltare a fini comunicativi il proprio operato e le proprie iniziative di sostenibilità a cui non corrispondono azioni concrete.

Da questo Gruppo di lavoro sono arrivate interessanti indicazioni riassumibili in 6 obiettivi ambientali. Tra questi, ovviamente, vi è la mitigazione e l’adattamento del cambiamento climatico, ma non solo. Sono presenti altri elementi quali la tutela delle risorse idriche e marine, l’economia circolare, il controllo dell’inquinamento e la conservazione degli ecosistemi, che in parte si intrecciano con i settori chiave di intervento del Green Deal.

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Scendendo nello specifico, si nota come l’acqua e il suo corretto utilizzo siano inseriti a pieno titolo fra gli obiettivi, essedo la risorsa idrica – com’è forse superfluo ricordare – di fondamentale importanza per la vita umana e il suo sviluppo. E tutelare l’acqua significa sia promuovere interventi che ne limitino la dispersione e ne favoriscano un uso efficiente, sia investire per garantire la potabilità e per limitare il più possibile la contaminazione e l’inquinamento.

E in questo contesto, i servizi pubblici locali – utility e multiutility che di acqua si occupano – si candidano ad essere protagonisti del nuovo paradigma economico, sociale e industriale a livello europeo ed italiano. Sono essi, infatti, ad avere tra le mani le leve per agire nella direzione tracciata dal Deal europeo.

Nel servizio idrico integrato del nostro Paese la necessità di investimento sarà crescente, sia per ridurre il gap infrastrutturale rispetto agli altri Paesi UE, sia per far fronte alle esigenze legate al cambiamento climatico stesso. Un ulteriore forte impulso arriverà anche dalla nuova Direttiva Acque Potabili con un aumento degli standard qualitativi dell’acqua fornita ai cittadini.

Riduzione delle perdite di rete e delle interruzioni di servizio, aumento della qualità dell’acqua erogata e di quella depurata restituita all’ambiente, sviluppo di una rete fognaria resiliente, riduzione dello smaltimento dei fanghi in depurazione, costituiscono le linee guida portanti di indirizzo del futuro del nostro sistema idrico: l’efficacia dell’azione dei gestori si misurerà sulla loro capacità di pianificare e realizzare effettivamente interventi in queste direzioni e rendere conto del loro operato a tutti gli stakeholder, tra cui assumono un ruolo chiave i sistemi bancario e finanziario (magari sostenuti da strumenti come i Green bond), a loro volta chiamati a supportare un settore chiave per lo sviluppo sostenibile.