Adattamento ai cambiamenti climatici, tutela della risorsa idrica e gestione dei fanghi di depurazione rappresentano alcune direttrici di sviluppo del servizio idrico. Ciascuna direttrice necessita di opere a servizio di un’area vasta, pensate per produrre benefici su una scale superiore a quella dell’ambito territoriale ottimale e che si collocano pertanto nella sfera di azione di più soggetti rispetto sia ai destinatari sia ai potenziali attuatori. La regolazione economica è chiamata a sostenere queste opere sovra-ambito, chiarendo i criteri e gli strumenti attraverso cui riconoscere i costi in tariffa. Chiarimenti necessari anche al fine di stimolare l’intervento di soggetti terzi o sovraordinati.
1. Cambiamento climatico: sfida per il settore idrico
La siccità e la sopravvenuta scarsità di acqua richiedono una riflessione sulle azioni di adattamento ad un clima che cambia. Il 2022 e l’inverno 2023 sono due eloquenti esempi di ciò che ci attende.
Nel nostro Paese, la necessità di realizzare interventi per preservare il naturale ciclo dell’acqua e assicurare la continuità del servizio sta assumendo connotati di urgenza sistemica, rendendo impellente l’agire per migliorare la gestione della risorsa. Si tratta di alleviare lo stress idrico e garantire, al contempo, elevati livelli di qualità dell’acqua, come richiesto anche dalla Direttiva Acque Potabili recentemente recepita nel nostro ordinamento. Per conseguire questi obiettivi è necessaria una valutazione del rischio di ciascun sistema di fornitura idro-potabile e l’adozione di Piani di Sicurezza dell’Acqua che documentino l’adeguatezza delle valutazioni e delle modalità di gestione del rischio.
Come indicato anche nel Piano Nazionale di Adattamento al Cambiamento Climatico (PNACC), il cambiamento del clima aumenta la vulnerabilità dei settori che utilizzano l’acqua in modo più intensivo, come il servizio idrico, l’agricoltura e la produzione di energia. Il processo di adattamento ai cambiamenti climatici di questi settori dipende dalla loro capacità di ridurre il fabbisogno della risorsa, di raggiungere un impiego più efficace ed efficiente e di esplorare fonti idriche alternative, sostenibili e rinnovabili.
Per quanto riguarda la valutazione del rischio, occorre tener presente che il cambiamento climatico interagisce con il ciclo idrico attraverso molteplici canali, riconducibili all’aumento delle temperature: tra questi l’evapotraspirazione (ovvero la quantità d’acqua per unità di tempo che dal terreno passa nell’aria sotto forma di vapore), la distribuzione delle precipitazioni nel tempo e nello spazio, lo scioglimento dei manti nevosi. Sono tutti elementi che vanno ad influenzare il deflusso e l’accumulo dell’acqua nel suolo, tanto che nella Strategia Nazionale di Adattamento ai cambiamenti climatici (SNAC) il rischio idrico è considerato essenzialmente in relazione all’accumulo e al deflusso della risorsa. Da ciò nasce il dibattito rispetto alla opportunità di realizzare nuovi invasi per trattenere le precipitazioni e di interventi per prevenire il dissesto idrogeologico, oltre alle iniziative per mantenere in buono stato ecologico i fiumi.
Se fino ad oggi la priorità era quella di recuperare i ritardi ereditati da decenni di bassi investimenti nelle reti di acquedotto, nelle fognature e nei depuratori, emerge ora la necessità di interventi su una scala più ampia, interambito o sovra-ambito: invasi, reti interconnesse, opere e impianti necessari all’adattamento ai cambiamenti del clima, sino al riuso dell’acqua in agricoltura. E che possono riguardare anche la chiusura del ciclo idrico, come impianti centralizzati per il recupero di materia ed energia dai fanghi di depurazione, a servizio di più ambiti territoriali (regionali o sovra-provinciali) anche se collocati in un dato perimetro gestionale.
Sono interventi che richiedono un approccio di area vasta, con il coinvolgimento di più soggetti nella catena di governo e altrettanti soggetti finanziatori e attuatori.
Le risorse messe a disposizione dal PNRR riescono a coprire solo una parte degli investimenti nel servizio idrico, inoltre diversi ambiti territoriali, in particolare nel Mezzogiorno, ancora oggi non dispongono di gestori dotati di adeguata capacità organizzativa e industriale, in grado di realizzare gli investimenti per mettere in sicurezza l’approvvigionamento idrico, oltre che adeguati standard di qualità del servizio idrico.
2. Riconoscimento tariffario e nuove opere
Lo scenario appena descritto apre al tema delle modalità di riconoscimento tariffario dei costi sostenuti per nuove opere finanziate, realizzate e gestite da più gestori su territori che interessano più ambiti tariffari o da un soggetto diverso dal gestore unico d’ambito. Si tratta di investimenti che potrebbero vedere protagonisti una pluralità di gestori idrici uniti in progetti coordinati e compartecipati sia sotto il profilo del finanziamento sia sotto quello della gestione operativa.
È necessario, quindi, che tali percorsi siano delineati all’interno di quadro regolatorio chiaro, in modo da sostenere, o quanto meno non penalizzare, le iniziative di cooperazione. Occorre cioè dimostrare come queste situazioni “non ordinarie” potrebbero essere trattate dal punto di vista della regolazione.
Qual è la situazione attuale? A partire dalla sua prima applicazione, il metodo tariffario ARERA ha richiesto a gestori ed EGA di operare una ricognizione, periodicamente aggiornata, delle infrastrutture del servizio idrico integrato, ai fini della loro corretta valorizzazione in tariffa: un approccio basato sul cosiddetto capitale investito regolatorio o capitale investito netto riconosciuto RAB (Regulatory Asset Based).
I costi di capitale (Capex) riconosciuti in tariffa sono costituiti dall’insieme delle quote di ammortamento (Amm), degli oneri fiscali (OFisc) e degli oneri finanziari (OF). A queste tre componenti se ne aggiunge una quarta (cosiddetta ΔCUITCapex) che può essere riconosciuta, a discrezione dell’EGA, laddove sia opportuno valorizzare la concessione o beni di soggetti terzi diversi dal gestore.
Questi ultimi sono valorizzati qualora il loro costo di capitale sia superiore a quanto la tariffa riconosce eventualmente per gli stessi come costo operativo (attraverso gli “Altri Canoni” o le rate dei “Mutui”). Tale trattamento regolatorio determina una rappresentazione non pienamente coerente, con una patrimonializzazione inferiore a quella reale, giacché il costo delle infrastrutture iscritte nel patrimonio di un soggetto diverso dal gestore (ad esempio l’ente locale o la società degli asset) trovano riconoscimento in tariffa come costo operativo, commisurato al valore che il gestore riconosce al proprietario a ristoro delle rate dei mutui contratti per la realizzazione del bene o come canone di utilizzo. Altre casistiche che incidono sulla rappresentazione del patrimonio infrastrutturale del servizio idrico sono quelle relative agli scambi all’ingrosso e, seppur in misura minore, agli oneri locali (per una trattazione approfondita di ognuna di queste modalità e delle declinazioni sul territorio, si rimanda alla versione estesa del presente Position Paper).
3. Una possibile soluzione
Sino ad oggi la regolazione ARERA ha indicato una chiara predilezione per un modello verticalmente integrato in cui il soggetto deputato a finanziare e realizzare le opere è il gestore unico d’ambito, individuato dall’EGA, in coerenza con le avvertenze del legislatore. Ne è disceso un metodo tariffario che ha lasciato un certo margine di incertezza circa l’inquadramento tariffario di casistiche ibride e che ora chiama un chiarimento, in vista del nuovo periodo regolatorio MTI-4 (2024-2027). Sarebbe auspicabile disciplinare queste casistiche, al fine di evitare la discrezionalità di trattamento da parte dei vari EGA e al contempo di stimolare opere e interventi non differibili di scala sovra-ambito e che, tuttavia al momento, mancano proprio di un quadro di regolatore chiaro.
Al fine di riconoscere gli investimenti sovra-ambito, il nuovo metodo potrebbe introdurre il concetto di RAB virtuale e valorizzare in tariffa i costi di investimento per la quota di capitale apportata da ciascun soggetto attuatore, limitatamente agli oneri finanziari e fiscali, e lasciare al corrispettivo all’ingrosso la copertura dei costi operativi e degli ammortamenti da riconoscere al soggetto terzo. Tale meccanismo sarebbe applicabile anche nel caso in cui il soggetto terzo sia il gestore del Servizio Idrico Integrato di un altro ambito tariffario.
Una chiarezza sui percorsi che sarebbe di supporto anche ai nuovi investimenti effettuati da soggetti terzi, come già avviati in altri settori di pubblica utilità, per il tramite della finanza di progetto o di operazioni di finanziamento a lungo termine (o di un complesso di progetti individuati) all’interno del Piano degli Interventi, laddove il ritorno del finanziamento è garantito dai flussi di cassa che originano dalla gestione dell’opera stessa.
In alternativa si potrebbe prevedere la possibilità di un ente di livello intermedio (una “società delle fonti” partecipata da gestori e Regione), finanziato da un’addizionale sulla tariffa dei vari gestori. Una opzione che si adatterebbe bene a infrastrutture di area vasta (distretto idrografico) realizzate da un soggetto che abbia la titolarità per intervenire (Regioni, Stato).
Senza dubbio, la regolazione economica è chiamata a sostenere queste opere sovra-ambito, illustrando i criteri e gli strumenti attraverso cui riconoscere i costi in tariffa. Chiarimenti necessari anche al fine di stimolare l’intervento di soggetti terzi o sovraordinati.