L’avversione dei cittadini ad ogni nuovo impianto è all’origine delle tante sindromi da NIMBY. Ogni NIMBY è sintomo di una frattura fra cittadini e istituzioni: dove c’è NIMBY è mancata prossimità da parte delle istituzioni locali. Occorre che le istituzioni locali tornino a mediare le istanze e a promuovere percorsi di sviluppo condivisi e accettati.
1. Un mondo senza distanze
80 giorni per compiere il giro del mondo. Era questa, la “folle” scommessa lanciata dal gentleman inglese Phileas Fogg, protagonista – insieme al fedele maggiordomo Passepartout – di uno dei romanzi più famosi di Jules Verne. Siamo nel 1873 e la rivoluzione tecnologica applicata ai trasporti, accorciando i tempi degli spostamenti, aveva cominciato a modificare anche la percezione delle distanze. Un tempo erano l’uomo, il cavallo o la corrente di un fiume i parametri con i quali si calcolava la durata di un viaggio.
Nel 1915, per andare da Roma a Londra ci volevano, in media, 5 giorni; 10 giorni erano necessari per raggiungere la costa est degli Uniti, 20 per raggiungere la California. Se ci si voleva spingere fino all’Australia bisogna considerare almeno 40 giorni di nave. Oggi, a prezzi ragionevolmente accessibili e con un minimo dispendio burocratico, possiamo raggiungere l’angolo opposto del globo in circa 20 ore. Il che significa cinquanta volte più velocemente!
Modificandosi il tempo di viaggio, è cambiata anche la nostra idea di “vicinanza” e “lontananza” delle cose, delle persone, delle culture. I fenomeni migratori ma anche il turismo hanno contribuito a rendere “prossimo” quello che un tempo era lontano o – come si diceva – “esotico”.
Trasporti dunque, ma non solo. Il concetto di vicinanza o “prossimità” è stato ulteriormente trasformato dalle straordinarie possibilità di comunicare con l’altro capo del mondo e di ottenere e scambiare informazioni in tempo reale.
La “vicinanza” a tutto e a tutti ha generato l’idea – molto liquida – di “globalizzazione”. Un concetto che ancora crea dibattito e divisione tra coloro che la vedono come un’opportunità da cogliere e altri che la giudicano, invece, un pericolo da evitare. E ciò nonostante in 20 anni, anche gli oppositori alla globalizzazione siano fortemente cambiati per credo e obiettivi: si è passati dai no global dei primi Duemila ai brexiter o – in generale – ai sovranisti di quest’ultimo periodo.
Globale e locale sono criteri che determinano o impattano sulle scelte che istituzioni e cittadinanza si trovano a prendere in merito alle differenti questioni. Talvolta, questa alternanza crea cortocircuiti tra gli atteggiamenti, per i quali decisioni approvate a livello globale trovano invece strenua opposizione a livello locale, magari dagli stessi gruppi. Un atteggiamento che viene definito sindrome NIMBY, dall’acronimo inglese Not In My Back Yard, “Non nel mio cortile”.
2. “Prossimità” sindrome NIMBY?
La paralisi è uno dei rischi delle nostre società: decidere solo su questioni marginali, lasciando senza risposte le problematiche più serie. Ecco perché in un mondo frammentato e sovrabbondante di informazioni ritorna a essere fondamentale il ruolo unificatore delle istituzioni, specialmente quelle locali. Sembra un paradosso in una società globale, ma in fondo non lo è. In un momento nel quale ci si interroga sulle grandi questioni che riguardano lo sviluppo del Pianeta e i modelli di produzione, alle istituzioni è richiesto un “salto di qualità”; ciò significa non limitarsi a legittimare con la propria presenza i dissensi e le tante sindromi da NIMBY, piuttosto farsi portavoce di nuovi modelli di sviluppo sostenibile e soluzioni in grado di generare benessere per i territori. In qualche modo capire e gestire la “prossimità”. Ma cos’è, quindi, la “prossimità”? Innanzitutto, è vicinanza spaziale e geografica; è la contiguità con il territorio e le persone che lì abitano o lavorano.
Eppure il concetto di “prossimità” non si esaurisce qui. Esso può essere più ampio, se a quello spaziale, sostituiamo o aggiungiamo quello, per esempio, di “affinità”, “relazione” o “analogia”. A questo punto avremo tante “prossimità”; per esempio:
· una “prossimità sociale” che deriva dalla condivisione di alcune caratteristiche, dall’interazione personale e dal senso di familiarità. Si ha prossimità sociale quando le relazioni fra i vari soggetti coinvolti si fondano su amicizia, parentela o intesa: ovvero quando ci riconosciamo come simili
· una “prossimità culturale”, che viene dal condividere pensiero, modi di agire, simboli e aspirazioni che danno un significato alle azioni e ai comportamenti. Essa è quell’insieme di “regole non scritte”, seppur radicate, che permette di riconoscersi all’interno (o al di fuori) di un gruppo di individui
· una “prossimità istituzionale”, da intendersi come una vicinanza nei vincoli (formali e informali) che definiscono le strutture politiche ed economiche e le interazioni sociali di una certa area.
· una “prossimità cognitiva”, cioè la somiglianza nel modo in cui i singoli membri delle organizzazioni percepiscono, interpretano, capiscono e valutano le situazioni. È l’insieme delle conoscenze che non devono essere imparate perché già patrimonio comune e condiviso. Un esempio è l’adozione di una precisa unità di misura (il chilometro e il miglio)
· una “prossimità tecnologica” che ha a che vedere con quanto gli strumenti, le tecniche e le conoscenze sono comuni fra due o più soggetti. La possibilità, ad esempio, di utilizzare lo stesso sistema operativo facilita la condivisione di files.
A un primo sguardo, sembra che la sindrome NIMBY si innesti sulla “prossimità spaziale”: i confini che disegnano il “cortile” di ciascuno, infatti, dipendono da una valutazione circa la distanza, ma anche dall’avversione di ciascuno rispetto all’attività oggetto d’insediamento. Tanto maggiore è l’avversione, quanto maggiore è la distanza che si vorrà porre. Una distanza che potrà persino essere più grande di quella prevista dalla legge per quel tipo di attività. Un classico caso è quello della gestione dei rifiuti e della costruzione di impianti di smaltimento. Ma anche degli altri servizi pubblici che hanno dentro il loro DNA – e non potrebbe essere che così – il concetto di “prossimità” (nel servizio idrico la costruzione di un invaso o un impianto di depurazione).
3. Il ruolo delle Istituzioni come costruttrici di “prossimità”
Ma siamo sicuri che il “non volere qualcosa nel proprio cortile” (NIMBY) non riguardi anche altre tipologie di “prossimità”? È infatti possibile interpretare questo rifiuto anche chiamando in causa ragioni culturali. In questo caso, l’opposizione è il riflesso dell’assenza di un sentire comune tra istituzioni, operatori e cittadini ed è, molto spesso, alla radice della mancata realizzazione delle infrastrutture e/o delle opere di interesse nazionale. Ma analogo discorso può rimandare anche ad aspetti sociali, tecnologici e istituzionali. Un esempio di NIMBY tecnologico è quello generato con l’adozione del digitale terrestre, nel 2004. Una decisione che aveva scatenato una serie di proteste e resistenze da parte di fette di popolazione, convinte dell’inutilità o addirittura della dannosità del passaggio dal sistema analogico a quello digitale.
Di cosa stiamo parlando, dunque? In ultima analisi, quindi, l’emergere delle sindromi NIMBY può essere interpretato come l’interruzione della prossimità tra i cittadini e le istituzioni, intese come l’espressione della politica. I primi percependo o credendo le seconde lontane dalle loro necessità, interrompono la relazione di fiducia che deve necessariamente sussistere in un sistema democratico basato sulla rappresentanza. Questa percezione di distanza sfocia in movimenti spontanei e manifestazioni di piazza che raccolgono paure e disagi della popolazione, la quale, non sentendosi più rappresentata e quindi tutelata dalla politica, si auto-organizza in movimenti spinti dal desiderio di difendere il proprio “cortile”.
È evidente come la politica sia chiamata a realizzare e mantenere un dialogo costante e attivo con i cittadini, così da anticipare e prevenire le sindromi NIMBY, restituendo piuttosto una dimensione di “cortile” che sia finalmente ampia, condivisa e orientata alla sostenibilità. E la costruzione di un rapporto di fiducia (o di “prossimità”) con i cittadini è la base sulla quale si regge il resto.
Le istituzioni devono agire secondo due modalità. Una in nome e per conto dei cittadini, raccogliendo le istanze dal basso e facendosi collettori delle voci e dei loro bisogni; l’altra promuovendo una cultura dall’alto che permetta una lettura del mondo “vasto”, cioè che vada oltre il “proprio cortile”.
Ciò significa anche bisogno di garantire un reale coinvolgimento di tutti i soggetti, favorendo l’instaurazione di un dialogo informato, nel quale ciascuno si sente libero di parlare sapendo di essere ascoltato e di essere tutelato nelle proprie posizioni. E alle istituzioni locali spetta quindi il duplice compito di essere promotori del dialogo, ma anche garanti dello stesso.
Fiducia e prossimità divengono elementi di un circolo virtuoso. Ovvero che solo attraverso una maggior fiducia si riesce a creare maggiore prossimità, soprattutto organizzativa; ma è altrettanto vero che un sentimento di maggior prossimità, genera fiducia. La ricerca e la realizzazione della prima permette di conseguire anche la seconda.
Dall’altra parte, istituzioni che non ricercano la relazione con i cittadini, difficilmente saranno viste come prossime alle loro necessità; e in mancanza di fiducia reciproca, è improbabile che avvenga un incontro.
Anche ai cittadini è richiesto di collaborare con le istituzioni in modo rispettoso delle regole e del buon vivere, così da generare quel sentimento di vicinanza.
La duplice direzionalità della relazione, allora, vale non solo tra la prossimità e la fiducia, ma anche tra i cittadini e le istituzioni.
Anche i media concorrono alla costruzione dei processi di costruzione di prossimità e fiducia. Essisono chiamati ad un ruolo di responsabilità quale fonte di informazione informata, affidabile e neutrale.
Torniamo, in chiusura ai servizi pubblici locali e al tema dei rifiuti. In questo senso, la prossimità spaziale è particolarmente rilevante rispetto alla gestione dei rifiuti urbani: la costruzione di impianti di trattamento e smaltimento è spesso al centro di occasioni in cui i cittadini, talvolta accompagnati dalle istituzioni locali, manifestano platealmente il loro dissenso.
È, invece, opportuno che siano proprio le istituzioni locali in primis, anche accompagnate dai media, ad adoperarsi affinché emerga una prossimità organizzativa, e cioè si costruisca un insieme di conoscenze condivise e diffuse circa impatti e benefici degli impianti sulla qualità della vita delle persone (prossimità cognitiva). Ciò non può prescindere dalla costruzione di relazioni tra gli stakeholder in cui ognuno si sente libero di esprimere il proprio parere sapendo di essere ascoltato, in maniera da evitare che ci siano solo risposte di pancia, ma realizzando una vera prossimità sociale.
Una sfida da vincere, considerando la centralità dei cittadini nella raccolta dei rifiuti: è soprattutto tramite essi infatti che si realizza una “buona” raccolta differenziata, sia in termini di qualità che di quantità.
Un tale percorso di costruzione di prossimità non può quindi prescindere anche condivisione di modi di pensare e di agire (prossimità culturale) nei quali, soprattutto tramite lo sguardo delle istituzioni locali e degli operatori, la priorità non è la tutela del proprio “cortile”, quanto uno sguardo responsabile su tutta la collettività.