I fanghi della depurazione degli scarichi civili sono una risorsa preziosa da cui recuperare materia ed energia. Le strategie di gestione europee e italiane spingono per una loro valorizzazione, ma la loro piena implementazione si scontra con una disciplina di settore datata e incompleta, resa ancora più complessa in Italia da interventi regionali non coordinati. Urge disporre di normative aggiornate, che dialoghino tra loro in modo coerente chiarendo le aree ancora scoperte e risolvendo le incertezze.

Logiche circolari nel recupero dei fanghi da depurazione

Il cambiamento dei modelli di produzione e consumo in Europa – come mostrato dalla politica di Green Deal – passa attraverso l’adozione di pratiche circolari che hanno nella prevenzione, nel riuso e nel riciclo gli elementi cardine.

Ciò è valido per tutte le attività, comprese quelle che fanno capo al servizio idrico integrato. Secondo questa logica, i fanghi, quale risultato delle attività di depurazione, oltre a rappresentare il principale “scarto,” possono tramutarsi in risorsa dalla quale è possibile recuperare materia ed energia.

Infatti, l’incremento della produzione di fanghi nei prossimi anni è un fatto assodato, come conseguenza del potenziamento delle attività di depurazione sul territorio nazionale e della revisione della Direttiva sulle acque reflue urbane. Secondo i dati ISPRA, nel 2020, sono state prodotte in Italia quasi 3,4 milioni di tonnellate di fanghi provenienti dal trattamento delle acque reflue urbane (codice CER 190805). In una prospettiva storica, si osserva una crescita, seppure lenta, con un incremento del 10% negli ultimi 6 anni. Quantitativi che – come si diceva poc’anzi – sono destinati ad aumentare a seguito dell’estensione delle reti di collettamento, al completamento della depurazione degli scarichi civili e all’adeguamento degli impianti di depurazione attualmente non a norma, oltre al potenziamento dei trattamenti, da primari a secondari e terziari (si veda anche Position Paper n. 177).

Nel 2020 ben il 53,5% dei fanghi prodotti a livello nazionale viene avviato a smaltimento. Una quota ancora troppo elevata rispetto a quella destinata al recupero e che non è ancora tornata ai livelli pre “emergenza fanghi”, sebbene in diminuzione rispetto al biennio 2018-2019 (si veda Position Paper n. 107 ). Sempre dal lato dello smaltimento si registra una riduzione del ricorso alla discarica, compensato principalmente da un maggior ricorso al trattamento biologico e in parte anche dalla crescita del trattamento fisico-chimico e dell’incenerimento. 

1.     Recuperare materia ed energia dai fanghi

I fanghi derivanti dalla depurazione delle acque reflue, misurati su sostanza secca, sono composti di norma da carbonio (25-35%), azoto (4-5%), fosforo (2-3%) e ossigeno (20-25%), a cui si aggiungono percentuali minori di altri elementi utili, adatti a diversi usi. Per la loro ricchezza di sostanze nutrienti e materia organica i fanghi da depurazione rappresentano una materia prima seconda che può sostenere la transizione verso l’economia circolare. Storicamente l’uso più comune è stato quello di spandimento nei terreni agricoli. È scientificamente dimostrato che l’uso dei fanghi sui terreni in sostituzione di fertilizzanti chimici comporta una serie di benefici sulle proprietà fisiche e agronomiche del suolo, grazie all’apporto di nutrienti.

Circa il 45% dei suoli europei risultano infatti carenti di sostanze organiche, specie nell’Europa del Sud; la diminuzione di sostanza organica nei suoli desta particolari preoccupazioni soprattutto nelle zone mediterranee, compromettendo fortemente tutti gli aspetti legati alla fertilità (chimica e fisica) e alla biodiversità del suolo.

Il contenuto di sostanza organica gioca inoltre un importante ruolo nelle strategie di mitigazione delle emissioni di CO2 in particolare in quanto rappresenta il più importante carbon sink del pianeta. Aumentare la sostanza organica nel suolo, oltre che garantire il mantenimento della fertilità e combattere la desertificazione, rappresenta quindi uno strumento di lotta ai cambiamenti climatici.

Con quali modalità vengono utilizzati? Oltre allo spandimento diretto su suolo, dopo trattamenti minimi, – pratica che negli ultimi anni è andata diminuendo in molti Stati dell’Unione europea – viene dato sempre più spazio ad usi alternativi, che consentano di evitare lo smaltimento in discarica e permettano almeno una qualche forma di recupero, con differenti destini anche a seconda della qualità dei fanghi.

Molto diffuso è il trattamento in impianti di compostaggio o con l’aggiunta di ossido di calce e quindi successivo uso in agricoltura del prodotto risultante.

Altri tipi di trattamenti sono finalizzati al recupero di specifici nutrienti e, in questo senso, il fosforo è l’elemento per il quale si sta lavorando maggiormente negli ultimi anni, dal momento che rappresenta un nutriente essenziale, insostituibile in agricoltura. La stessa Commissione Europea ha identificato le rocce fosfatiche e il fosforo tra le venti materie prime critiche per l’UE visto che diversi Paesi dipendono interamente dalle importazioni per il suo approvvigionamento.

In alcuni impianti si sta lavorando anche sul recupero di azoto per dare origine a prodotti che possono essere usati come fertilizzanti.

Un percorso alternativo prevede il trattamento in impianti di digestione anaerobica. Una tecnologia matura e diffusa nei depuratori di medie e grandi dimensioni, che nel 2018 ha portato in Europa alla produzione di 1,5 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (TEP) di biogas da fanghi di depurazione, il 9,3% della produzione totale di biogas da materia prima. Di queste, 51,7 migliaia di TEP sono di produzione italiana, ma vi sono Paesi come la Germania, l’Inghilterra e la Polonia che arrivano ad una produzione di oltre 1 milione di TEP.

Il biogas prodotto costituisce un’opportunità in termini di decarbonizzazione e percorso verso l’autosufficienza energetica del servizio idrico integrato. Esso può essere utilizzato per sostituire il gas fossile per il riscaldamento dei digestori o per la cogenerazione di energia elettrica e calore, potendo arrivare a fornire, secondo dati raccolti da EurEau, tra il 30% e il 50% della domanda elettrica e tra l’80 e il 100% della domanda termica degli impianti di depurazione.

In crescita è poi la conversione del biogas in biometano per l’utilizzo come carburante per i veicoli o l’immissione nella rete gas. Inoltre, il biogas può essere anche immagazzinato in reti intelligenti per essere utilizzato durante picchi di domanda o cali di fonti rinnovabili discontinue. 

Infine, il digestato risultante dal processo di digestione anerobica può diventare materiale costituente per la produzione di fertilizzanti o , dove la legislazione nazionale lo consenta, prodotto ammendante da utilizzare sul suolo a determinate condizioni; La termovalorizzazione è una soluzione spesso usata quando viene meno la possibilità di valorizzare i fanghi come nutrienti per mancanza di requisiti di qualità o per vincoli normativi ed è attualmente in crescita anche a causa dell’aumento dei prezzi dei combustibili fossili con cui ancora si produce energia elettrica nell’UE

In Europa sono inoltre in fase di sviluppo diverse tecnologie finalizzate a rendere più efficiente la disidratazione dei fanghi, il recupero di energia e di altri tipi di nutrienti, oltre che la produzione di nuovi materiali dal trattamento dei fanghi, quali ad esempio bioplastiche innovative, produzione di laterizi, materiali vetrosi, carbone attivo, biocarbone e bio-fertilizzanti ad alto tenore di fosforo e potassio; anche laddove le tecnologie sono già esistenti la loro possibile diffusione risulta tuttavia legata alla sostenibilità ambientale nonché economica dei processi.

Una stima dei quantitativi di nutrienti che potenzialmente posso essere contenuti nei fanghi di depurazione prodotti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane nei Paesi dell’UE indica tra 6.900 e 63.000 tonnellate di fosforo e tra 12.400 e 87.500 tonnellate di azoto, corrispondenti ad un intervallo tra 0,6% e 6% dei fertilizzanti a base di fosforo e tra 0,1% e 1% di quelli a base di azoto usati complessivamente nell’UE nel 2018.

Se oltre ai nutrienti si considera anche l’energia che può essere ricavata da un opportuno trattamento dei fanghi da depurazione attraverso digestione anaerobica per la produzione di biogas o attraverso incenerimento o pirolisi, le stime sul totale dei Paesi UE indicano un potenziale tra 1800 GWh e 3200 GWh attraverso digestione anaerobica dei fanghi attualmente prodotti e 250 GWh di produzione elettrica netta da combustione conteggiando i soli fanghi che attualmente vengono inviati ancora a discarica.

In Italia, tra le forme di recupero quella attualmente più diffusa è il compostaggio, attività che coinvolge più di 290 impianti, gran parte dei quali riceve anche fanghi, per una quantità complessiva di circa 465 mila tonnellate nel 2020 corrispondenti a quasi il 12% dei rifiuti trattati; più del 78% di tali fanghi provengono da impianti di depurazione del servizio idrico.

Mentre in Europa, secondo una recente pubblicazione dell’European Environment Agency (EEA), il quantitativo di fanghi prodotti complessivamente nel 2018 dai 32 Paesi UE ammonta a circa 11,1 milioni di tonnellate. Il 34% dei fanghi viene utilizzato in agricoltura, il 31% va ad incenerimento e il 12% a compostaggio o altre destinazioni di recupero simili, mentre il 12% a discarica e il 10% ad altri destini residuali (Eurostat 2020).

A livello di singolo Paese le quote di destinazione diventano estremamente variabili, sia per motivi geografici o morfologici, sia per la qualità dei fanghi gestiti che va ad incidere sulla possibilità o meno di avviarli come ammendanti sui terreni agricoli. In Spagna, Irlanda, Bulgaria, Svezia e Norvegia, ad esempio, predomina l’uso dei fanghi per spandimento diretto in agricoltura; in Slovacchia Ungheria, Finlandia prevale l’avvio a compostaggio mentre Belgio, Paesi Bassi, Germania, Austria si basano maggiormente sul recupero di energia. Tali diversità sono il risultato anche di politiche differenziate adottate dai vari Paesi membri.

2. Gestire i fanghi in maniera efficiente

Le scelte sul destino dei fanghi da depurazione dipendono dalla necessità di raggiungere due obiettivi principali: la protezione dell’ambiente e della salute umana e il recupero di risorse.

Se da un lato i fanghi possono contribuire a migliorare la qualità di suoli agricoli impoveriti dall’altro è fondamentale monitorarne le caratteristiche per evitare eventuali problemi all’ambiente dovuti a possibili contaminanti, valutare la quantità di nutrienti utile sulla base delle caratteristiche dei suoli e della tipologia di coltivazione ed evitarne una applicazione in quantità eccessiva sui terreni per possibile rischio di dilavamento nelle acque.

Un punto chiave per la produzione di fanghi di qualità evitando rischi di contaminazione è il controllo della composizione delle acque reflue da cui sono generati, con particolare attenzione alle acque reflue di origine industriale e al tipo di trattamento effettuato presso i depuratori.

Studi condotti su contaminanti organici accumulati nei terreni hanno indagato il loro eventuale passaggio alle piante o al bestiame senza essere tuttavia giunti attualmente a conclusioni certe sulla dannosità di questi composti per via della difficoltà di valutare gli effetti in termini di risposta fisiologica.

Le ricerche concentrate invece sui patogeni che possono arrivare al suolo e contaminare le colture per alimentazione umana o del bestiame hanno finora rilevato rischi bassi, probabilmente anche grazie alle restrizioni generalmente imposte dai Paesi membri in aggiunta a quelle già previste dalla Direttiva europea 86/278/EEC che hanno portato a trattamenti più spinti che ne riducono significativamente la carica contaminante. Si tratta di studi ancora limitati solo ad alcune tipologie di patogeni con necessità di dati più completi per poter trarre delle conclusioni certe, ma che confermano l’importanza di sottoporre i fanghi a trattamento prima dell’uso su suolo, con chiare indicazioni a livello europeo.

Del resto, c’è ormai evidenza che dagli anni ’80 ad oggi, a seguito dell’entrata in vigore di sistemi regolatori sull’uso nei terreni e il miglioramento dei processi industriali, c’è stata una sensibile diminuzione delle concentrazioni di metalli pesanti e altri contaminanti nei suoli dei Paesi dell’UE, segno che è comunque indispensabile prevedere dei limiti e delle misure chiare da rispettare per lo spandimento e che queste misure, se applicate, funzionano. A maggior garanzia della salubrità e qualità del compost avviato in agricoltura molti Paesi europei hanno anche adottato sistemi di certificazione volontaria che vanno ad affiancarsi alla normativa cogente.

Inoltre, le scelte relative ai possibili destini dei fanghi devono tenere conto degli impatti ambientali generati dalle attività stesse di trattamento, perché soluzioni che possono apparire più sicure dal punto di vista sanitario richiedono infrastrutture e processi che possono generare un impatto complessivo tutt’altro che trascurabile, richiedendo un’attenta valutazione costi-benefici delle alternative praticabili e di tutti gli aspetti connessi ad ogni scelta e soluzioni a geometria variabile per i diversi territori e contesti.   

A livello sociale, l’atteggiamento di diffidenza dell’opinione pubblica è un’altra delle sfide da affrontare per arrivare a considerare i rifiuti in generale e, in particolare, i fanghi da depurazione come risorsa e non una minaccia. La costruzione di percorsi partecipativi e informativi trasparenti con i territori è in tal senso un valido sostegno per il superamento della sindrome NIMBY.

Affinché il recupero di materia ed energia dai fanghi di depurazione possa svilupparsi è inoltre necessario che gli operatori del settore possano disporre di procedure amministrative chiare e snelle per i nuovi prodotti e una maggiore flessibilità autorizzativa che possa prendere agevolmente in considerazione le nuove tecnologie e i nuovi prodotti.

3.      Una legislazione ancora incompleta

L’uso dei fanghi in agricoltura è stato regolato a livello europeo con la Direttiva 86/278/EEC, emanata a giugno 1986 ed entrata in vigore per i Paesi membri tre anni dopo. La Direttiva aveva e ha tuttora come scopo quello di limitare gli organismi patogeni nonché alcuni inquinanti tossici nei suoli, definendo dei valori limite per sette tipologie di metalli pesanti sia sui fanghi che sui suoli trattati con i fanghi e dando indicazioni sull’uso di tali suoli al fine di ridurre i rischi per l’ambiente e per la salute umana. Pur andando nella giusta direzione, è inevitabile che a distanza di più di trent’anni i suoi contenuti siano insufficienti e non aggiornati, non tenendo conto del livello attuale dei sistemi di depurazione, dell’evoluzione dei trattamenti ma anche delle nuove conoscenze in merito ai contaminanti.

Per integrare la normativa europea nei Paesi membri sono quindi state emanate norme e regolamenti nazionali che hanno generato un quadro eterogeneo. Da un’analisi delle normative applicate nei diversi Paesi europei si possono distinguere due diversi approcci: un gruppo di Paesi che ha adottato gli stessi limiti previsti dalla normativa europea ed uno, più numeroso e comprendente anche l’Italia, che almeno per alcuni parametri ha adottato limiti più restrittivi, a volte con il risultato di frenare considerevolmente l’uso dei fanghi in agricoltura.

4.      Poca chiarezza fra normative nazionali e leggi regionali

In Italia, a livello nazionale, l’uso dei fanghi da depurazione e il loro spandimento sul suolo è regolamentato con il Decreto Legislativo 99/92. Il decreto consente l’uso dei fanghi in agricoltura a determinate condizioni e in particolare non ne permette l’utilizzo in presenza di sostanze pericolose in concentrazioni tali da arrecare danni all’ambiente e all’uomo, stabilisce le analisi richieste sia sui fanghi che sui terreni e la disciplina autorizzativa per lo spandimento sul suolo. Si tratta di un approccio molto datato che non tiene in considerazione i potenziali contaminanti in modo completo non essendo al passo con il progresso delle conoscenze scientifiche.

In presenza di norme obsolete o incomplete e in mancanza di una linea chiara e univoca, le Regioni italiane si sono mosse autonomamente originando una situazione variegata di discipline applicabili in termini di valori limite e prescrizioni di utilizzo, generandolinee di condotta anche molto divergenti tra loro. Tali scelte hanno generato di conseguenza situazioni di blocco e fenomeni di migrazione dei fanghi da Regioni che impongono limiti più stringenti a Regioni con limiti meno restrittivi (un caso esemplare è proprio quello lombardo come dettagliato nella long version del Paper n. 224).

Di sicuro è che l’andamento altalenante della normativa spinto dall’onda delle emergenze non va a vantaggio né della corretta valorizzazione dei fanghi né della tutela dell’ambiente e della salute e si protrae ormai da troppo tempo, rendendo urgente poter disporre di normative aggiornate e che dialoghino tra loro in modo da non lasciare aree scoperte e incertezze, inserite all’interno di una pianificazione che deve porsi come obiettivo prioritario la massima valorizzazione della risorsa, fermi restando i requisiti di tutela dell’ambiente e della salute.

5. L’Europa spinge per una normativa unificata

Vista l’eterogeneità che si è generata, l’Unione Europea ha iniziato un processo finalizzato ad unificare l’approccio dei Paesi membri verso l’uso dei fanghi in agricoltura, commissionando studi specifici sull’argomento. Negli ultimi anni, inoltre, vi sono state significative evoluzioni della normativa europea che hanno reso ulteriormente necessario rivedere la Direttiva sull’uso dei fanghi per allinearsi al contesto attuale; si è quindi aperta una fase di consultazione, conclusasi a marzo 2021 (a questo proposito si veda il Position Paper n. 177). Ciò che emerge è una diffusa volontà di disporre di una norma che consenta di recuperare il più possibile i nutrienti che i fanghi possono fornire ed evitare che sostanze preziose siano sprecate a causa della mancanza di una precisa regolamentazione. Vista la varietà di possibili utilizzi a cui i fanghi da depurazione possono oggi essere destinati, la nuova direttiva non dovrebbe limitarsi a regolamentare l’utilizzo in agricoltura ma dovrebbe incentivare anche le altre possibili forme di gestione che consentano un recupero di materia o di energia attualmente conosciuti e verificati.

Inoltre, poiché le possibili contaminazioni nei fanghi sono strettamente legate alle caratteristiche delle acque reflue trattate e dei trattamenti depurativi, è fondamentale che la revisione della Direttiva 86/278/EEC sia coordinata con quella della Direttiva 91/271/EC sul trattamento delle acque reflue urbane, anch’essa in atto.

La definizione dei limiti dovrebbe prevedere l’identificazione e definizione di classi di qualità per i fanghi, da associare progressivamente a diversi destini, a partire dallo spandimento in agricoltura per passare al recupero di materia e quindi di energia, in modo da massimizzare il recupero di nutrienti dai fanghi che danno maggiori garanzie di qualità. Potendo disporre di diversi utilizzi si potrebbe infine arrivare anche al divieto vero e proprio di invio a discarica.

Non va però dimenticato, come già emerso, che non esiste un destino migliore in assoluto perché il tipo di utilizzo va valutato anche in base a diversi fattori, quali ad esempio le caratteristiche dei reflui, le infrastrutture già presenti e la fattibilità tecnico-economica di realizzazione di nuove, la presenza di un mercato di utilizzatori finali dei fanghi trattati e delle materie prime recuperate, le necessità di trasporto, per nominare i principali. La Direttiva europea dovrebbe quindi servire per individuare un ventaglio di possibili destini e trattamenti ammessi per i fanghi di depurazione nonché i limiti corrispondenti lasciando poi agli Stati Membri la possibilità di fare le valutazioni specifiche per i propri territori. Tuttavia, per evitare incongruenze sarebbe utile che venissero definiti a livello europeo anche dei criteri comuni sulla base dei quali effettuare tali valutazioni, tenendo conto dei costi/benefici sia dal punto di vista ambientale che economico.

Infine, già a livello europeo andrebbe impostato un sistema incentivante per il mercato, volto a favorire l’uso dei nutrienti derivanti da recupero e riciclo, a fronte di una adeguata garanzia di qualità che si può prevedere venga certificata da enti terzi indipendenti.

Infine, tornando all’Italia, ricordiamo che la revisione del Decreto Legislativo 99/92 è arrivata alla definizione di alcune bozze, senza tuttavia finora addivenire ad un testo definitivo. Da quella più recente messa a disposizione sul sito del Mite e datata 2020 emergono le principali novità che il legislatore intende introdurre. Innanzitutto, si intende ampliare il campo di applicazione prendendo in considerazione non più solo l’uso su suolo, ma varie possibilità di utilizzo per diverse tipologie e qualità di fanghi che andranno preventivamente sottoposti a caratterizzazione.

Un’altra novità riguarda la precisazione dei trattamenti minimi a cui devono essere sottoposti i fanghi di depurazione prima dell’utilizzo agricolo, andando a colmare una mancanza del D.Lgs. 99/92.

Un altro aspetto importante che la revisione del decreto sembra voler introdurre è il ruolo di controllo e di gestione che viene affidato alle Regioni. Come detto una delle misure più efficaci per consentire un uso sicuro dei fanghi è agire sulla qualità degli stessi, pertanto, si intendono incentivare attraverso le Autorità d’Ambito le attività di controllo sulle reti fognarie e sugli scarichi industriali e le azioni per l’efficientamento dei sistemi di collettamento e depurazione.

Viene inoltre chiesto alle Regioni di pianificare la gestione dei fanghi da depurazione all’interno del proprio territorio dando priorità alla destinazione agricola per poi considerare destini alternativi per i fanghi non idonei all’uso agricolo.

Il ruolo delle Regioni, infine, diventa fondamentale per valutare il proprio livello di autosufficienza e i deficit da colmare. La revisione del D.Lgs. 99/92 dovrebbe quindi costituire la base per un ruolo di regia nazionale, definendo obiettivi minimi e una strategia adeguata alla situazione italiana.

Va inoltre ricordato che in Italia sono già in corso politiche finalizzate ad incentivare il recupero dei fanghi: il Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR); il Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti (PNGR); la Strategia Nazionale per l’Economia Circolare (SEC).

Una conclusione in tempi rapidi di questo percorso al fine di permetterebbe anche alla gestione dei fanghi di concorrere agli obiettivi di recupero di materia ed energia del Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti e della Strategia Nazionale per l’Economia Circolare.