I nuovi target ambiziosi e sfidanti di riciclaggio dei rifiuti di imballaggio impongono un ripensamento dei modelli di responsabilità estesa del produttore. I Certificati del Riciclo sono parte della risposta, in grado di assicurare l’equilibrio economico delle attività di riciclo, esposte alle fluttuazioni della domanda e dei prezzi delle materie prime seconde. Si tratta di affiancare al sostegno alle raccolte differenziate anche uno strumento di mercato dedicato al riciclo. La Strategia Nazionale per l‘Economia Circolare può essere l’occasione per un intervento di riforma.

La Responsabilità Estesa del Produttore EPR

In Italia, nel solo 2019, la quantità di imballaggi immessi sul mercato e la successiva produzione di rifiuti da essa derivante ha raggiunto quasi i 14 milioni di tonnellate (ISPRA 2020). Un dato non solo consistente, ma anche in continuo aumento, con l’aggravante di un allargamento della forbice tra quanto viene raccolto con la differenziata e quanto, in fondo, arriva al riciclo.

Che in Europa la questione sia molto sentita lo dimostrano il Nuovo Piano d’Azione per l’Economia Circolare, il Green Deal e – nello specifico delle plastiche – la Strategia europea sulle plastiche e la Direttiva sulle plastiche monouso. Quest’ultima, poi, richiede l’evoluzione e l’estensione del perimetro di applicazione dei sistemi di responsabilità estesa del produttore (EPR – “Extended Producer Responsibility”). Secondo questo sistema la responsabilità di un produttore di beni va oltre la fase realizzativa per estendersi – per l’appunto – anche alla fase di post-consumo, quando il bene in questione non serve più e deve essere gestito come rifiuto. Di conseguenza una seria soluzione al problema degli imballaggi – di carta, plastica, vetro e non solo – punta a intervenire a monte dei processi di produzione, fin dalla progettazione dei prodotti (si vedano i Position Paper n. 137 e 142).

Infatti, i sistemi EPR dovranno evolvere verso la piena responsabilizzazione degli operatori economici al raggiungimento degli obiettivi comunitari, non solo in relazione ai quantitativi di rifiuti intercettati ed effettivamente avviati a riciclo, ma anche in relazione agli ulteriori target di prevenzione, riutilizzo e contenuto di materiale riciclato. Un approccio olistico che chiama un ripensamento dei modelli di produzione e consumo, in grado di sostenere riuso e rigenerazione, incentivare la progettazione dei beni in chiave di riciclo, intercettare una quota maggiore di rifiuto prodotto, allargare il perimetro dei flussi presidiati, sostenere gli investimenti nell’impiantistica e garantire l’effettivo riciclo dei materiali raccolti. E che questo sia un tema rilevante – oggi come nel prossimo futuro – lo si capisce anche osservando i target di riciclo fissati dal PNRR, il corposo Piano di ripresa economica finanziato dall’Unione; essi sono decisamente ambiziosi dato che prevedono un 85% di riciclo nell’industria della carta e del cartone e un 65% di riciclo dei rifiuti plastici (attraverso riciclaggio meccanico, chimico, “Plastic Hubs”).

Il modo di applicare gli schemi EPR non è, tuttavia, uguale ovunque. Benché gli Stati declinino in modi differenti gli obblighi dei produttori di imballaggi, gli schemi si dividono in due gruppi più “una terza via”:

  1. Modelli Duali”, presenti in Germania, Austria e Svezia, che prendono il nome dal sistema tedesco, (Der Grüne Punkt Duales System Deutschland GmbH).
  2.  “Modelli Integrati”, presenti ad esempio in Italia, Francia, Spagna, Belgio, Olanda, Repubblica Ceca, Slovenia, Belgio e Norvegia.
  3.  “Crediti negoziabili”, la “terza via” propria del Regno Unito.

Nel Modello Duale i produttori di imballaggi, mediante le organizzazioni dei produttori (PRO – Producer Responsibility Organisation), organizzano e finanziano per proprio conto l’intercettazione dei relativi rifiuti e le successive operazioni di trasporto, cernita e selezione necessarie al fine di garantire il raggiungimento dei target di riciclo.

Nel Modello Integrato, diversamente, la responsabilità organizzativa della raccolta dei rifiuti di imballaggio sul territorio è in capo alle Amministrazioni Locali (o, nel sistema italiano, agli Enti di Governo d’Ambito Territoriale Ottimale – EGATO – ove costituiti ed operativi), mentre i produttori di imballaggi hanno la responsabilità finanziaria, ovvero l’obbligo di coprire (in tutto o in parte) i costi sostenuti dalla Pubblica Amministrazione per le attività di gestione dei rifiuti derivanti dai loro prodotti.

Il sistema britannico di EPR copre unicamente i costi del riciclo dei rifiuti di imballaggio, mentre lascia in capo alla Pubblica Amministrazione i costi di gestione delle raccolte differenziate, sebbene parte dei fondi ricavati dal sistema di permessi negoziabili (Packaging Recovery Notes PRN) sia destinata anche al finanziamento di infrastrutture e sistemi di raccolta differenziata di competenza delle Autorità Locali.

Cosa accade in Italia

In Italia, la riforma della disciplina in materia di EPR, (D.Lgs. 116/2020 di recepimento delle Direttive 2018/851 e 2018/852), si è limitata a introdurre nell’ordinamento nazionale i requisiti minimi (di cui al nuovo Art. 8-bis della Direttiva Rifiuti (Dir. 98/2008/CE) e a porre le basi per il superamento dell’Accordo ANCI-CONAI che, da oltre 20 anni, determina il principio di EPR nel nostro Paese per la filiera degli imballaggi.

È chiara la volontà di rafforzare lo sviluppo di dinamiche concorrenziali e di mercato già previste nel settore dei servizi di compliance all’EPR, da allargarsi quanto più possibile ad altri flussi e filiere dei rifiuti. Una svolta pro-concorrenziale ribadita di recente sia dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) sia dall’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA), che spinge per mappare i soggetti obbligati e attestare le effettive quantità di rifiuto da imballaggio avviate a riciclo.

Questo riconoscimento di nuovi schemi rappresenta una novità di rilievo per almeno due ragioni: in primo luogo, perché propone un modello alternativo a quello del monopolio legale, basato sul riconoscimento di più schemi di compliance EPR in concorrenza tra loro. Una scelta che può certamente essere letta con il desiderio di sostenere gli obiettivi ambiziosi di raccolta differenziata indicati dalle Direttive UE.

In secondo luogo, perché apre anche in Italia alla possibilità di avviare canali differenti, alternativi alle raccolte differenziate organizzate delle Amministrazioni Locali, per intercettare specifici flussi di rifiuti. Una geometria che ricorda i tratti del Modello Duale tedesco descritto in precedenza, sebbene calato in un contesto molto differente, in quanto limitato a singoli e specifici flussi.

Esperienze che potranno essere seguite in futuro da ulteriori iniziative, man mano che dovessero maturare le condizioni per coniugare efficienza e creazione di valore con gli obiettivi di riciclaggio.

Un’ulteriore novità è quella prevista dall’Art. 222, comma 5-bis, del D.Lgs. 116/2020 relativo alla raccolta differenziata e agli obblighi della Pubblica Amministrazione, che prefigura l’attivazione di azioni sostitutive anche per i sistemi collettivi o Consorzi, qualora il Ministero della Transizione Ecologica accerti che le Amministrazioni Locali non abbiano attivato adeguati sistemi di raccolta differenziata.

Una formulazione normativa che manifesta l’orientamento del legislatore di aprire alla possibilità di esperimenti di integrazione tra responsabilità finanziaria e responsabilità organizzativa del servizio, attraverso l’integrazione industriale tra schemi EPR e operatori della raccolta.

I Certificati del Riciclo

Stiamo quindi assistendo a una forte evoluzione normativa del settore dei rifiuti nella sua interezza, laddove a una tensione pro-concorrenziale si affianca una propensione alle riforme che sta maturando nell’ambito dei lavori del PNRR e che guarda con favore al mercato e alla possibilità di nuovi strumenti economici a sostegno della gerarchia dei rifiuti. Il tutto, da sostanziarsi con la definizione del Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti (PNGR) e della Strategia Nazionale sull’Economia Circolare.

Lo strumento di mercato dei Certificati del Riciclo, laddove introdotto, avrebbe la funzione di assicurare l’equilibrio economico-finanziario degli impianti di trattamento dei rifiuti che operano nella trasformazione dei rifiuti in prodotti, intervenendo per bilanciare le oscillazioni di prezzo delle Materie Prime Seconde (MPS). Uno strumento che andrebbe ad affiancarsi al lavoro dei Consorzi di filiera, che a fronte del calo o del cambio di segno dei prezzi dei rifiuti e delle MPS da avviare a riciclo, sono chiamati a intervenire attraverso la leva del contributo ambientale.

La funzione svolta dai Consorzi di filiera al riciclo, che si configura come un capacity market “amministrato” per i rifiuti di imballaggio, potrebbe essere affiancata da uno strumento di mercato in grado di assicurare il bilanciamento tra domanda e offerta di capacità di trattamento, sostenendo per questa via anche la realizzazione degli impianti.

Come funzionano i CdR

In primo luogo, i CdR si configurano come strumento a sostegno degli obiettivi di riciclaggio, dunque integrativi rispetto al ruolo dei Consorzi di filiera e in generale della compliance all’EPR. Ciò significa che gli obblighi in materia di responsabilità estesa del produttore, che si concretizzano nella copertura dei costi efficienti di raccolta e trasporto, selezione, trattamento, comunicazione e informazione, potranno continuare ad essere assolti attraverso l’adesione al sistema consortile CONAI (dunque attraverso il pagamento del Contributo Ambientale CONAI – CAC) o, in alternativa, aderendo o istituendo un sistema autonomo di gestione che soddisfi i requisiti.

Il mercato dei CdR, invece, svolge la funzione di assicurare il bilanciamento tra domanda e offerta di trattamento: laddove il valore delle MPS non copre i costi del trattamento mettendo a rischio gli obiettivi di riciclaggio, la riduzione della disponibilità di CdR sul mercato determina un aumento del prezzo e segnala che l’attività di trattamento non è coerente con gli obiettivi di riciclaggio, sostenendo l’equilibrio economico dei riciclatori e incentivando la realizzazione di nuovi impianti. L’esistenza di un mercato di bilanciamento della capacità avrebbe il vantaggio di ridurre la necessità di un intervento diretto da parte dei sistemi di compliance: gli stessi Consorzi di filiera potrebbero infatti rivolgersi sul mercato per acquistare un numero di CdR coerente con l’immesso al consumo delle imprese rappresentate, documentando l’assolvimento dell’obbligo.

Il Contributo Ambientale continuerebbe ad assicurare la copertura dei costi di raccolta e gestione degli imballaggi, coerentemente con la definizione di EPR. Il ricorso al mercato da parte dei Consorzi di filiera rappresenterebbe una facoltà, stante sempre la possibilità di assicurare l’avvio a riciclo attraverso gli strumenti tradizionali (in particolare attraverso le aste).

Il successo del mercato sarebbe evidentemente affidato all’efficienza e all’efficacia dello strumento, giacché almeno da un punto di vista teorico – trattandosi di un meccanismo di mercato – esso dovrebbe essere in grado di assicurare l’assolvimento dell’obbligo a costi efficienti.

Occorre precisare come i CdR verrebbero riconosciuti prioritariamente per i rifiuti da imballaggio riciclati in Italia, fermo restando che concorrono al soddisfacimento dei target italiani di riciclaggio anche i rifiuti da imballaggio raccolti in Italia e riciclati in Paesi dell’UE, o anche extra-UE, laddove si dimostri che il trattamento è avvenuto in condizioni equivalenti a quelle previste dal diritto ambientale comunitario.

Se è vero che non può essere vietato formalmente il riconoscimento di tali Certificati anche per i rifiuti riciclati fuori dall’Italia, è altrettanto evidente come il contesto mondiale attuale vada verso una direzione chiara di riduzione della movimentazione transfrontaliera dei rifiuti, con sempre più frequenti divieti all’esportazione/importazione. Una tendenza che ribadisce l’opportunità di un riciclo quanto più possibile in prossimità del luogo di produzione del rifiuto, evitando – o comunque minimizzando – la movimentazione. Visti da questa prospettiva i CdR rappresentano un meccanismo di sviluppo e rafforzamento dell’industria domestica del riciclo, alla stregua del caso del biometano e degli obblighi di immissione al consumo di biocarburanti avanzati previsti dalle Direttive.

Gli effetti positivi sarebbero, dunque, di duplice valenza: ambientali, in quanto un simile sviluppo della filiera del riciclo consentirebbe di trattare in prossimità i rifiuti che oggi sono costretti a “migrare” da una parte all’altra del Paese o all’Estero per la mancanza di impianti, ed economici, in quanto un incremento della concorrenza in un settore di mercato si rifletterebbe in un calo dei costi di trattamento e in una convergenza degli stessi verso costi efficienti nei territori in cui oggi si osservano rendite di posizione in ragione della localizzazione geografica degli impianti.

I soggetti coinvolti

Il soggetto percettore dei CdR dovrebbe coincidere con quello che realizza la condizione di trasformazione da rifiuto a MPS, ovvero il soggetto che determina l’End of Waste in ciascuna filiera (ai sensi dell’Art.184-ter del D.Lgs. 152/2006).

È evidente che ogni filiera presenta delle peculiarità, legate sia alla tipologia del rifiuto sia al grado di integrazione dei trattamenti.

L’introduzione di una nuova strumentazione economica richiede, in aggiunta alla definizione del meccanismo di funzionamento della stessa, la costruzione di un’adeguata governance di supporto, così come l’individuazione delle modalità di finanziamento. Il tutto, alla luce di un quadro istituzionale e di soggetti coinvolti già ben consolidati per quanto riguarda la filiera del riciclo, in cui gli aggiustamenti da operare sarebbero minimi, facilitando così l’implementazione dei CdR.

Entrando nel merito, si ha che il Registro Nazionale dei Produttori, la cui introduzione è prevista dal D.Lgs. 116/2020, sarà lo strumento per tenere traccia dei quantitativi immessi al consumo. Parimenti, l’equivalente del NPWD britannico, ovvero il Registro dei Riciclatori, è attualmente presente nel sistema italiano: si tratta dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali. Semmai, appaiono necessari degli adeguamenti per consentire la rendicontazione, almeno su base trimestrale, dei rifiuti riciclati. In tal senso, potrebbe giovare il flusso informativo connesso con la Plastic Tax di derivazione europea, dal momento che questa si applica in maniera proporzionale al quantitativo di rifiuti in plastica non riciclati.

Relativamente all’emissione e al monitoraggio dei CdR, il Gestore dei Servizi Energetici (GSE) appare essere il naturale candidato alla gestione operativa, sulla scia di una tradizione consolidata nel settore, relativamente alla strumentazione economica dei permessi negoziabili, come nel caso ad esempio dei Certificati Bianchi o dei CIC (Certificati di Immissione al Consumo) del biometano.

Al contempo, non si può non considerare il ruolo di primo piano che il Ministero della Transizione Ecologica (MiTE), di recente istituzione, è chiamato a svolgere nella promozione della circolarità nel nostro Paese, in particolare in sede di definizione delle riforme per il settore. Questo si applica anche nel caso dei CdR. Ugualmente sarebbe auspicabile l’intervento di altri Ministeri, come il Ministero dello Sviluppo Economico o quello dell’Economia e delle Finanze, ognuno per le parti di propria competenza.   

Infine, nel funzionamento del meccanismo dei CdR, riveste un ruolo fondamentale la rilevazione e l’analisi dei prezzi delle MPS, quale elemento chiave nel determinare il valore dei certificati. Ad oggi, tale funzione è svolta dalle Camere di Commercio, che in taluni casi rilevano e pubblicano anche i prezzi dei prodotti riciclati.

I Certificati del Riciclo si pongono, dunque, come l’anello di congiunzione in grado di assicurare il funzionamento all’intera value chain del riciclo, in tutte le condizioni, senza dover dipendere dall’andamento dei prezzi delle materie prime seconde (MPS), dai blocchi all’export di rifiuti o da altri fattori congiunturali che possono paralizzare il sistema.

Un meccanismo dinamico di mercato di formazione e aggiustamento del prezzo, dove comunque sono previsti dei correttivi da parte delle istituzioni pubbliche, affinché l’equilibrio economico-finanziario di chi materialmente opera la trasformazione da rifiuto a prodotto (il c.d. “End of Waste”) sia sempre garantito e che i target di riciclaggio siano sempre raggiunti.

Si tratta di affiancare al sostegno alle raccolte differenziate anche uno strumento di mercato dedicato al riciclo. I CdR, infatti, si configurano come strumento a sostegno degli obiettivi di riciclaggio, dunque integrativi rispetto al ruolo dei Consorzi di filiera. Ciò significa che in “tempi normali”, quando cioè non sussistono impedimenti specifici e l’attività di riciclo è in linea con gli obiettivi, gli obblighi di responsabilità estesa del produttore continueranno ad essere assolti con l’adesione al sistema consortile o, in alternativa, da sistemi autonomi di gestione che soddisfano i requisiti di legge. In concomitanza di cause che determinano il fermo o il rallentamento dell’attività di riciclaggio, al punto da mettere a rischio il raggiungimento dei target, il mercato dei Certificati del Riciclo dovrebbe esprimere prezzi coerenti con la necessità di ripristinare le condizioni di equilibrio economico e assicurare la continuità delle attività di riciclaggio.

Una riforma, quale quella delineata, che chiama a sistema i diversi attori istituzionali presenti: il Ministero della Transizione Ecologica, e gli altri Ministeri interessati, l’ARERA, il GSE, il GME, le Camere di Commercio e, naturalmente, gli stakeholder industriali, siano essi i Consorzi o gli operatori.

Si tratta di affiancare al sostegno alle raccolte differenziate anche uno strumento di mercato dedicato al riciclo. La Strategia Nazionale per lEconomia Circolare potrà rappresentare il banco di prova per verificare la concretezza degli orientamenti proposti in sede di PNRR: dovranno essere indicati gli strumenti e gli indicatori per monitorare l’avanzamento verso gli obiettivi UE, in termini di ecodesign, eco-prodotti, bioeconomia e riduzione del consumo di materie prime critiche.