Recenti sviluppi dell’economia comportamentale hanno identificato nuovi strumenti, detti “nudge”, volti a guidare i comportamenti dei cittadini in modo da massimizzare il benessere collettivo, promuovendo comportamenti virtuosi, senza ledere alla libertà e libera scelta di ognuno. Si analizzano alcune esperienze di “nudging” applicate al servizio idrico e alla raccolta rifiuti urbani.
Nudging. La “spinta gentile” che può salvare il Pianeta
La parola “sostenibilità” (anche nelle sue varianti e declinazioni) non è mai stata né così utilizzata né così trasversale ai diversi ambiti e settori. Consumi e alimentazione, industria, moda, politica, energia, tecnologia, mobilità: il termine non solo è entrato nel lessico del quotidiano, ma si sta trasformando in un elemento di attenzione (e di preoccupazione) per una fetta sempre più ampia dell’opinione pubblica, come non era mai accaduto in passato.
I primi tangibili segnali dei cambiamenti climatici, sotto forma di fenomeni naturali di forte intensità o di innalzamento delle temperature, stanno contribuendo notevolmente a questa collettiva presa di coscienza. Su questa base, le ripetute campagne di comunicazione per condannare sprechi e dire basta all’inquinamento hanno, oggi, maggiori possibilità di fare presa e persuadere l’opinione pubblica. Si pensi, per esempio, al tema della plastica nel mare e alle immagini shock che sono state diffuse globalmente o anche all’ondata di sdegno mediatica e social per gli incendi – a cui assistiamo in diretta – che stanno bruciando porzioni di foresta amazzonica.
Avere un approccio “ambientalmente sostenibile” viene oggi percepito come un valore da promuovere attraverso scelte di consumo che prediligano l’acquisto di prodotti o servizi rispettosi di certi standard. Un aspetto sul quale le aziende hanno investito molto fino a rendere la sostenibilità un cosiddetto “trend topic” da usare in chiave marketing e comunicazione.
Ma come capitalizzare e trasformare questa crescente consapevolezza in scelte che siano sostenibili?
L’importanza di quello che vi è in gioco – un Pianeta Terra ancora vivibile – e l’urgenza di trovare soluzioni al problema potrebbero portare a pensare che i rimedi “forti” e coercitivi siano anche quelli più efficaci. Magari modificando le nostre scelte di consumo attraverso politiche restrittive che hanno alla base l’obbligatorietà e, in caso di mancato rispetto, una corrispondente sanzione. Questa soluzione, antica quanto l’uomo, forse consente di dare risultati nel breve periodo e risolvere alcune questioni contingenti ma che mostra la corda nel medio-lungo, soprattutto se l’obiettivo è rendere noi cittadini il più possibile convinti e i nostri comportamenti durevoli nel tempo.
Che fare dunque? L’alternativa è orientare le scelte di consumo delle persone verso comportamenti sostenibili attraverso la creazione di contesti favorevoli, senza che la libertà di decisione venga mai messa in discussione o sospesa. Prendiamo ad esempio due situazioni che, con tutta probabilità, ognuno di noi ha avuto modo di sperimentare. La prima. Durante il prelievo a un qualsiasi bancomat, al momento di chiudere la sessione, ci viene chiesto se desideriamo “stampare lo scontrino”. L’opzione “sì/no” è accompagnata dall’avvertenza che la scelta più sostenibile – e responsabile – è quella che prevede un “no” come risposta.
La seconda. Una famosa catena di fast food, da qualche tempo, ha stabilito di eliminare copri bicchieri e cannucce, comunicando alla clientela che questa decisione ha come obiettivo la riduzione di plastica usa-e-getta. Tuttavia – come per il bancomat – anche in questo caso non si tratta di un obbligo al quale ci si deve adeguare, visto che su esplicita richiesta del cliente è possibile continuare ad avere cannuccia e copri bicchiere.
Sia in uno che nell’altro caso, alla soluzione che prevede un percorso obbligato nel quale si è incanalati e “spinti a forza”, viene preferita una strada di cui vengano condivisi tragitto e traguardo e sulla quale si venga accompagnati e guidati in maniera “gentile”, non impositiva. Ciò avviene attraverso un “pungolo” (nudge, in inglese) che, nella presentazione di due alternative, cerca di spingerci a scegliere “la cosa giusta” senza che vi sia costrizione e lo spauracchio di un castigo. E senza la sensazione di essere limitati nella nostra libertà di decisione.
Non a caso, il verbo inglese nudging – che descrive le delicate spinte di un genitore al proprio bimbo per invogliarlo a camminare – è stato ripreso dall’economista comportamentale e premio Nobel Richard Thaler per illustrare il ruolo che il decisore politico o lo Stato deve avere verso i cittadini.
In altre parole, se si vogliono ottenere risultati, il policy maker non deve imporre forzatamente le scelte, ma al contrario favorire il percorso verso un bene collettivo costruendo un contesto “debole, morbido e non intrusivo”. Secondo questa teoria, è proprio in tale genere di contesto – definito di “paternalismo libertario” – che i singoli individui più facilmente accettano di modificare i loro comportamenti.
Ma non è tutto. Questa trasformazione sarà decisamente più profonda, consapevole e sentita come propria, in special modo se paragonata a quella che deriva da una pura imposizione. Un po’ come avviene quando decidiamo di non stampare lo scontrino al bancomat o di bere facendo a meno della cannuccia, ovvero quando – scegliendo liberamente di rinunciarvi – modifichiamo il nostro comportamento. E c’è di più. La nostra scelta non solo non è influenzata dalla paura di una sanzione, ma è anche gratuita, visto che sappiamo che da essa non trarremo alcun beneficio tangibile (per esempio uno sconto). Essa è frutto solo della nostra consapevolezza di operare per un bene comune.
Come è facile immaginare, sono possibili politiche di “spinte gentili” in molteplici campi. Acqua e rifiuti, in particolare, possono diventare ambiti ottimali sui quali adottare pratiche di nudging in grado di incidere sull’atteggiamento dei singoli in materia di utilizzo responsabile della risorsa idrica e della corretta gestione di ciò che non ci serve più.
Inutile ricordare l’importanza dell’acqua nella vita umana e la necessità di salvaguardare questa risorsa, in molte aree del globo sempre più scarsa. Ma quali tipologie di “spinte gentili” possono servire allo scopo? Se ne individuano almeno due. Una mira a influenzare le scelte individuali, presentando e riproponendo le medesime informazioni, ma con frequenza o focus differenti. L’altra, invece, spinge sull’influenza sociale, sfruttando il giudizio che la comunità di appartenenza può avere sul singolo. Osserviamo un paio di esperienze in giro per il mondo.
Appartiene al primo tipo l’esempio che coinvolge Durham, in North Carolina, Stati Uniti, una città che spesso deve affrontare periodi di siccità. Quando nel 2011, il gestore dell’utility locale ha deciso di passare da una fatturazione bimestrale a una mensile, il risultato è stato una crescita dei consumi idrici del 5%. A cosa è imputabile questo aumento? Il fatto di ricevere due bollette al posto di una può aver portato il consumatore: a) a maturare una percezione non corretta dei costi (che apparivano più bassi per via della maggior frequenza di fatturazione) o b) a una consapevolezza maggiore del rapporto servizio/costo e dunque alla libera scelta di consumare di più. In ogni caso, vista la relazione esistente fra “frequenza informativa” e “consumo idrico”, è evidente come un’attenta calibrazione della cadenza della fatturazione (il nudge) potrebbe essere uno strumento tramite il quale influenzare i consumi nella direzione auspicabile, cioè del risparmio.
Un altro esempio chiama in causa la città di Belén, un comune di 20mila abitanti della Costa Rica. Questa volta il meccanismo di nudge agisce sull’influenza sociale e sul giudizio della comunità nei riguardi del comportamento di un individuo. Cosa è accaduto? Sulle bollette inviate agli utenti è stato attaccato un adesivo di colori diversi. Nel caso il consumo dell’utenza fosse stato inferiore al consumo medio del gruppo di riferimento (i vicini di casa, per esempio), veniva applicato uno sticker verde con un messaggio di congratulazioni per il comportamento virtuoso. Mentre, in caso di un consumo superiore alla media, lo sticker rosso, presentava un messaggio di richiamo, segnalando un consumo elevato. Il maggiore risparmio d’acqua si è avuto proprio tra vicini di casa, segno che questa pratica di nudging che fa leva sulla pressione sociale (“non voglio fare brutte figure”) e sulla volontà di raggiungere un obiettivo (“voglio farcela”) funziona.
Per quanto riguarda i rifiuti, i meccanismi possono essere simili a quelli visti per l’acqua. In questo caso l’obiettivo era ridurre la quantità di rifiuti gettati per terra, negli spazi urbani e il nudge consisteva in “impronte” per i cestini della spazzatura. Si trattava di sticker a forma di piedi di un colore verde acceso applicati sull’asfalto e che indirizzavano verso i cestini più vicini. Tale operazione permetteva di rendere i portarifiuti più “evidenti” agli occhi dei passanti aumentando la percezione dell’atto del gettare la spazzatura negli appositi spazi e non a terra. Esperimenti svolti a Copenaghen e in vari centri dell’Inghilterra e della Scozia hanno dato risultati molto soddisfacenti.
Come per altre operazione di nudging, anche questo ha come caratteristica i costi contenuti: appena 6 € per ciascun adesivo, con oneri che rimarrebbero comunque limitati anche nel caso si volessero utilizzare stencil e vernici.
Policy maker e aziende (e il loro personale bagaglio di marketing e comunicazione) possono, dunque, intervenire sulle scelte e creare consapevolezza. La “spinta gentile” (nudge) non è finalizzata ad ingannare e far leva sull’irrazionalità degli individui in determinate situazioni ma ad aiutare noi cittadini-consumatori a focalizzarci sulla questione della sostenibilità e dell’impatto che le nostre decisioni di consumo hanno sull’ambiente. La sostenibilità, come idea, va alimentata e curata. Magari con politiche di più ampio respiro, che non dimentichino di parlare alle persone, anche usando un po’ di creatività.