Le direttive europee indicano chiaramente la necessità di azioni volte alla tutela della risorsa idrica e degli ecosistemi. I Paesi
europei sono dunque chiamati a ristorare il danno ambientale cagionato dallo sfruttamento delle risorse idriche. ARERA ha
previsto che il costo degli interventi di ripristino del capitale naturale e di rigenerazione della risorsa idrica possono essere
coperti dalla tariffa dell’acqua.
I cambiamenti climatici, l’inquinamento e la distruzione di molti ecosistemi hanno reso familiare e diffuso il concetto di sostenibilità ambientale, finalmente determinante nella presa di coscienza – individuale e collettiva – del problema. Un passo importante che da solo non basta. Ad esso, infatti, si sta affiancando anche quello di “responsabilità” che invece è utile per meglio inquadrare ambiti e limiti dell’azione di ognuno in favore della sostenibilità. Pensiamo a noi cittadini fruitori di una risorsa come l’acqua, fondamentale per ogni forma di vita: ci viene chiesto un “salto di qualità” nella maniera in cui la utilizziamo, sollecitati a tenere comportamenti “responsabili” – per l’appunto – che ne evitino lo spreco e un uso dissennato o ne pregiudichino un utilizzo futuro.
Se questa porzione di “responsabilità” riguarda i singoli individui, un’altra quota, piuttosto importante, chiama in causa tutti quei soggetti che gestiscono, amministrano e governano un bene tanto prezioso e che partecipano al cosiddetto Servizio Idrico. Ad essi si chiede di operare, innanzitutto, pensando alla tutela della risorsa e alla salvaguardia di ecosistemi e biodiversità attraverso scelte orientate a unuso sempre più sostenibile della stessa.
Visto da questa prospettiva, anche il ruolo del servizio idrico cresce e si carica di valore: smettendo di essere “neutro” e andando oltre la semplice fornitura di un bene, si pone come fulcro di un nuovo rapporto tra uomo e ambiente.
Un orientamento che viene ribadito ed esplicitato anche a livello normativo, comunitario e nazionale. Il recente Regolamento europeo 2020/852, relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili, ricorda infatti che il servizio idrico non è una parte del “Green Deal”,ma ne costituisce l’ingrediente primario, la quintessenza[1]. Tuttavia, a completamento di questa parte teorica ve ne è un’altra che riguarda le cosiddette componenti economiche, ugualmente fondamentali in una strategia che vuole rendere la sostenibilità un aspetto concreto e non un puro ideale a corredo. L’attività di valutazione puntuale dei costi ambientali e della risorsa (o Environmental and Resource Cost – ERC) permea l’intero impianto di protezione e gestione della risorsa idrica[2]. Tra i diversi concetti che la definizione di ERC introduce, vale la pena richiamarne due in particolare. Il primo è il concetto di “danno ambientale”, che include il degrado prodotto negli ecosistemi a causa dell’uso di acqua nonché il danno a coloro che usano tale risorsa, ed il secondo è quello della scarsità della risorsa nello spazio e nel tempo. Quest’ultimo insiste sul fatto che l’idea di una risorsa idrica, ritenuta inesauribile o quasi, non corrisponde per nulla alla realtà né presente né futura. Ormai è assodato che il cosiddetto capitale naturale (l’aria, l’acqua, il suolo, gli stessi organismi viventi, eccetera) non possiede capacità auto rigenerative in grado di sopperire alle alterazioni causate dall’uomo. Non solo. Spesso è necessario sia intervenire per riportare a una situazione di equilibrio quanto l’uomo, con le sue attività, ha compromesso, sia agire prestando cura ed attenzione affinché le risorse naturali – d’ora in poi – vengano utilizzate in maniera sostenibile. In caso contrario si andrà incontro a scarsità e, in alcune aree, a una loro completa mancanza.
La necessità di neutralizzare il danno ambientale causato dall’utilizzo della risorsa può dunque essere considerata secondo due modalità. La prima è quella tipica dell’analisi costi-benefici, per la quale il danno ambientale è da intendersi come esternalità negativa da interiorizzare al fine di veicolare corretti segnali di prezzo che guidano verso il benessere sociale. La seconda è quella secondo la quale il costo ambientale è definito dallo sforzo che il soggetto regolato (operatore) può mettere in campo per raggiungere gli standard ambientali prefissati, al fine di prevenire il degrado della risorsa.
Ciò che è certo è che le politiche devono incentivare gli utilizzatori ad un uso efficiente (mediante una internalizzazione dei costi ambientali e della risorsa) e tutti i diversi usi devono contribuire adeguatamente ad assicurare l’applicazione del principio di recupero dei costi. Gli ERC, quantificati in accordo con questo approccio permetterebbero di continuare a beneficiare di una delle risorse più preziose che la natura ci offre: l’acqua.
Benché gli Stati membri UE avessero tempo fino al 2010 per riconoscere gli ERC nelle tariffe, non tutti hanno provveduto in questo senso. Tra questi l’Italia, richiamata di recente dalla Commissione Europea (COM(2019) 95 finale), insieme a Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Spagna e Finlandia, ad assicurare una adeguata implementazione del principio del recupero integrale dei costi del servizio idrico, inclusi i costi ambientali e della risorsa.
Tuttavia, qualcosa si sta muovendo.L’Autorità (ARERA), con l’approvazione del Metodo Tariffario per il terzo periodo regolatorio (2020-2023, MTI-3), ha previsto la possibilità di riconoscere i costi ambientali e della risorsa in tariffa, chiedendo a cittadini e operatori di rendersi parte attiva delle iniziative volte alla tutela dell’ambiente. In particolare, è intervenuta ampliando la definizione al fine di includere “…la valorizzazione economica dalla riduzione e/o alterazione delle funzionalità proprie degli ecosistemi acquatici, ovvero delle mancate opportunità (attuali e future) conseguenti a un determinato uso di una risorsa scarsa”[3].
Ancora oggi manca un “elenco codificato” di interventi eleggibili al quale Enti di Governo e operatori possano attenersi, un aspetto sul quale si è a lungo atteso un intervento chiarificatore del Ministero dell’Ambiente (il MATTM), ma ciò non toglie che la recente regolazione ARERA demanda a EGATO e Regioni la responsabilità di individuare gli interventi in difesa degli ecosistemi locali.
In altre parole, il MTI-3 ha posto le basi per rispondere agli indirizzi della Direttiva Quadro sulle Acque (direttiva 2000/60/CE, DQA) lasciando alla governance locale (Regioni e EGATO) il compito di candidare gli interventi ammissibili per una loro valutazione. Gli effetti di questa apertura della regolazione potranno dispiegarsi già a partire dall’aggiornamento tariffario in corso e più probabilmente dalla prossima finestra di aggiornamento intraperiodo regolatorio 2022-2023.
Come identificare gli interventi ammissibili e dimensionare i costi associati al ripristino e alla rigenerazione della risorsa? Un approccio scientifico e rigoroso alla quantificazione degli ERC è quello “ecosistemico”. Includere i servizi ecosistemici nella valutazione degli ERC significa riconoscere che i processi e le funzioni degli ecosistemi generano dei servizi su cui si basano benefici di cui tutti noi usufruiamo. Parliamo ad esempio del beneficio di disporre di acqua potabile di qualità e in quantità adeguata al fabbisogno, ma anche di tutti gli altri benefici di cui godiamo e che sono a questo connessi, come, ad esempio, l’equilibrio idrogeologico, la regolazione climatica e la qualità dell’aria, oltre che la possibilità di svolgere attività ricreative. In questa prospettiva, risulta fondamentale condurre una analisi delle fonti di vulnerabilità a cui la risorsa è sottoposta, al fine di identificare le misure di ripristino, mantenimento, adattamento, a seconda dei casi, che possano concretamente riportare la risorsa in uno stato quali-quantitativo adeguato. Parte integrante dell’analisi è lo studio del contesto socio-economico per individuare le caratteristiche degli utilizzatori, i beneficiari, ma anche di coloro che concorrono (o che potrebbero farlo) alla manutenzione del territorio e alla produzione dei servizi stessi.
Investire nella tutela e – dove serve – nel ripristino delle risorse naturali, oltre che necessario e urgente è anche doveroso nei confronti delle future generazioni, che dovranno usufruire almeno di quanto abbiamo noi ora. In questo senso, includere i costi ambientali in tariffa significa poter disporre di più denaro da dedicare a una miglior gestione della risorsa idrica. Denaro che verrà dalle tasche degli utenti attraverso il pagamento delle bollette.
Nuova tassa nuovo dissenso? Non è detto che un aumento dei costi in bolletta generi automaticamente malcontento, in special modo se le finalità che stanno dietro alla richiesta economica sono chiare e condivise. E la questione idrica è un interessante campo di sperimentazione sociale.
Stando, infatti, ai risultati della nostra indagine “Quanto vale l’ambiente?”, realizzata a settembre di quest’anno, emerge come nella popolazione italiana vi sia un’attitudine positiva e disponibile all’impegno concreto. Infatti, la maggioranza del campione sondato non solo si è detta d’accordo sulla necessità di preservare la risorsa, ma si è detta desiderosa di essere parte attiva nella sua salvaguardia anche attraverso l’esborso di denaro. In particolare, gli intervistati hanno quantificato in 44€ all’anno l’importo che sono disponibili a spendere perché il proprio comportamento non abbia alcun impatto sull’ambiente. Tra i più proattivi i giovani, mentre meno propense persone mature e anziane. Nello specifico, si osserva come sia più diffusa fra gli under 35 l’attitudine ad attribuire un elevato valore al mantenimento della risorsa idrica, mentre le persone più mature tendono ad associare un valore basso o addirittura nullo. Tra i cittadini di età compresa tra 35 e 60 anni metà sarebbe disposta a “offrire” all’ambiente meno di un euro al mese, e cioè meno di 12€ l’anno. Una situazione radicalmente diversa da quella dei più giovani (18-35 anni), dove il 68% è disposto a “offrire” all’ambiente almeno un caffè alla settimana, ovvero più di 50€ all’anno. Il 2% spenderebbe più di un euro al giorno. Generalmente, nel Mezzogiorno si registra una disponibilità a spendere maggiore rispetto al resto del Paese, mentre nel Centro e Nord-Ovest Italia risulta una minore disponibilità a sostenere detto miglioramento.

Se trasformassimo le percentuali in numeri si potrebbe calcolare un totale di 2.235 miliardi di euro disponibili per la tutela della risorsa idrica, che andrebbero ad incrementare i 5,7 miliardi che oggi lo Stato mette sul piatto per la “Protezione dell’ambiente e l’uso e gestione delle risorse idriche.
Un risultato frutto dello sforzo collettivo che va affiancato da azioni concrete di modernizzazione ed efficientamento delle strutture da parte di chi gestisce un bene tanto prezioso, ma così fragile.
[1] Gli ambientali che il regolamento contempla sono: mitigazione dei cambiamenti climatici, adattamento ai cambiamenti climatici, uso sostenibile e protezione delle acque e delle risorse marine, transizione verso un’economia circolare, prevenzione e riduzione dell’inquinamento e protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.
[2] I costi ambientali sono definiti come gli oneri derivanti dal degrado dell’ecosistema e dall’esaurimento della risorsa idrica a causa di un utilizzo specifico, mentre i costi della risorsa sono quelli derivanti dall’impossibilità di un suo uso alternativo, in quanto già destinata all’uso idropotabile.
[3] Deliberazione 580/2019/R/IDR, art. 2.