Negli ultimi due anni le imprese hanno registrato crescenti difficoltà nella gestione dei rifiuti. Sono aumentati i costi di smaltimento, così come i tempi del ritiro da parte degli operatori. La distribuzione dei rincari è asimmetrica, con punte per le produzioni localizzate nei territori maggiormente deficitari e a carico delle filiere più “fragili”, esposte al raddoppio, financo alla triplicazione dei costi.
La causa va ricercata nella saturazione della capacità disponibile negli impianti.
1. La gestione dei rifiuti, pilastro della circolarità
Da qualche tempo, l’espressione “economia circolare” è uscita dall’ambito degli esperti ed ha fatto il suo ingresso nel mondo dei media, tradizionali e social. Molti ne parlano, molti meno, invece, hanno chiaro:
- che è importante entrare nel concreto della misurazione e dei dati numerici per calare nella realtà le azioni da adottare per diventare “circolari”
- che per arrivare a una “circolarità” bisogna innanzitutto operare delle scelte e prendere decisioni strategiche che presuppongano investimenti consistenti a medio-lungo termine
- che sul piano dello sviluppo-Paese la questione dei rifiuti ha un peso notevole.
Partiamo, dunque, dai rifiuti, e da un dato che li riguarda: 32 miliardi di euro. Questo è il valore monetario della produzione delle attività legate ai servizi di smaltimento dei rifiuti in Italia (considerando anche la gestione delle acque reflue) [1]. Per capire l’entità di questo valore – già in assoluto alto – è sufficiente dire che è identica a quella relativa all’attività di gestione delle risorse energetiche, di cui ci si occupa e si discute molto di più a tutti i livelli, di policy maker e di opinione pubblica.
Una dimensione che racconta di un comparto sempre più strategico per l’economica nazionale e dal quale si deve partire quando si progetta e si pianifica il futuro economico del nostro Paese.
Infatti, i costi per le attività di gestione dei rifiuti cominciano davvero a pesare sulla competitività delle imprese e sulla loro possibilità di creare sviluppo. Pur nella difficoltà di avere dati omogenei – altra spia che denota quanto venga sottovalutato il tema “rifiuti” – ciò che abbiamo rilevato è comunque significativo. Dal confronto di più fonti, possiamo stimare che negli ultimi due anni vi sia stato un aumento medio del 40% dei costi di smaltimento. Il fatto che sia “medio” significa che in alcuni casi, come è accaduto per certe tipologie di rifiuti pericolosi, l’aumento è stato anche superiore.
Questi aggravi, tuttavia, non pesano sul sistema produttivo italiano in maniera omogenea, ma vanno a toccare un settore in particolare, quello dell’industria manifatturiera. Tradotto in euro, significa costi maggiorati di quasi 1,3 miliardi, con un’incidenza significativa sui conti del settore dello 0,5% sul valore aggiunto.
Tra i distretti industriali più coinvolti dagli aumenti vi sono quelli che nelle fasi di lavorazione producono importanti quantità di scarti o i cui rifiuti necessitano di trattamenti specifici: dal conciario, al tessile, alla cartaria, sino ai fanghi di depurazione dell’agroalimentare.
Ma qual è la ragione principale che sta dietro a questi rincari?
2. Una causa, tante cause
Nell’ultimo anno le imprese hanno in più occasioni lamentato difficoltà crescenti nella gestione dei rifiuti, con un aumento dei tempi di ritiro da parte degli operatori e un aumento significativo dei costi. È successo, per esempio, in regioni ad alto tasso di imprese manifatturiere come Veneto, Emilia-Romagna e Toscana, trovatesi a fronteggiare un rischio “paralisi” nella gestione dei rifiuti.
La ragione principale di questa situazione, talvolta dai contorni critici, è dovuta all’assenza o alla carenza di impianti adatti per dimensioni, numero e tecnologia di smaltimento o trasformazione dei rifiuti. Insomma, troppo pochi impianti, troppo saturi e, talvolta, inadatti alle esigenze delle attività produttive. Inoltre hanno contribuito a portare l’Italia all’attuale insufficienza impiantistica elementi quali: intoppi burocratici e lungaggini amministrative, legislazione non sempre chiara se non di ostacolo, risorse economiche insufficienti, frammentarietà e debolezza della governance locale che non ha saputo prendere decisioni in merito e generale opposizione delle popolazioni alla costruzione di centri specializzati.
Tuttavia, questo problema – certamente non nuovo – è stato accentuato o accelerato dalla situazione congiunturale che si è venuta a creare negli ultimi anni. L’intreccio di cause vede:
- un forte aumento della produzione di rifiuti specialinel triennio 2014-2017, frutto di una ripresa economica della manifattura (dopo una lunga stagnazione e momenti di crisi)
- la chiusura del mercato cinese alle importazioni di rifiuti, in particolare plastica riciclabile, residui tessili e carta di qualità inferiore (provvedimento del 2018); a questo stop è seguito quello di altri mercati asiatici
- la sentenza del Consiglio di Stato del 28 febbraio 2018 che ha bloccato le autorizzazioni “caso per caso” rilasciate dalle Regioni per i processi di recupero (End of Waste -EoW)
- lo stop allo spandimento in agricoltura dei fanghi di depurazione, a seguito di una sentenza del TAR Lombardia del 2018
- l’incremento delle raccolte differenziate, in particolare nel Mezzogiorno, che ha generato un aumento degli scarti destinati a smaltimento
- l’opposizione delle Regioni alla libera circolazione dei rifiuti urbani tal quale destinati a recupero energetico, così come auspicata dall’art. 35 dello “Sblocca Italia” (2014), che ha implicitamente avallato la prassi di trattare i rifiuti urbani al solo scopo di “trasformarli” in speciali, di libera circolazione, saturando la capacità disponibile degli impianti e “spiazzando” i rifiuti prodotti dalla attività economiche.
Cosa fare ora? Senza dubbio occorre ripensare la gestione dei rifiuti in Italia, superando il dualismo tra rifiuti urbani e speciali e costruendo gli impianti necessari alla loro gestione, con soluzioni in grado di assicurare la “prossimità” dello smaltimento e del recupero anche al rifiuto di origine non domestica, al fine di contenerne gli spostamenti e i costi per le famiglie e le imprese.
Non solo. Se non si affrontano le problematiche legate alla gestione dei rifiuti industriali e non si sostengono politiche di realizzazione di nuovi impianti è inevitabile che si giunga a una perdita di competitività dell’intero sistema industriale, con più costi sia per le imprese, sia per le famiglie (che ne acquisteranno i prodotti). Ma anche per dare vita a una vera “circolarità” dell’economia e della società, che senza un’adeguata gestione dei rifiuti difficilmente potrà realizzarsi. Un esempio? L’Italia è quarta in Europa, per tasso di riciclo dei materiali: alcune filiere industriali, da tempo, sono “molto circolari”, con percentuali superiori al 50%. Tuttavia, né la volontà né il rispetto delle norme sono sufficienti: se non si vuole vanificare questo risultato – e godere dei benefici – è fondamentale mettere il sistema della gestione dei rifiuti in condizione di funzionare nel modo migliore, senza sprechi.