L’indagine “Cambiamento climatico e resilienza” condotta nel mese di luglio 2019 descrive una Italia consapevole e preoccupata, pronta a farsi parte attiva di una Strategia nazionale per prevenirne e contrastarne le conseguenze. Allo Stato il compito di indicare la via, alle aziende quello di soggetto attuatore, ai cittadini il compito di correggere i comportamenti e sostenere l’impegno collettivo.

Nel giugno del 1992, si svolse a Rio de Janeiro il primo summit mondiale fra capi di Stato e di Governo dedicato all’ambiente e al clima. Durante questi 27 anni – nonostante gli accordi e gli impegni sottoscritti – le emissioni di C02 sono aumentate senza sosta così come gli impatti delle attività umane sull’ecosistema. Le conseguenze del climate change sono diventate sempre più evidenti non solo a un ristretto gruppo di persone coinvolto nella questione ambientale (esperti, attivisti, policy maker) ma anche all’opinione pubblica mondiale.

Caldo torrido e siccità. Piogge torrenziali e alluvioni. La presa di coscienza sui temi ambientali ha raggiunto livelli altissimi di penetrazione e il clima estremo, divenuto tangibile, ha smesso di esser catalogato come “eccezione” o “capriccio meteorologico” per essere, invece, considerato un problema urgente e reale. Anche nel nostro Paese.

Lo confermano i dati emersi da un’indagine svolta dal Laboratorio Ref Ricerche, secondo la quale 8 italiani su 10 sanno che il climate change esiste ed è un fenomeno generato dall’attività umana. Una consapevolezza che porta oltre un terzo dei nostri connazionali a dichiararsi “molto preoccupato” (più anziani soprattutto) per quanto potrebbe accadere in futuro.

Da questo punto di vista non vi sono tentennamenti: la sostenibilità ambientale diventa un obiettivo primario. La tutela dell’ambiente è vista come una “responsabilità collettiva” che coinvolge certamente i cittadini, ma anche gli operatori e soprattutto le istituzioni.

Sono proprio queste ultime, secondo l’80% del campione, che devono farsi promotrici di politiche sostenibili. Ma non solo. 9 nostri connazionali su 10, credono che spetti proprio allo Stato tutelare l’ambiente con leggi e regolamentazioni, ancora prima di richiedere un impegno alle imprese e ai cittadini. Anzi, questi ultimi si dicono disponibili a dare un contributoanche maggiore rispetto a quanto si sentano realmente responsabili per la situazione.

Ma cosa succede quando si passa dall’impegno generico a favore di comportamenti sostenibili ad uno che chiama in causa azioni concrete, dalle conseguenze sulla quotidianità? E l’acqua e l’uso che ne facciamo sono questioni tutt’altro che secondarie. Dai dati dell’ultimo rapporto delle Nazioni Unite sulla valorizzazione delle risorse idriche sappiamo che oltre 2 miliardi di persone hanno nullo o scarso accesso all’acqua e che quella potabile rappresenta solo l’1% delle risorse idriche sulla Terra. Evitare gli sprechi appare, al tempo stesso, un dovere e una necessità per ogni essere umano, anche alle nostre latitudini. Un uso corretto di acqua, infatti, trova d’accordo il 90% di noi italiani, con l’86% che si dichiara anche “attento” nel non sprecarla. Ciò può avvenire anche attraverso un cambiamento dei propri consumi, sebbene, in questo caso, le percentuali siano meno elevate, visto che si dichiarano più disponibili le persone mature, oltre i 55 anni (87%), mentre appaiono meno favorevoli i giovani sotto i 25 anni (65%).

Globalmente emerge che, pur di fronte al desiderio di non sciupare una risorsa che tutti sappiamo così preziosa, non esiste una pressione sociale in grado di tramutarsi in impegno collettivo. Lasciare il rubinetto aperto o preferire il bagno al posto della doccia non suscitano quella riprovazione generalizzata che ci si dovrebbe aspettare. Infatti, solo il 60% degli intervistati dice di ricevere disapprovazione da familiari o amici in caso di comportamenti poco sostenibili.

Se poi si guarda alle differenze tra aree geografiche, emerge come il Sud abbia dei valori inferiori sia per l’attenzione personale a non sprecare acqua (82%) che per quella di amici e familiari (54%), laddove il Nord-Est e le Isole mostrano numeri superiori alla media.   

Come per la richiesta dell’intervento dello “Stato” – termine onnipresente nel discorso degli italiani – anche nel caso del risparmio di acqua la maggior parte degli intervistati chiede che sia un soggetto istituzionale a guidare il cambiamento, esercitando i poteri di rappresentanza conferiti e coordinando i vari attori in gioco.

Secondo 7 italiani su 10, sono le utility e i gestori che forniscono il servizio a dover metter in pratica concrete azioni anti-spreco, migliorando l’efficienza del servizio e delle infrastrutture.

Dove è prioritario intervenire? Depurazione delle acque, seguita dalla riduzione delle perdite idriche, dalla tutela delle falde acquifere assieme alla manutenzione della rete fognaria, dalla creazione di riserve idriche contro la siccità e dall’attenzione verso il prelievo di acqua dalla natura.

Inoltre, la maggioranza degli intervistati chiede di attivare campagne di comunicazione dirette agli utenti che spieghino come evitare di sciupare la risorsa idrica. Infatti, solo l’8% dice di essere abbastanza informato rispetto ai progetti di tutela ambientale messi in campo dal proprio gestore.

In conclusione, un ultimo dato: il 56% degli italiani si dice disposto a contribuire economicamente per sostenere gli investimenti mirati a ridurre gli sprechi. Un risultato da valutare positivamente, considerando lo scarto che ancora esiste tra dichiarazione di “impegno in prima persona” e reale “attesa di un intervento terzo”.

Segno di un’Italia che si mostra consapevole e preoccupata dal cambiamento climatico, ma che allo stesso tempo risulta essere pronta e disponibile a partecipare attivamente a una Strategia nazionale, che sappia affrontare con coerenza la questione ambientale.