L’aumento dei costi dell’energia elettrica sta ponendo sotto pressione le gestioni del servizio idrico, che mostrano segnali di sofferenza economica e finanziaria. L’apertura di ARERA alla possibilità di presentare istanza per il riconoscimento di costi aggiuntivi nell’ambito della componente di conguaglio prefigura una rivisitazione del meccanismo di riconoscimento con il prossimo MTI-4. Un percorso che dovrebbe prevedere un rafforzamento degli obiettivi di efficientamento e autoproduzione da fonti rinnovabili, coerente con il mutato scenario e con le potenzialità che il settore può esprimere nella transizione energetica.

Il caro energia coinvolge anche il settore idrico

Il vertiginoso aumento del prezzo dell’energia che Italia ed Europa si trovano a fronteggiare in questa difficile congiuntura economico-politica è ben comprovato dalla preoccupazione che, quotidianamente, i rappresentanti dei vari settori della società esprimono guardando al prossimo futuro. Un’inquietudine che tocca aziende private e pubbliche (di trasporto, ospedaliere, di servizi), oltre che le stesse istituzioni (a partire dai Comuni) preoccupate per il riflesso sulle proprie finanze del perdurare dell’attuale situazione. In questo contesto le società del Servizio Idrico Integrato vivono i medesimi problemi. La spesa per la fornitura di energia elettrica riveste, infatti, un ruolo di rilievo tra i costi di gestione, visto che il vettore elettrico è utilizzato in modo pervasivo lungo tutta la filiera: dall’acquedotto, nelle attività di potabilizzazione e pompaggio, alla fognatura, per i sollevamenti, la depurazione e i trattamenti necessari a restituire in ambiente una risorsa di qualità.

L’impennata dei costi dell’energia, che rappresenta un fattore strutturale e destinato a protrarsi nel tempo, sta mettendo a dura prova i bilanci delle aziende idriche, sia sotto il profilo dell’equilibrio economico sia finanziario. Vi è il rischio concreto che diverse gestioni si trovino a registrare delle perdite d’esercizio, con risvolti più delicati per le società pubbliche, per le quali gli enti locali saranno chiamati ad accantonare risorse per un ammontare corrispondente. Le regole che sino ad oggi hanno guidato il riconoscimento dei costi dell’energia non sembrano più in grado di garantire la necessaria continuità del servizio.

Il ruolo dell’energia elettrica nel servizio idrico integrato

Come si diceva poc’anzi, l’energia elettrica rappresenta un input fondamentale del servizio idrico integrato. La maggior parte dei consumi è legata al segmento di acquedotto, dove si concentra circa il 60% del totale dell’energia utilizzata, e ai sistemi di depurazione, dove un altro 30% è riconducibile, più specificatamente, ad alimentare i motori dediti all’aerazione e alla movimentazione di reflui e fanghi.

Nonostante l’energia elettrica sia indispensabile al corretto svolgimento del servizio e il fabbisogno di corrente assorba oltre il 2% dei consumi complessivi nazionali, pari a circa 6 TWh all’anno, il settore non rientra nel perimetro dei cosiddetti energivori secondo la nomenclatura europea e nazionale.

Sulla base dei dati delle predisposizioni tariffarie MTI-3 elaborate nel 2020, il costo di fornitura di energia elettrica rappresenta una quota significativa dei costi operativi di gestione, circa il 18%, con una incidenza sui ricavi riconosciuti dalla regolazione (Vincolo dei Ricavi del Gestore – VRG) del 10% con una elevata varabilità in funzione delle caratteristiche infrastrutturali e orografiche del territorio gestito. Quote che inevitabilmente sono destinate a raddoppiare nel biennio 2022-2023, con casi estremi in cui i costi dell’energia arriveranno ad eguagliare il valore del fatturato.

Particolare attenzione va riservata al meccanismo di riconoscimento tariffario dei costi delle forniture elettriche, che nel peculiare contesto attuale caratterizzato da elevata volatilità solleva qualche criticità per la tenuta dell’equilibrio economico-finanziario delle gestioni. Anche perché, il costo di fornitura di energia elettrica è riconosciuto ai singoli gestori con un ritardo temporale di due anni, e nei limiti della media dei costi di fornitura sostenuti dal sistema nel suo complesso, calcolato ex post da ARERA sulla base dei dati effettivi di bilancio registrati da un campione di gestori, elevato del 10%. Cosa significa? Che al di sotto di tale soglia, ai singoli gestori viene riconosciuto il costo effettivamente sostenuto, mentre al di sopra di essa, la differenza rispetto a quanto effettivamente pagato rimane a carico del gestore, andando ad abbatterne la redditività.

L’andamento del mercato o, meglio, le aspettative circa l’evoluzione futura dei prezzi pagati dall’intero sistema industriale guidano le strategie di acquisto dei gestori idrici, fermo restando che il costo medio pagato da ciascun gestore riflette anche le peculiarità del suo specifico profilo di prelievo, che dipende dalle caratteristiche orografiche del territorio e degli impianti gestiti.

Un mercato elettrico in forte cambiamento

Come noto, il mercato elettrico dal 2020 è cambiato radicalmente, subendo dapprima l’impatto della pandemia e, successivamente, le tensioni innescate dal recupero dell’economia mondiale sulle quali si sono innestate le conseguenze dall’invasione russa in Ucraina. Per fornire una lettura del cambiamento del paradigma di mercato e del suo impatto sugli aspetti tariffari, risulta interessante confrontare l’evoluzione del costo medio annuale del settore (EE) calcolato da ARERA, con il Prezzo Unico Nazionale (PUN) e con il valore della componente energia (PE idrico) sottesa al costo medio di fornitura riconosciuto dall’Autorità. Se ne ricavano alcune letture interessanti.

Per esempio, si osserva chiaramente che i gestori che hanno acquistato energia a prezzo variabile (tendenzialmente con formule di prezzo indicizzate al PUN) hanno sostenuto costi inferiori a quelli dei gestori che hanno preferito bloccare in anticipo il prezzo dell’energia. In effetti, il confronto tra il PUN e la stima del prezzo energia incorporato nel costo medio di fornitura riconosciuto da ARERA è in media superiore di 8 euro/MWh.

Paradossale perché solitamente (ed erroneamente) il contratto a prezzo variabile è considerato più rischioso di un contratto a prezzo fisso, in particolare nel servizio idrico che si caratterizza per una avversione al rischio maggiore rispetto ad altri settori. Questo perché, soprattutto per i gestori di piccola e media dimensione, la conoscenza ex ante, in sede di definizione del budget annuale, del valore di una voce di costo rilevante come l’energia consente una migliore gestione del capitale circolante.

Il contesto di bassa volatilità ha comunque permesso alla quasi totalità dei gestori di vedere riconosciuti interamente in tariffa i costi della fornitura sostenuti, anche se in termini relativi gli utenti serviti da operatori che hanno acquistato energia a prezzo variabile hanno con ogni probabilità beneficiato di costi inferiori in bolletta in virtù dei minori costi energetici.

Dal 2021, tuttavia, la situazione cambia radicalmente, con le relatività che si invertono in modo repentino e un chiaro spiazzamento dei contratti a prezzo variabile che si collocano ben al di sopra dei costi riconosciuti dal regolatore. In questo caso, la scelta del prezzo fisso ha permesso ad una parte dei gestori di non subire aumenti del costo della fornitura, con benefici in termini economico-finanziari e tariffari, mentre i gestori con forniture a prezzo variabile hanno dovuto fare ricorso ad una procedura straordinaria per recuperare il divario tra quanto effettivamente pagato e quanto riconosciuto dal metodo tariffario.

Come gli eventi degli ultimi mesi ci confermano, la situazione del 2021 non può essere considerata una anomalia, alla luce di una evoluzione del PUN che nel corso del 2022 ha già registrato un aumento di oltre il 300% rispetto al corrispondente periodo del 2021.

In sintesi, se fino al 2021 il costo della bolletta energetica del servizio idrico ha oscillato tra un minimo di 880 milioni di euro e un massimo di 1 miliardo di euro, nel 2022 il costo a carico del sistema gestionale sarà molto più oneroso, portandosi oltre i 2,5 miliardi euro. Una prevalenza di operatori da noi sondati ha infatti dichiarato di aver sottoscritto contratti a prezzo variabile anche per il 2022 (anche attraverso contratti di portfolio management), quindi con una evoluzione dei corrispettivi in linea quella del PUN nella borsa elettrica italiana. Se però per l’anno in corso, almeno una quota di gestori ha sottoscritto contratti a prezzo fisso, per il 2023 lo scenario di mercato che si sta delineando porterà i gestori del servizio idrico a sottoscrivere contratti a prezzo variabile, con ogni probabilità molto più onerosi rispetto al passato, eventualmente assistiti da meccanismi di flessibilità, ovvero dalla facoltà di fissare il prezzo su base trimestre e/o mensile. Sulla base dei prezzi attesi oggi dal mercato, il conto da pagare nel 2023 dal SII arriverebbe a 3,2 miliardi di euro.

In termini di impatto tariffario, gli incrementi teorici attesi nel biennio 2024-2025, senza considerare il limite di prezzo (teta tariffario), sarebbero in media del 30% solo per la componente energia. La situazione illustrata evidenzia due aspetti che meritano di essere valutati. Da una parte, la consapevolezza che l’acquisto dell’energia andrà gestito in modo più accurato in futuro, con strategie in grado di ridurre il rischio di aumenti repentini. Dall’altra, il meccanismo di riconoscimento dei costi in essere presenta alcuni limiti rispetto alla sua capacità di prevenire le conseguenze dell’aumento repentino dei costi dell’energia.

Come i gestori scelgono le forniture di energia elettrica

Nel corso dell’estate 2022, abbiamo condotto un’indagine coinvolgendo gli operatori del SII al fine di mappare le strategie di approvvigionamento di energia elettrica. Tra i soggetti intervistati vi sono sia operatori singoli, sia soggetti capigruppo che acquistano energia per le partecipate o per le linee di business dell’idrico, sia le reti di imprese e i consorzi di acquisto, che comprano energia per conto dei singoli gestori, retisti o consorziati. L’indagine ha permesso di isolare quattro differenti strategie di acquisto da parte dei gestori per la fornitura 2022:

  • Prezzo fisso, con il quale il gestore fissa il prezzo dell’energia per l’intera durata della fornitura (tipicamente un anno);
  • Prezzo variabile, con il quale il gestore paga un prezzo che varia nel tempo, indicizzato ad un paniere di quotazioni all’ingrosso dei combustibili utilizzati per la generazione termoelettrica o ai prezzi di borsa elettrica (generalmente il PUN);
  • Mista pura, con ciò intendendo la scelta ex ante da parte del gestore di determinare quanta parte del proprio fabbisogno dovrà essere soddisfatto da una fornitura a prezzo fisso e quanta parte a prezzo variabile;
  • Flessibile (o di Portfolio Management), che prevede invece la definizione di un contratto di fornitura a prezzo variabile, generalmente agganciato al PUN, con la facoltà di fissare un prezzo fisso per determinate quantità e sottoperiodi temporali (es. trimestri, mesi, giorni) nel corso della vigenza del contratto.

In linea generale, mentre per i contratti a prezzo fisso la componente di commercializzazione a copertura della remunerazione del fornitore è inclusa nel corrispettivo offerto in sede di gara, per le forniture a prezzo variabile tale onere è l’oggetto stesso posto a base della gara per la selezione del fornitore.

Emerge come la strategia cosiddetta “Flessibile” (o di Portfolio Management) rappresenta la modalità di acquisto più diffusa, seguono in egual misura le strategie a “Prezzo fisso”, mentre minore diffusione si osserva per le strategie di “Prezzo variabile” e “Mista pura”. In termini di popolazione servita, quasi il 60% è coperta da gestori con strategia “Flessibile”, il 20% “Prezzo fisso”, il 12% “Mista pura” e circa il 10% “Prezzo variabile”.

Al di là della scelta fatta, dopo quasi 10 anni di relativa stabilità, nel biennio 2021-22 diversi operatori si sono trovati “spiazzati” sul versante dell’approvvigionamento energetico, con il rischio di vedere compromessa la redditività aziendale, se non addirittura in alcuni casi financo l’equilibrio economico-finanziario della gestione.

Dalla ricognizione operata è emerso altresì che la maggior parte degli operatori ascoltati si attende una persistenza dei prezzi dell’energia su livelli ancora elevati per tutto il 2023, in linea con le attuali indicazioni fornite dai mercati energetici (piattaforme GME ed EEX) che esprimono prezzi a termine (forward e futures) oltre i 320/MWh per il prossimo anno, con riduzioni attese delle quotazioni a partire nel 2024-25.

In questo senso, al di là della contingente necessità di affrontare l’emergenza, una buona parte degli operatori ha espresso l’intenzione di promuovere specifiche azioni di efficientamento energetico, con interventi tesi alla riduzione dei consumi di energia e ad accrescere la propria autonomia energetica, incrementando la quota del fabbisogno garantita dalla autoproduzione da fonti rinnovabili, integrando la produzione di energia da fotovoltaico nelle infrastrutture del servizio idrico e recuperando energia dai fanghi di depurazione. In termini di strategia di investimento, infine, la tendenza del settore è quella di spostarsi progressivamente verso il Portfolio Management, indipendentemente dalle scelte ARERA in merito alla regolazione tariffaria per il riconoscimento dei costi dell’energia: un passaggio non esente da difficoltà per i piccoli e medi operatori che non sempre dispongono di competenze interne dedicate, in grado di implementare strategie di risk management rivolte alle forniture di energia.

Costi dell’energia, regolazione tariffaria e futuro MTI-4

La metodologia tariffaria, sin dalla sua prima applicazione nel 2012 (MTT, cosiddetto metodo transitorio) e nelle sue versioni e successivi aggiornamenti, ha individuato le variabili rilevanti e le regole di ingaggio, riconoscendo ai gestori un livello di ricavi coerente con il principio della copertura integrale dei costi efficienti (full cost recovery) e del mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario lungo tutto l’orizzonte della concessione.

In merito all’approvvigionamento, il riconoscimento dei costi dell’energia segue una doppia logica di efficientamento: di prezzo e di quantità (consumo). Per quanto concerne la prima logica, il regolatore riconosce al gestore il costo effettivo della fornitura nel limite massimo del costo medio di fornitura di settore, incrementato del 10%. Sul versante dell’efficientamento dei consumi invece, il metodo tariffario consente al soggetto regolato di trattenere una quota trascurabile (25%) della bolletta elettrica nel caso di riduzione dei volumi di chilowattora prelevati rispetto alla media degli ultimi quattro anni.

Inoltre e in conseguenza dell’esito delle Sentenze del TAR Lombardia favorevoli ai gestori e riconoscendo l’eccezionalità delle tensioni sui mercati energetici, con la delibera 229/2022 ARERA ha introdotto alcune modifiche al meccanismo di riconoscimento dei costi dell’energia, tese a rispondere alle criticità sollevate:

  1.  introduzione di una componente economica di anticipazione dei conguagli sui costi di energia elettrica;
  2. riconoscimento ex post degli extra costi dell’energia sul 2021 nell’ambito della componente di conguaglio;
  3. tempi più stretti e codificati per la pubblicazione del costo medio di settore;
  4. anticipazioni finanziarie a favore degli operatori per il pagamento delle forniture energetiche.

Si tratta di interventi che, per quanto opportuni e tempestivi, non appaiono in grado di risolvere le questioni della ricaduta dell’aumento dei costi energetici sui bilanci degli operatori del servizio idrico (per ulteriori approfondimenti si rimanda al Position Paper nella sua versione estesa).

I tempi, intanto, stringono, e si rendono necessari ulteriori interventi. Dal lato gestionale, i gestori che ancora oggi contabilizzano i ricavi secondo i criterio del fatturato potrebbero passare al criterio dei ricavi garantiti dalla regolazione tariffaria, maggiormente in linea al principio di competenza economica; ciò al fine di mettere in sicurezza il bilancio sotto il versante reddituale ed evitare – soprattutto per le società in house – le criticità relative all’obbligo di accontamento in capo agli enti locali azionisti in caso di perdita di esercizio non immediatamente ripianata.

Una strada può essere la riapertura dei termini per accedere all’anticipazione finanziaria fino a tutto il 2023, permettendo una maggiore flessibilità nel suo utilizzo e aumentando ad almeno l’80% la quota di copertura concedibile sulla base dei costi stimati nel 2022 e nel 2023. Sotto il profilo economico, il percorso più semplice appare quello di intervenire innalzandola sul costo medio di settore ammissibile a fini tariffari, e tenendo conto dell’accentuata variabilità dei costi della fornitura di energia nel 2022.

Con l’avvio del MTI-4, si aprono margini di manovra per un intervento più articolato sul meccanismo di riconoscimento dei costi dell’energia, puntando su indici di mercato chiari e riconosciuti, mantenendo una logica ex ante ovvero passando ad un approccio ex post. Ciascuna scelta presenta dei pro e dei contro.

Vi è poi una strada che mira a ridurre in modo strutturale l’esposizione del settore agli shock di natura energetica: perseguire obiettivi ambiziosi di efficientamento energetico e aumento della autoproduzione da fonti rinnovabili, in una logica output based. Obiettivi oggi resi più convenienti dagli elevati prezzi dell’energia e in linea con il desiderio di mitigare le conseguenze del cambiamento climatico, codificato anche nella Tassonomia europea delle attività eco-sostenibili.

Sono, dunque, queste le sfide e le nuove frontiere per la regolazione incentivante.