L’abbattimento delle emissioni di gas ad effetto serra richiede un approccio olistico e sistemi idrici in grado di ridurre al minimo l’utilizzo di risorse fossili e gli impatti sull’ambiente. Una pianificazione sostenibile può realizzarsi solo dopo una attenta valutazione del sistema idrico e della sua ‘’impronta di carbonio’’. Per far questo è necessaria una chiara metodologia per quantificare le emissioni, non solo quelle derivanti dal consumo di energia e specifica per ciascun segmento del ciclo integrato (acquedotto, fognatura e depurazione). Misurare l’impronta di carbonio dei gestori idrici vuol dire anche farne emergere le ricadute benefiche sugli altri settori.
Il ruolo del settore idrico nella decarbonizzazione e nella lotta al climate change
L’abbattimento dei gas a effetto serra e l’impegno per una società decarbonizzata non possono avvenire senza il sostegno concreto dei servizi pubblici locali. In questo quadro, poi, le utility che possono fornire un contributo consistente sono quelle che operano nel settore idrico, considerando che la gestione delle acque urbane è uno dei servizi pubblici più impattati dal cambiamento climatico, che minaccia la capacità del sistema industriale di fornire acqua sicura, proteggere dall’inquinamento fiumi e mari, nonché difendere persone e risorse dalle inondazioni.
Non solo. La lotta contro il climate change, infatti, si sposterà sempre di più verso i contesti urbanizzati: se oggi il 54% della popolazione mondiale vive in aree metropolitane o similari, nel 2050 questa percentuale dovrebbe toccare quota 66%. Ciò significa che le città consumeranno oltre due terzi dell’energia mondiale, a cui si deve associare il 71–76% delle emissioni di gas climalteranti.
A questo si aggiunga che in molti Paesi europei, il ciclo dell’acqua comporta l’1–3% del consumo totale di energia elettrica[1] e contribuisce per il 3–10% al potenziale di riscaldamento globale[2]. Alcuni recenti studi stimano che le emissioni mondiali di gas climalteranti del settore delle acque reflue aumenteranno fino al 27% entro il 2030[3].
Tuttavia, ad oggi, a meno di informazioni aggregate e generali, non è disponibile a livello europeo o nazionale una quantificazione dei possibili contributi alle emissioni derivanti dal servizio idrico integrato, né specifica per singolo segmento del ciclo (acquedotto, fognatura e depurazione) né dettagliata per singola tipologia di emissione associata (diretta o indiretta, biogenica o fossile). Non solo. Le emissioni del servizio idrico sono molto spesso associate al solo consumo energetico, incluse in categorie di attività più generiche (database US-EPA) o, laddove conteggiate separatamente, di non immediata fruizione, per via di metodologie di calcolo non chiare o non standardizzate (database Eurostat).
Il quadro normativo europeo e nazionale
Come ci si sta muovendo a livello normativo? Nell’ultimo decennio, l’Unione Europea si è ritagliata un ruolo di apripista nell’ambito delle politiche green, stabilendo obiettivi di riduzione delle emissioni sempre più stringenti. Se i pilastri di questo processo sono stati posti con il Clean Energy Package,è con il Green Deal che si è deciso di incrementare il livello di riduzione delle emissioni, fissando come obiettivo per il 2030 un -55% rispetto al 1990. Per convogliare risorse verso la transizione ecologica, anche dal settore privato, la Commissione ha lanciato nel 2018 un piano d’azione per la finanza sostenibile detto Action Plan: Financing Sustainable Growth. Questo prevede interventi su diversi livelli, che mirano a dirigere il mercato dei capitali verso uno sviluppo compatibile con il raggiungimento degli obiettivi enunciati di contrasto al cambiamento climatico. La strategia si basa differenti su azioni che sono divise in categorie. Tra le azioni individuate, si mette in evidenza l’istituzione di una tassonomia europea per classificare le attività sostenibili (Regolamento 852/2020), nuovi benchmark per la transizione climatica (Regolamento EU 2089/2019) e nuovi obblighi di trasparenza (Regolamento EU 2088/2019). In particolare, il regolamento sulla tassonomia stabilisce le condizioni generali che un’attività economica deve soddisfare per qualificarsi come sostenibile dal punto di vista ambientale e poter quindi accedere a particolari forme di supporto e finanziamento. Si tratta di azioni e obiettivi che riguardano in modo sia diretto che indiretto l’attività dei gestori idrici (per più dettagli si rimanda al Position Paper n. 195).
A livello tecnico-quantitativo, il parlamento europeo ha emanato a giugno 2021 uno specifico Atto Delegato 2021/2139 per i criteri vaglio, relativo ai primi due obiettivi di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici con dettagli tecnici specifici. In particolare, ha stabilito che, i sistemi di trattamento delle acque reflue (Attività 5.3) contribuiscono sostanzialmente alla mitigazione delle emissioni qualora il consumo netto di energia dell’impianto sia inferiore a specifici valori soglia in base alla potenzialità nominale dello stesso.
E l’Italia? Nel dicembre 2019, il nostro Paese ha predisposto un Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), che contiene i pilastri d’azione per il decennio 2021-2030.
Nel 2021, com’è noto, è stato presentato alla Commissione europea il PNRR o Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza in cui sono delineati i programmi di spesa ma anche le riforme necessarie per riportare l’economia in una traiettoria di crescita. Si tratta di fondi per 235 miliardi di euro, di cui il 40% è dedicato alla transizione verde. Per quanto riguarda specificatamente il servizio idrico integrato, a queste misure si affiancano gli obiettivi di qualità tecnica stabiliti da ARERA (917/2017/R/idr), che prevedono un progressivo miglioramento in termini di perdite, interruzioni, qualità dell’acqua potabile e depurata, di infrastruttura fognaria e smaltimento dei fanghi e le direttrici ambientali introdotte con il nuovo metodo tariffario (MTI-3) finalizzate al miglioramento delle performance energetiche e circolari delle aziende del Servizio Idrico Integrato (si veda il Position Paper n. 143).
In particolare, l’allegato alla Delibera 917/2017/R/idr introduce al punto 18.12, ad integrazione del macro-indicatore M5 (smaltimento fanghi in discarica), l’indicatore G5.3 denominato “Impronta di carbonio del servizio di depurazione”.
Misurare le emissioni climalteranti. La necessità di una metodologia chiara
La quantificazione dell’impronta di carbonio delle aziende del servizio idrco è strettamente legata ad una declinazione non del tutto normalizzata di linee guida.
Una delle norme di riferimento indica che il calcolo deve attenersi alla UNI EN ISO 14064-1 del 2012, che esprime l’impronta in termini di CO2 equivalente. Tuttavia, tale prassi di riferimento contiene prescrizioni generali, non declinate in modo specifico per il Servizio Idrico Integrato o per il servizio di depurazione, e pertanto necessita di assunzioni ed ipotesi al fine di contestualizzarne l’applicazione all’ambito produttivo di riferimento.
Secondo tale norma, l’azienda deve stabilire il proprio confine operativo, ovvero deve indicare le emissioni e le rimozioni di gas climalteranti associate alle varie operazioni, classificate secondo tre categorie:Scope 1 (emissioni dirette), Scope 2 (emissioni indirette da consumo energetico) e Scope 3 (altre emissioni indirette).
L’aggiornamento della norma ISO 14064-1 dell’aprile 2019 fa fare un ulteriore passo in avanti, individuando 6 categorie principali di emissione:
- Emissioni e rimozioni dirette
- Emissioni indirette da energia importata
- Emissioni indirette da trasporto
- Emissioni indirette da prodotti e servizi usati dall’organizzazione
- Emissioni indirette associate all’uso di prodotti dall’organizzazione
- Emissioni indirette da altre fonti

In questo quadro, la rendicontazione e lo sviluppo dell’inventario (cioè la raccolta delle quantificazioni delle emissioni di gas climalteranti) necessitano dell’individuazione, all’interno dell’impresa, dei confini organizzativi effettivi aziendali e dei confini di riferimento per la reportistica dei gas climalteranti. L’azienda, infatti, deve stabilire e documentare il proprio confine, associando a questo l’individuazione delle emissioni dirette, indirette e le rimozioni di gas serra derivanti dalle attività.
Servizio Idrico Integrato: emissioni dirette ed indirette
- Emissioni dirette
Le emissioni del SII possono essere categorizzate, per ogni segmento del ciclo idrico, in due macrocategorie: dirette ed indirette o indotte. Le emissioni dirette sono le emissioni di gas serra rilasciate nell’atmosfera come risultato diretto dei processi o delle attività possedute o controllate dal gestore idrico.
Nei sistemi di potabilizzazione e distribuzione dell’acqua potabile le emissioni sono prevalentemente di origine indiretta, derivanti dal consumo di prodotti chimici e di energia, quest’ultima legata soprattutto ai pompaggi in rete della risorsa idrica. La principale fonte di emissioni dirette si ha nel caso in cui siano utilizzati processi di ozonizzazione negli impianti di potabilizzazione. In questo caso, si hanno emissioni non trascurabili di protossido di azoto.
La maggioranza delle emissioni dirette del SII deriva invece dal trattamento delle acque reflue, per il quale i canali di emissione e i relativi fattori emissivi sono, sebbene ancora non del tutto consolidati, più codificati rispetto ad altri segmenti del ciclo idrico, come l’acquedotto e la fognatura.
Gli impianti di depurazione delle acque reflue sono considerati i principali responsabili di emissioni di gas climalteranti, in quanto nei processi di degradazione della sostanza organica e di rimozione dei nutrienti vengono generati, principalmente, biossido di carbonio, metano e protossido di azoto. Le emissioni dirette vengono principalmente dai processi di trattamento, dalla combustione in sito del biogas prodotto e dalle emissioni fuggitive causate dalle perdite nei sistemi di trattamento e di trasporto del biogas o dovute allo stoccaggio temporaneo dei fanghi prodotti in impianto.
2. Emissioni indirette
Le emissioni indirette sono invece quelle rilasciate nell’atmosfera come risultato dell’utilizzo di prodotti e materie primecaratterizzate da un carbon footprint intrinseco, legato alle loro attività di produzione e trasporto. Si specifica che le emissioni indirettevanno contabilizzate, nella misura in cui esse sono riconducibili a scelte operative, gestionali o di esercizio dell’organizzazione.
L’utilizzo di reagenti e la scelta della tipologia di questi nei processi di depurazione, ad esempio, rappresenta una decisione operativa del gestore, che ha individuato una determinata modalità di trattamento di tipo chimico, rispetto ad altri processi alternativi, o una particolare tipologia di reagente o un determinato fornitore. Pertanto, le emissioni indirette correlate alla produzione e alla fornitura di tali reagenti, sebbene al di fuori dei confini operativi dell’azienda, ricadono indirettamente sotto la responsabilità dell’organizzazione che ha scelto di utilizzarli.
Allo stesso modo, le emissioni per il consumo di energia sono attribuibili al controllo dell’azienda che può agire sulla scelta di processi con maggiore o minore domanda energetica, sulla tipologia e sull’efficienza delle attrezzature elettro-meccaniche, oltre che sull’acquisto di energia proveniente da fonti fossili o rinnovabili. Queste emissioni generalmente rappresentano uno dei contributi principali alle emissioni totali del SII e, pertanto, gli interventi primari di decarbonizzazione devono essere rivolti, in primo luogo, alla riduzione dei consumi energetici.
Anche le emissioni indirette sul corpo idrico recettore (gas climalteranti disciolti) ricadono all’interno di tale definizione, poiché sono parzialmente dipendenti dall’efficienza dei processi di trattamento.
Inoltre, vengono considerate le emissioni indirette relative al trasporto dei rifiuti nei rispettivi siti di conferimento, stabiliti dall’organizzazione, e alla movimentazione dovuta alle attività di manutenzione interna. Allo stesso modo, relativamente alle destinazioni dei fanghi finali, sono state quantificate e contabilizzate nella categoria delle emissioni indirette anche le emissioni dirette generate nei siti di post-processamento e conferimento finale. Tale aspetto risulta sostanziale per distinguere in modo chiaro ed evidente la scelta gestionale della destinazione ultima di conferimento (es. compostaggio, spandimento diretto, processi termici, produzione gessi e carbonati, etc.) che non può non prescindere dalla responsabilità operativa e di esercizio dell’organizzazione.
Diversamente, le emissioni indirette fuori sito ed esterne al controllo dell’azienda possono essere calcolate ma non incluse, in quanto non direttamente riconducibili al controllo dell’organizzazione. Tra queste risultano le emissioni indirette per i consumi energetici del sito di conferimento, le emissioni dirette nel sito di utilizzo dei prodotti finali (es. spandimento) e le relative rimozioni o mitigazioni delle emissioni (es. carbon sequestration, il mancato utilizzo di fertilizzanti sintetici, eccetera).
Il calcolo dell’impronta di carbonio del Servizio Idrico Integrato
La letteratura tecnica e scientifica riporta diversi strumenti e software sviluppati per stimare l’impronta di carbonio del trattamento delle acque reflue o più in generale del SII. Strumenti di calcolo stazionari sono stati implementati per la determinazione dell’impronta di carbonio di un singolo impianto o del servizio di depurazione. Negli ultimi decenni sono stati proposti anche modelli di simulazione dinamici, che mirano al calcolo delle emissioni dirette generate principalmente da processi biologici. Le altre unità di trattamento aerate, come la dissabbiatura, le stabilizzazioni aerobiche dei fanghi, i biofiltri e i trattamenti anaerobici dei surnatanti, non vengono di norma considerati, nonostante il loro ampio impatto sulle emissioni globali degli impianti.
La maggior parte dei modelli e degli strumenti analizzati si concentra principalmente sulle emissioni dirette di protossido di azoto, mentre il metano è generalmente conteggiato limitatamente alla linea fanghi. Tuttavia, a seconda delle configurazioni di trattamento delle acque reflue e delle caratteristiche dell’influente, anche le emissioni di metano potrebbero rappresentare un contributo rilevante. Inoltre, le emissioni di CO2 sono generalmente considerate solo se di origine fossile, mentre la parte biogenica, derivata dalla respirazione microbica durante i processi biologici, di solito non viene quantificata. Infine, solo pochi studi considerano le frazioni di gas climalteranti disciolti nell’effluente finale, a volte anche superiori alle emissioni dirette. Alcune applicazioni includono le mitigazioni di CO2 equivalente, come il sequestro del carbonio dal suolo e la sostituzione di fertilizzanti minerali quando i fanghi vengono applicati nei campi agricoli.
Detto questo, la crescente consapevolezza di quanto sia importante l’impatto ambientale generato da prodotti e servizi nell’arco del loro intero ciclo di vita, ha reso necessario l’utilizzo di metodologie di Life Cycle Assessment (LCA). Un approccio di analisi del ciclo di vita permetterebbe la quantificazione degli interventi indiretti trasformandoli in CO2 equivalente, permettendo alle utility una pianificazione più sostenibile degli interventi. LCA è vista, in tal senso, come strumento di supporto per la progettazione o ri-progettazione di misure che abbiano una maggiore sostenibilità ambientale. Uno degli strumenti di analisi introdotto dal Regolamento UE 2021/2139 per la verifica della sostenibilità ambientale degli interventi e la valutazione dei principi di Do Not Significant Harm espressi nella Tassonomia è proprio dell’analisi del ciclo di vita dei prodotti e dei servizi forniti da un’attività economica.
In questo contesto diviene più chiaro che il percorso di decarbonizzazione e l’economia circolare sono ambiti complementari nei quali le aziende idriche sono chiamate a svolgere un ruolo da protagoniste, sia in modo diretto che indiretto.
Sotto il primo aspetto, le principali opportunità e linee d’azione si concentrano sul recupero delle acque reflue e sul recupero dei fanghi di depurazione per la produzione di gas, energia o materie prime seconde.
Sotto il secondo, i gestori idrici possono trasformarsi in “abilitatori della decarbonizzazione” anche in altri settori attraverso l’utilizzo del biometano prodotto nei processi di depurazione nel settore termico e nel settore dei trasporti, o l’utilizzo del calore latente presente nelle acque reflue in fognatura per il riscaldamento/raffrescamento degli edifici. Importanza sempre maggiore assume il riutilizzo di acque reflue depurate in agricoltura e nell’industria.
Sono aspetti che richiedono un approccio strategico di economia circolare in ottica di recupero di materia e uso efficiente delle risorse, dove la spinta alla decarbonizzazione costituisce l’obiettivo primario.
[1] Longo et al., 2016.
[2] Samuelsson et al., 2018.
[3] Caniani et al., 2019; Huang et al., 2020.